Fermo e Lucia di Alessandro Manzoni pagina 42

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presenza del padre, a chi si rallegrava di una risoluzione presa da lei, ed annunziata da quello, avrebb'ella potuto dare una risposta dubbiosa? Partite le visite Geltrude entrò con la famiglia nel cocchio dal quale era stata esclusa per tanto tempo: e si andò a fare la solenne trottata. Lo spettacolo e il romore delle carrozze e dei passeggiatori, i discorsi incessanti del padre, della madre, e del fratello che per cortesia rivolgevano sempre la parola a Geltrude, si contendevano l'attenzione della sua mente; e i pensieri sulla sua situazione vi apparivano istantaneamente come lampi in un povero cielo. Rientrato il cocchio, in casa, e fermato sotto le volte rimbombanti dell'atrio, i servi che scendevano in fretta coi doppieri, annunziarono che gran parte della conversazione era già ragunata. Si montò con tutta la fretta che poteva conciliarsi con una certa gravità, e di sala in sala si giunse a quella della conversazione. La sposina ne fu il soggetto, l'idolo, e la vittima. Chi si faceva prometter da lei, chi prometteva visite, chi parlava della madre tale sua parente, chi della madre tal altra sua conoscente; chi lodava il cielo di Monza, chi la regola del monastero. Se alcuno non potendo avvicinarsi a Geltrude assediata da altri, o trovandosi distratto a ciarlare in un crocchio, non le aveva detto nulla, si sentiva tutto ad un tratto preso come da un rimorso, temeva di averle fatta una offesa, e studiava il momento di farle il suo complimento. Finalmente la brigata si sciolse, tutti partirono senza rimorso, e Geltrude stordita, intronata si rimase sola con la famiglia, dalla quale ebbe altri complimenti sui complimenti che aveva ricevuti. «Ho finalmente», disse il Marchese Matteo «avuta la consolazione di veder mia figlia trattata e distinta da sua pari. Domani mattina,» soggiunse, «converrà esser presti di buon ora per andare a Monza come ha stabilito Geltrude.» Geltrude condotta finalmente dalla Marchesa nella stanza che le era preparata vi rimase con una donna che era stata quel giorno destinata ai suoi servigi, in vece di quella che aveva fatto presso di lei il tristo uficio di carceriera. Questo cangiamento era stato provocato da Geltrude. Vedendo ella in quel giorno il padre così disposto a compiacerla in tutto fuor che in una cosa, fu tentata di profittare dell'auge in cui si trovava per soddisfare almeno una delle passioni che si univano a tormentarla. Si è detto ch'ella vedeva di mal occhio la donna che le era stata spia e guardiana; e che v'era fra esse un ricambio continuo, una gara di sgarbi. Geltrude in certi momenti di divozione le aveva perdonato, ma cento perdoni non ne vagliono un solo. Vedersi in quel giorno trattata con tanta importanza quasi con tanto rispetto da tutta la famiglia, le dava un po' di superbia, e nello stesso tempo il sentire che con queste lusinghe le si faceva fare quello che forse ella non avrebbe voluto le dava stizza: mentre il suo animo si trovava fra questi due tristi sentimenti, le sovvenne dei modi rozzi, famigliari, insolenti che quella donna le aveva usati nella sua prigionia, e volendo lamentarsi di qualche cosa, se ne lamentò al padre. Questi ne fu, o se ne mostrò sdegnato, non istette a domandarle come ella pure avesse trattata la donna; ma promise che darebbe una buona lavata di capo a colei, e fissò immediatamente ai servigi di Geltrude un'altra donna di casa. Era questa la vecchia governante del Marchesino: e Geltrude faceva poco guadagno nel cambio. La vecchia alla quale il Marchesino era stato dato in guardia quando fu tolto alla nutrice, aveva per lui una falsa affezione di madre: in lui aveva poste tutte le sue compiacenze, le sue speranze, la sua gloria. Dopo il Marchese ella era stata la prima a dire che Geltrude aveva ad esser monaca per non rubare una parte d'entrata al Marchesino. Quel giorno ella era e si mostrava tanto soddisfatta che aveva ricevute le congratulazioni dei suoi conservi, tra i quali era un personaggio d'importanza; e parlava con molta bontà della signorina che aveva conosciuto il suo dovere. Geltrude, a compimento di quella giornata, dovette sentire le lodi e i consigli della vecchia che spogliandola e ponendola a letto le fece la storia di sue zie, e di sue prozie, le quali s'eran fatte monache per non intaccare il patrimonio della casa, e che se n'erano trovate ben contente perchè i monasteri dove s'erano chiuse avevan saputo tener conto dell'onore che arrecava loro l'aver dame di quella casa. Le raccontò che si era ricorso ad esse per protezione, e che esse dal loro parlatorio avevano ottenuto ciò che era stato invano domandato dalle prime dame nella loro gran sala di ricevimento, parlò degli affari d'onore imbrogliatissimi ch'esse avevano conciliati, delle visite di grandi personaggi forestieri che avevano ricevute, di che tutta la città aveva parlato. «Ma,» soggiungeva, «erano donne che sapevan fare»; e qui intrometteva qualche consiglio sulla condotta da tenersi a Monza. Prediceva gli onori che Geltrude avrebbe pur ricevuti, le distinzioni, le visite. Verrebbe poi il Signor Marchesino con la sua sposa, la quale doveva esser certo una gran dama, e allora non solo il monastero, ma tutto il borgo sarebbe in movimento. Geltrude ascoltava con una noja mista di qualche curiosità, poichè si trattava probabilmente del suo avvenire, e benchè stanca e stordita non diceva: «finitela», per quella stessa curiosità che impedisce uno di lasciare a mezzo una storia mal pensata e male scritta. La vecchia aveva parlato mentre spogliava Geltrude, quando Geltrude era già coricata; parlava ancora che Geltrude dormiva. Le cure di rado tolgono il sonno alla giovinezza; e sono tutt'altre cure che quelle onde era oppressa Geltrude. Il suo sonno fu affannoso, torbido, pieno di sogni penosi, ma non fu rotto che dalla voce agra della vecchia che venne di buon mattino a riscuoterla perchè si preparasse al viaggio di Monza. «Alto, alto, signora sposina; è giorno fatto; e prima ch'ella sia vestita, rivestita, in pronto, ci vorrà anche un'ora almeno. La Signora Marchesa si sta alzando, e l'hanno svegliata quattr'ore prima del solito. Il Marchesino è già disceso alla scuderia e risalito; e si trova in ordine di partire quando che sia. Vispo come un lepratto quel diavoletto: ma! egli era tale fin da bambino: io posso ben dirlo che l'ho tenuto nelle mie braccia. Ma quando è all'ordine non bisogna farlo aspettare, perchè quantunque sia della miglior pasta del mondo, allora egli strepita, fa il diavolo: e questa volta avrebbe anche un po' di ragione perchè egli s'incomoda per accompagnar lei. Guarda in quei momenti: non ha tema di nessuno, fuorchè del Signor Marchese; ma poi finalmente egli non ha sopra di sè che il Signor Marchese, e un giorno il Signor Marchese sarà egli. Poveretto! con due paroline però s'acqueta subito. Lesta, lesta, signorina, perchè mi sta guardando così come incantata? a quest'ora ella dovrebb'esser fuori del nido.» Geltrude infatti desta per forza, non ancor ben certa di vegliare, assalita ad un punto dalle memorie del giorno trascorso, dal pensiero di ciò che si doveva fare in quello che cominciava, e dal cinguettio della governante, stava cogli occhi socchiusi ed intenti come trasognata: quel destarsi era per la sua mente come il dubbio barlume di un mattino tempestoso, quando un leggero diradamento nelle tenebre appena annunzia che il sole è sull'orizzonte, e a chi guarda più attentamente il sole stesso appare come un disco bianco e leggiero sospeso dietro le nuvole trasparenti. Quelle esortazioni però fecero colpo assai, perchè la vecchia aveva toccato un tasto del quale essa stessa non conosceva tutta la forza. Il nome del Marchesino aveva già fermata l'attenzione di Geltrude, ma quando dalle parole della governante l'immagine del Marchesino in collera passò nella mente di Geltrude, tutti i pensieri onde questa era affollata, si levarono a volo come uno stormo di passere alla vista d'uno spauracchio, e non

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Argomenti: dubbio barlume,    leggero diradamento,    disco bianco

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