Fermo e Lucia di Alessandro Manzoni pagina 57

Testo di pubblico dominio

qualche tempo riceve nuova forza da tutte le passioni che non la distruggono, o ch'ella non distrugge, da tutte quelle che possono vivere con essa. Tutte queste passioni lo avevano allora spinto ad impedire con minacce il matrimonio di Lucia, senza ch'egli avesse risoluto quel che farebbe da poi, ma per impedirlo a buon conto, perchè ella non fosse d'un altro, per guadagnar tempo, per isfogare in qualche modo la rabbia e l'amore, se amore si può dire quel suo. Quindi allorchè egli riseppe dalla narrazione del Griso che Lucia e Fermo erano partiti insieme, i dolori della gelosia e della rabbia lo colpirono più acutamente che mai. Egli pensava qual prova Lucia aveva data di amore per Fermo e di orrore per lui, abbandonando così timida, così inesperta la sua casa paterna, i luoghi conosciuti, andando forse alla ventura; pensava che in quel momento essi erano in cerca d'un asilo per essere riuniti tranquillamente, e risolveva di fare, di sagrificare ogni cosa per impedirlo. Dall'altra parte avvezzo bensì a non rifiutarsi mai una soddisfazione quando non gli doveva costare altro che una bricconeria, ma avvezzo a commetterne in un campo ristretto e conosciuto, si atterriva al pensiero di uscirne, di dovere intraprendere una ricerca difficile e pericolosa per porsi poi ad una impresa chi sa quanto vasta, chi sa quanto difficile e pericolosa. Tanta era l'agitazione di Don Rodrigo, ch'egli pensava in quel momento non senza terrore alle Gride contra i Tiranni. (Così chiamavano le Gride coloro che sopraffacevano come che fosse i deboli, quasi con questa espressione querula e paurosa volessero confessare l'impotenza di contenere quelli e di difender questi.) Ben è vero che quelle gride erano per lo più inoperose, e Don Rodrigo lo sapeva per esperienza, come noi lo sappiamo ora dal trovare ad ogni nuova pubblicazione di esse la dichiarazione espressa che le antecedenti non avevano prodotto alcun effetto. Ma però queste gride stesse potevano essere un'arme potente, quando una mano potente le afferrasse contra chi le avesse violate; e v'era di mezzo un frate, un personaggio cioè alla influenza ed alla attività del quale nessuno poteva anticipatamente prevedere un limite: e questo frate pareva risoluto a proteggere ad ogni costo gli innocenti. In questa tempesta di pensieri Don Rodrigo passeggiava per la stanza, facendo ad ogni momento nuove interrogazioni al Griso, e affettando sicurezza dinanzi al Conte Attilio; finalmente conchiuse col dire: «Per ora non c'è altro da fare che di sapere precisamente dove sono andati: tocca a te Griso; e poi, e poi... non son chi sono se... non è vero cugino?» «Senza dubbio,» rispose il Conte, al quale alla fine non premeva realmente in tutta questa faccenda che di far pensare che nello stesso caso egli avrebbe saputo giungere ai suoi fini senza esitazione e senza fallo. Così fu sciolta la conferenza, e il Griso partì. Don Rodrigo pensò che in quel giorno sarebbe stata cosa molto utile l'avere il podestà a pranzo, per mostrare sicurezza, e per far vedere ai malevoli che la giustizia era per lui; e lo fece invitare, pregando il Conte Attilio di non disgustargli quel brav'uomo con tante contraddizioni. Venne il podestà, e il dottore; si stette allegri, si parlò ancora della marcia delle truppe, e della carestia: ma degli affari del paese, della campana a martello, della fuga, nè una parola. Soltanto Don Rodrigo accennò indirettamente questa faccenda nel modo il più gentile ed ingegnoso, come si vedrà. Fece egli in modo che il podestà lodasse particolarmente il vino della tavola: cosa non difficile ad ottenersi, perchè il vino era buono, e il podestà conoscitore. Allora Don Rodrigo: «Oh, signor podestà, giacchè ho la buona sorte di posseder cosa di suo aggradimento mi permetterà...» «Non mai, non mai, Signor Don Rodrigo, se avessi saputo ch'ella sarebbe venuta a questi termini, avrei dissimulata la mia ammirazione per questo incomparabile...» «Bene bene, signor Podestà, ella non mi farà il torto...» «Don Rodrigo conosce la stima...» Il Conte Attilio interruppe la gara, la quale era già realmente composta: Don Rodrigo parlò all'orecchio ad un servo, e il podestà tornando poi a casa, trovò sei tarchiati contadini che erano venuti a deporre nella sua cantina le grazie di Don Rodrigo. Dato l'ordine segreto, Don Rodrigo ritornò al discorso incominciato, benchè sembrasse mutarlo affatto, e passare dal vino all'economia politica; ma chi appena osservi la serie delle sue idee, scorgerà il filo recondito che le tiene. «Che dice,» continuò adunque Don Rodrigo, «che dice il signor podestà di questo spatriare che fanno i nostri operaj?» «Che vuole ch'io le dica?» rispose il podestà: «è cosa da non potersi comprendere. Quanto più si moltiplicano le gride per trattenerli, tanto più se ne vanno. Non si sa capire: è una pazzia che gli ha presi: sono pecore, una va dietro all'altra.» «Eppure,» continuò Don Rodrigo «pare che questa cosa stia molto a cuore di Sua Eccellenza.» «Capperi! veda con che sentimento ne parla nelle gride. Ma costoro, parte per ignoranza, parte per malizia non danno retta, armano mille pretesti, ma la vera ragione si è la poca volontà di lavorare, e il disprezzo temerario delle leggi divine ed umane.» «Ma per buona sorte,» disse il dottor Duplica, a cui Don Rodrigo aveva detto non tutto ma quanto bastava a fargli intendere come Don Rodrigo desiderava di esser servito, «per buona sorte abbiamo un signor podestà che non si lascerà illudere da pretesti, e saprà tenere mano ferma...» «Mano ferma, signor podestà,» riprese Don Rodrigo: «mano ferma: il primo che c'incappa, farne un esempio.» «Io so,» disse con gravità misteriosa il Conte Attilio, «che Sua Eccellenza tiene gli occhi aperti su questo sviamento degli artefici, e sulla esecuzione delle gride che lo proibiscono perchè il Conte mio zio del Consiglio segreto, qualche volta in confidenza si è spiegato con me... basta non voglio ciarlare; ma son certo che quando tornato a Milano andrò a fare il mio dovere dal Conte mio zio, egli non lascerà di farmi mille interrogazioni... In verità avere dei parenti in alto è un onore, ma un onore un po' pesante. Non si può parlare con loro che non vogliano ricavare qualche notizia: non si sa come sbrigarsene.» «Mi raccomando ai buoni uficj del signor Conte,» disse umilmente il Podestà: «una buona parola trasmessa da una bocca tanto garbata in orecchie tanto rispettabili...» «È pura giustizia renduta al merito, Signor podestà: però se la parola ha da ottenere il suo effetto, da far colpo, sarà bene che si vegga qualche dimostrazione esemplare dello zelo del Signor podestà in questa materia.» «È mio dovere, e starò sull'avviso.» «Oh le occasioni non mancheranno,» disse il dottore; «perchè come diceva sapientemente il signor podestà, è una pazzia universale in costoro.» Quindi prendendo l'aria grave e pensosa di chi passa dai fatti ad una idea generale, continuò: «Vedano un po' le signorie loro come son fatti gli uomini, e particolarmente la gente meccanica che non sa riflettere. Comincia a mettersi fra gli artefici questa smania di sviarsi, di cambiar cielo. La sapienza di chi governa vede il male, e tosto applica il rimedio della proibizione e delle pene. Si può far di più? eppure costoro, presa una volta quella dirittura di andarsene a processione, proseguono ad andarsene come se nessuno avesse parlato. Come si spiega questo? Col dire che sono pazzi. Ma coi pazzi come bisogna fare? Castigarli.» È facile supporre che con questi ragionamenti il signor podestà si trovò disposto a credere poi, o a fingere di credere alle insinuazioni incessanti del dottor Duplica, e alle deposizioni degli onorevoli suoi ministri, che Fermo si era spatriato in contravvenzione alle gride. Il signor podestà non si lasciò scappare una occasione, che gli si era tanto raccomandato di afferrare, e nel giorno susseguente fatte fare

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Argomenti: filo recondito,    ricerca difficile,    mano potente,    disprezzo temerario,    bocca tanto

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