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Fermo e Lucia di Alessandro Manzoni pagina 153pronta; tanto era il furore contra quegli che si credevano la cagione primaria di tanti mali. Nello stesso istante s'aperse di nuovo la finestra, e di quivi la signora Ghita gridava a testa: «cacciate quel garritore, che dev'essere un di quei ghiotti, che vanno facendo le poltronerie alle porte e alle muraglie». Alcuni cominciavano già a correre verso Fermo, urlando: «piglia, piglia, dalli, dalli». Fermo vide la mala parata; per buona sorte il lato della strada dove stava la vecchia, era quasi sgombro d'altra gente: uno che era accorso per di là volle gittarglisi addosso, ma egli lo stramazzò a terra d'un urto; e a gambe. Allora la folla vie più ad inseguirlo. E non era ancora giunto al capo della via che già sentiva quelle grida amare risuonar più forti all'orecchio, sentiva appressarsi il calpestio dei più leggieri ad inseguirlo. In quell'estremo, egli che sapeva, come ognuno lo sapeva, qual fosse la sorte di chi cadeva nelle mani del popolo o dei giudici col nome di untore, risolse di non lasciarsi pigliare alle spalle da quei furibondi, ma di rivolgersi, di mostrar loro il viso, e di difendere disperatamente la sua vita. cap. 7 Così disposto, volse indietro, ma senza però ristarsi ancora dal correre, il volto più torvo e più cagnesco che avesse ancor fatto in vita sua per guatare quali, quanti, a che distanza fossero quei suoi persecutori; ma con maraviglia, e con un sentimento confuso di gioja gli vide tutto ad un tratto restar sui due piedi, in grande esitazione e su quelle figuracce alle brutte contrazioni del furore succedere le brutte contrazioni della paura. E tosto più presente a se stesso, scerse dinanzi a sè e non lontano, un apparitore, e dietro lui un carro coperto di cadaveri, intese i campanelli, lo scalpito, le ruote, le canzonacce dei monatti, tutto quello strepito che un momento prima percoteva le sue orecchie senza saputa della mente. Il terrore degli inseguenti per quella comparsa, fece tosto pensare a Fermo che per lui ella era salute: sentì egli che non era momento da far lo schifo: affrettò la corsa verso il carro, tolse la mira ad un picciolo spazio sgombro che vide in quello; spiccò un salto; ed eccovelo ritto, piantato sul destro piede, col sinistro in aria, e con le braccia alzate tuttavia dal lancio di tutta la persona. «Bravo! bravo!» sclamarono ad una voce i monatti, altri che seguivano il convoglio a piedi, altri, seduti sui carri, altri, per dire la orribile cosa come ella era, seduti sui cadaveri trincando d'un gran fiascone che andava in giro. «Bravo! bel colpo!» Gl'insecutori all'avanzare del carro avevano per la più parte volte le spalle, e fuggivano, gridando pure «dalli! all'untore!» se mai qualcheduno più coraggioso di essi, volesse venire a compiere la buona opera; e a quei gridi rispondevano dalle finestre uomini e donne accorse al romore: «dalli! all'untore!» Alcuni però dei primi tentennavano, quasi non potessero rassegnarsi a vedere la fiera uscir salva dalla loro caccia, e digrignavano i denti, facevan gesti di minaccia a Fermo che gli guardava immobile dal carro. «Lascia fare a me» gli disse un monatto; e strappato di dosso a un cadavere un laido cencio, lo rannodò in fretta, e presolo per un dei capi lo alzò verso quei feroci, come una fionda, fece atto di gittarlo, gridando: «aspetta canaglia». A quell'atto tutti dieder di volta inorriditi, e Fermo non vide più che schiene di nimici, e calcagna che ballavano rapidamente per aria. Fra i monatti si sollevò un urlo di trionfo, uno scroscio procelloso di risa, un «uh!» prolungato, come per accompagnare quella fuga. «Ah ah! vedi tu se noi sappiamo proteggere i galantuomini,» disse a Fermo quel monatto: «val più uno di noi che cento di quei poltroni.» «Certo io vi debbo la vita,» disse Fermo: «e vi ringrazio di tutto cuore.» «Niente, niente,» disse un altro di quei demonii: «te lo meriti, si vede che sei un bravo giovane. Fai bene d'ungere questa canaglia: ungili, estirpali costoro che non son buoni a qualche cosa che morti, o birboni; che hanno bisogno di noi, e ci maledicono, e vanno dicendo che, finita la moria, ci vogliono fare impiccar tutti. Hanno a finire prima essi che la moria; e rimarremo noi soli a gavazzare in Milano.» «Viva la moria, e muoja la marmaglia,» sclamò un altro, e con questo bel brindisi, si pose il fiasco a bocca, e tenendolo con ambe le mani fra i trabalzi del carro, ne tracannò un lungo sorso, indi porse il fiasco a Fermo, dicendogli: «bevi alla nostra salute». «Ve l'auguro di buon cuore,» disse Fermo; «ma non ho sete; non potrei bere in questo momento.» «Tu hai avuto una bella paura, a quel che pare,» disse quel monatto: «m'hai cera d'un pover'uomo; altri visi voglion essere a far l'untore.» «Ognuno s'ingegna come può» disse un altro. «Dammi quel fiasco,» insorse un terzo; «voglio vuotarlo io, che l'ho conquistato nella cantina di quel vecchio avaro lì...» e così dicendo prese il fiasco dalle mani di quell'altro; e prima di bere, si volse a Fermo, gli affissò gli occhi in faccia con un'aria di pietà sprezzante, e gli disse: «Convien credere che il diavoli col quale tu hai fatto il patto, sia ben giovane, ben dappoco, poichè se non eravamo noi a salvarti, egli ti dava un bell'ajuto.» E ridendo del suo bel tratto, levò il fiasco, e se lo appiccò alle labbra. Lo vuotò, e poscia tenendolo con la destra pel collo, lo mosse rapidamente in giro al di sopra del capo, quindi lo gittò lontano a fracassarsi su le pietre del pavimento, gridando: «viva la moria». Quindi intonò di nuovo la canzone che l'accidente di Fermo aveva interrotta; e tosto a quella voce si accompagnarono tutte le altre di quel turpe coro. La musica infernale mista al tintinnio dei campanelli, e allo strepito del carro rimbombava orrendamente pel vôto silenzioso delle vie, e stringeva amaramente il cuore dei pochi rinchiusi nelle case dinanzi alle quali il carro trascorreva. Fermo vi stava ritto tuttavia ansante per la corsa, e per la tema avuta, agitato di dentro in una successione fluttuante di passioni e di pensieri. Da prima provò un vivo ristoro del vedersi in salvo, quindi dabbene come egli era, ringraziò Dio che lo avesse scampato da un tanto pericolo; ma non lasciò per questo di sentire un gran rancore per quei bestiali suoi persecutori; qualche momento dopo cominciò a parergli ben fastidiosa la compagnia di quei morti da cui era circondato, e di quei vivi pei quali sentiva ad un punto riconoscenza, e orrore. Pensò da poi che, se ben salvo, era pure ancor bene impacciato, pensò al modo di uscire dal fastidio senza incappare di nuovo nel pericolo e di trovare il lazzeretto, dal quale egli era lontano forse chi sa quanto; e forse se ne andava sempre più allontanando. Domandarne a quei suoi ricettatori, il cuore non glielo diceva; sarebbe stato un esporsi a mille inchieste, attirarsi Dio sa quali parole, impegnarsi in un colloquio nè aggradevole, nè troppo sano. Fermo era già anche troppo imbarazzato in quella poca conversazione, che aveva dovuto fare con essi; vedeva che quegli che lo avevano salvato erano sul conto suo nello stesso inganno di quelli che lo volevano morto; non si curava di sgannare coloro, e nello stesso tempo sentiva troppa ripugnanza a dir cosa che gli confermasse nel loro errore. Cercava quindi di lasciar cadere i discorsi, senza però mostrare nè ripugnanza, nè sospetto, nè fare atto che gli alienasse l'animo di quegli che alla fine erano i suoi protettori in quel momento. Chi poteva sapere a che filo tenesse quel loro favore e la loro condiscendenza; forse alla sola idea che Fermo fosse un propagatore della peste; il favore degli uomini benevoli è talvolta così fragile, così permaloso, la buona gente si stanca talvolta per sì poca cosa di proteggere un disgraziato; pensate poi una feccia di ribaldi come quelli. Per tutte queste ragioni Fermo fu molto contento quando vide che essi non lo stimavano degno della loro attenzione; e fu Tag: fermo carro noi fare fiasco altri momento prima buona Argomenti: picciolo spazio, spazio sgombro, picciolo spazio sgombro, grande esitazione, scroscio procelloso Altri libri consultabili online del sito affini al contenuto della pagina: Confessioni di un Italiano di Ippolito Nievo Diario del primo amore di Giacomo Leopardi Il conte di Carmagnola di Alessandro Manzoni Il ponte del Paradiso di Anton Giulio Barrili Intrichi d'amore di Torquato Tasso Articoli del sito affini al contenuto della pagina: Consigli per lo styling dei capelli Oktoberfest Come riconoscere i sintomi di una gravidanza Singapore: tra cultura e sapori Come affrontare con fiducia un colloquio di lavoro in azienda
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