Fermo e Lucia di Alessandro Manzoni pagina 118

Testo di pubblico dominio

che mi stringono le mani: ahi! ahi! sono un galantuomo, non ho fatto niente di male.» La brigata si fermò sulla via, ma i birri stringendo pur Fermo, lo strascinavano nel mezzo, e affrettavano il passo: la brigata allora si volse, e si divise, altri a fianco, altri dietro guardando pure e ascoltando: quegli che erano sparsi nella via accorrevano, e si faceva folla. Il notajo tutto tremante, cercava di rimandare quegli che gli si avvicinavano, dicendo: «è un malandrino, un ladro colto sul mestiere, che svaligiava la casa d'un pover uomo». Ma intanto tutti quelli che venivano dalla parte ove il corteggio doveva passare, accorrevano, e si fermavano, di modo che la via si trovò sbarrata. Fermo predicava tuttavia, domandando misericordia: i birri sul principio comandarono, poi chiesero, poi pregarono i sopravvegnenti che dessero il passo: ma i più lontani cominciarono a mormorare, quindi a fremere, quindi ad urlare: i più vicini, parte per buona volontà, parte spinti, urtavano i birri, i quali dopo aver fatto indarno ogni sforzo per tenersi insieme, e per non lasciare la preda, furono separati dalla folla, dovettero abbandonare i manichini, e non cercarono più che a perdersi nella moltitudine per uscirne salvi. «Bravi fratelli,» gridava Fermo: «saldi, ancora un momento, ahi! strappateli, fate che mi lascino, siamo fratelli.» Il notajo veduta la mala parata, si fermò, e poi si volse indietro, per uscire da quella parte dove il concorso era ancor rado, cercando intanto di far l'indiano, e componendo il volto ad una certa curiosità, e maraviglia sciocca, come s'egli giungesse ivi a caso, e non c'entrasse per nulla. Ma l'abito lo tradiva, e smentiva il volto; per meglio nascondersi si volse egli ad uno dei molti che lo guardavano fiso, e disse: «che cosa è questa faccenda?» «Uh! corbaccio!» rispose invece dell'interrogato, uno che era più lontano. «Corbaccio! uh corbaccio!» fu ripetuto intorno. Il notajo impallidì: allora alle grida si aggiunsero gli urti di quelli che gli stavano a fianco: tanto che il pover'uomo ottenne in breve quello che invero desiderava ardentemente: d'esser fuori di quella calca, ma più colle gomita del prossimo che con le sue gambe. Quando Fermo si vide tolto alle ugne dei suoi guardiani, e confuso nella folla dei suoi liberatori, si scosse i manichini dai polsi, e il primo suo pensiero fu di approfittare di quella confusione, per fuggire in luogo di salvamento. Si ricordò tosto che il suo nome era scritto sui libracci del Capitano di giustizia, e fece ragione ch'egli non sarebbe sicuro nè in Milano nè a Monza nè a casa sua, nè in alcuna parte dello Stato. – Se mi pigliano la seconda volta, – diss'egli fra sè – sto fresco, e lo merito... Ma dove andare? – domandò a se stesso. – A Bergamo – si rispose. – E la strada? Domanderò a qualcheduno di questi galantuomini: chi m'ha ajutato non mi vorrà tradire. – Mentre egli pensava, da molte parti gli veniva gridato: «presto presto, a gambe, amico». Egli seguì il consiglio alla prima: entrò per una via sconosciuta, e si diede a correre, senza saper dove; ma quando si trovò fuori della folla, allentò il passo, e cominciò ad affisare i volti di quelli che incontrava, per trovarne uno che gli garbasse, e gli desse fiducia a fare la sua inchiesta. Ma la scelta andò in lungo, e Fermo ebbe a fare rapidamente forse venti giudizj fisionomici prima di fissarsi ad uno che fosse l'uomo per lui. Quel grassotto che stava ritto su la porta della sua bottega, con le gambe aperte, con le braccia dietro la schiena, e le mani l'una nell'altra su le reni, col ventre in fuori, il mento levato, e la giogaja pendente, sollevando alternativamente su la punta dei piedi la sua massa tremolante, e lasciandola cadere su le calcagna, aveva una cera di cicalone curioso, che invece di risposta avrebbe dato interrogazioni: quegli che girava posatamente, adocchiando e origliando pareva uomo da ripiombare un povero figliuolo nella fossa dei lioni e non d'aiutarlo ad uscirne del tutto: quell'altro, che s'avanzava col labbro spenzolato, e con gli occhi immobili, non che segnare spicciamente, e precisamente la via altrui, appena pareva conoscer la sua: e quel ragazzotto che a dir vero mostrava una intelligenza superiore all'età, mostrava però ancor più malizia che intelligenza, e si sarebbe potuto scommettere che nella domanda che gli fosse fatta egli non avrebbe veduto altro che l'occasione di burlare e di confondere un povero forese. Tanto è vero che all'uomo già impacciato ogni cosa è nuovo impaccio; e che ogni movimento, che si dà ad una matassa scompigliata per ravviarne il bandolo, può far nascere nuovi nodi. Ciò che rendeva più critica la situazione di Fermo, era l'essere egli affatto nuovo della città, dimodochè non sapeva nemmeno per qual porta si uscisse per pigliare la via sulla quale egli voleva porsi, e gli conveniva chiedere a dirittura la via di Bergamo; inchiesta sospetta, che poteva attirare gli sguardi sopra di lui, e rimetterlo in guaj. Giacchè la sedizione che era stata la salute di Fermo, cominciava appena a rialzare il capo, in qualche angolo della città; e in tutto il rimanente la forza era tuttavia nelle mani avvezze ad usarla: e per comprimere appunto la sedizione nel suo ricominciare, e per disperderla, giravano ronde di soldati, e sbucavano da ogni parte i colleghi di coloro che i liberatori di Fermo avevan posti in fuga: e se per disgrazia quegli stessi si fossero di nuovo abbattuti in Fermo, e lo avessero afferrato, e' poteva scuotere, e guaire, qui non v'era da sperare soccorso. Finalmente, come la necessità aguzza l'ingegno, Fermo, adocchiato uno che veniva in gran fretta, si risolvette di voltarsi a lui, stimando giudiziosamente che l'uomo premuroso d'andare ad una sua faccenda, risponde tosto e direttamente a chi lo interroga, perchè quello è il modo più spiccio per isbrigarsene. Fattosegli dunque a canto gli disse: «in grazia, signore: quale è la strada che conduce a Bergamo?» «Eh! amico,» rispose frettolosamente l'altro: «vi conviene uscire dalla porta orientale...» «Bene, e per andare alla porta orientale?» «Entrate per questa via a mancina; e sboccherete alla piazza del duomo...» «Basta, signore: il resto lo so: Dio gliene rimeriti.» «Niente, niente,» disse il cortese preoccupato, e continuò la sua via. Fermo con un passo più sicuro, e più spedito entrò per quella che gli era stata segnata, giunse alla piazza del duomo, l'attraversò, diede passando una occhiata al mucchio di cenere, e di carboni spenti, fredde reliquie della baldoria del giorno antecedente, poscia raffrontando i luoghi con le memorie di jeri, riconobbe la via per la quale era venuto insieme con la folla trionfante, e si pose in quella nell'attitudine d'un generale che ripassa sconfitto e fuggitivo pel campo dove aveva vinto poco innanzi. Rivide il forno delle grucce smantellato, e guardato da soldati, e passò innanzi senza badare ai crocchj che cominciavano di nuovo a formarsi, nè alle grida che già si facevano intendere. Via, via; giunse dinanzi al convento dei cappuccini, guardò sospirando la porta della chiesa, e disse fra sè: – quel frate m'aveva però dato un buon parere, senza saperlo, quando mi disse ch'io aspettassi in Chiesa; ma! non ho avuto giudizio –. Quando fu presso alla porta rallentò il passo perchè la celerità non lo chiarisse un fuggitivo, e preso il contegno placido d'uomo che vada pei suoi negozj, non senza battito al cuore, passò la porta. Uscito al largo, respirò, ma pure andava guardandosi indietro ad ogni tratto per vedere se non era inseguito: la strada maestra non gli andava a genio: e al primo viottolo che scorse vi s'internò, volendo piuttosto allungare e raddoppiare il cammino che farlo sempre in sospetto. Quetata un poco la paura, sorsero nel suo cuore mille pensieri di rimprovero, mille di sollecitudine per l'avvenire, e quindi mille proponimenti che il lettore s'immaginerà

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Argomenti: ladro colto,    intelligenza superiore,    contegno placido,    cuore mille

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