Fermo e Lucia di Alessandro Manzoni pagina 75

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sghignazzare. Il Conte che fu poi del Sagrato era tra essi, anzi queglino erano con lui; perchè egli non era mai stato secondo in nessun luogo, e in nessun fatto. Federigo, contristato e mosso a pietà ed a sdegno nello stesso tempo, ma non confuso, girò su quella turba un'occhiata che esprimeva tutti questi affetti con una gravità tranquilla, ma più potente dell'impeto indisciplinato di quei provocatori; quindi piegate le ginocchia dinanzi all'altare, pregò per essi, i quali partirono col miserabile contegno di chi è stato vinto in una impresa in cui il vincere stesso sarebbe vergognoso. Torniamo al Conte vecchio: il quale stette in fra due, se doveva prima andare alla stanza di Lucia. Dopo aver pensato qualche tempo: – no – diss'egli fra sè –: non la vedrò: non voglio obbligarmi a nulla; voglio venirne all'acqua chiara con questo Federigo. Potrei lasciarla andare, e pentirmi. Se comincio a fuggire da uno spauracchio, a desistere da un'impresa, è finita, non son più un uomo. Parlato che avrò con costui, mi convincerò che sono sciocchezze, e sarò più forte di prima... o se... costui... mi facesse... cangiare... son sempre a tempo. Andiamo, sarà quel che sarà. – Chiamò un'altra donna alla quale in presenza del Tanabuso impose che si portasse sola alla stanza di Lucia, che vedesse che nulla le mancasse, e che sopratutto ordinasse alla vecchia guardiana di trattarla con dolcezza e con rispetto: e che nessun uomo ardisse avvicinarsi a quella stanza. Dato quest'ordine, pensò se dovesse pigliar seco una scorta; e – oh! via, – disse, – per dei preti e per dei contadini? Vergogna! Se vi sarà alcuno che non mi conosca non avrà nulla da dirmi: per quelli che mi conoscono...! – Così il Conte solo, ma tutto armato uscì dal castello, scese l'erta e giunse nella via pubblica, la quale brulicava di viandanti: la turba cresceva ad ogni istante: a misura che la fama del Cardinale arrivato si diffondeva di terra in terra, tutti accorrevano. Ma in quella via affollata il Conte camminava solo: quegli che se lo vedevano arrivare al fianco, s'inchinavano umilmente, e si scostavano come per rispetto, e allentavano il passo per restargli addietro: taluno di quelli che lo precedevano, rivolgendosi a caso a guardarsi dietro le spalle, lo scorgeva, lo annunziava sotto voce ai compagni, e tutti studiavano il passo, per non trovarglisi in paro. Giunto al villaggio, sulla piazzetta dov'era la Chiesa, e la casa del Parroco, trovò il Conte una turba dei già arrivati, che aspettavano il momento in cui il Cardinale entrasse nella Chiesa per celebrare gli uficj divini. E qui pure tutti quelli a cui si avvicinava, svignavano pian piano. Il Conte affrontò uno di questi prudenti, in modo che non gli potesse sfuggire e gli chiese bruscamente come annojato che era di quel troppo rispetto, dove fosse il Cardinale Borromeo. «È lì nella casa del curato,» rispose riverentemente l'interrogato. Il Conte si avviò alla casa fra la turba, che si divideva come le acque del Mar Rosso al passaggio degli Ebrei, ed entrò sicuramente nella casa. Quivi un bisbiglio, una curiosità timida, un'ansia, un non saper come accoglierlo. Egli, rivolto ad un prete gli disse che voleva parlare col Cardinale, e chiedeva di essergli tosto annunziato. Il prete che era del paese, fu contento d'avere una commissione del Conte per allontanarsi da lui, e riferì l'imbasciata ad un altro prete del seguito del Cardinale. Quegli si ritirò a consultare coi suoi compagni; e finalmente di mala voglia entrò per dire a Federigo quale visita si presentava. cap. 11 Giunti a questo punto della nostra storia noi ci fermiamo per qualche momento con gioja, come il viaggiatore del deserto s'indugia a diletto alla frescura ristoratrice d'una oasis ombrosa, dov'egli abbia trovata una sorgente di acqua viva. Poichè ci siamo avvenuti in un personaggio, la memoria del quale apporta una placida commozione di riverenza, una nuova giocondità anche alla mente che già stia contemplando, e scorrendo fra gli uomini i più eletti che abbiano lasciato ricordo di sè sulla terra: or quanto più un po' di riposo nella considerazione di lui debb'essere giocondo a noi che da tanto tempo siamo condotti da questa storia per mezzo ad una rude, stolida, schifosa perversità, dalla quale certamente avremmo da lungo tempo ritirato lo sguardo, se il desiderio del vero non ve lo avesse tenuto a forza intento! Federigo Borromeo fu uno degli uomini rarissimi in qualunque tempo, i quali adoperarono una lunga vita, un ingegno eccellente, un animo insistente nella ricerca «di ciò che è pudico, di ciò che è giusto, di ciò che è santo, di ciò che è amabile, di ciò che dà buon nome, di ciò che ha seco virtù, e lode di disciplina7.» Nato coi più bei doni dell'animo, il primo uso che egli fece della sua ragione fu di coltivarli con ardore e con costanza, di custodirli con una attenzione sospettosa, come se fino d'allora egli ponesse cura a conservare tutta bella, tutta irreprensibile una vita, che in progresso di tempo avrebbe avute età così splendide: e infatti la vita di lui è come un ruscello che esce limpido dalla roccia, e limpido va a sboccare nel fiume: tutto ciò che si sa di lui è gentilezza, e sapienza: e gli errori stessi che la prepotenza dell'universale consenso aveva imposti alla sua mente, sono sempre accompagnati e quasi scusati da una intenzione pura, e l'applicazione di esse alle cose della vita è stata per lui un esercizio di tutte le virtù. Fanciullo grave e sobrio, giovane pensoso e pudico, uomo operoso quant'altri mai fosse, senza mai nulla intraprendere, nè maneggiare, nè condurre a fine per un interesse privato di qualsivoglia genere, vecchio soave e candido, egli ebbe in ogni età le virtù più difficili, gli ornamenti più rari, ma non in modo che escludessero i pregi più comuni in quella età a tutti gli uomini. Nutrito tra le pompe e lo splendore delle ricchezze, fra quel basso corteggio che coglie i fortunati del secolo alle prime porte della vita, per corromperli, per cattivarli, per farli fruttare, egli scorse dai primi suoi giorni che l'umiltà, e la staccatezza sono verità, bellezza, e le prescelse: posto sotto la disciplina del suo celeste cugino San Carlo, in presenza di quella virtù severa, e malinconica, l'animo puerile di Federigo non fu disgustato dalla severità, e sentì l'ammirazione e la docilità volonterosa per la virtù. Si diede ardentemente allo studio dalla fanciullezza: ma i metodi stolti d'insegnamento, ma la confusione e la stoltezza delle cose insegnate, il sopracciglio comicamente grave dei maestri lo svogliarono dall'apprendere; e fu questo, o doveva essere il primo segno della eccellenza del suo ingegno. Stomacato dei libri e delle lezioni si diede tutto all'armi e ai cavalli; ma durò in quegli esercizj sol tanto quanto bastasse a mostrarlo disposto ad ogni esercizio che domandi una prontezza di qualunque genere. Il fanciullo voleva sapere, e andava interrogando tutti quegli che egli credeva sapienti; e da tutti gli veniva risposto, che i libri e la scuola soltanto potevano condurlo alla scienza. Sospinto da questa uniformità di consenso, egli tornò voglioso ai libri ed ai maestri; e finì a stare con quelli perseverantemente, vincendo con la volontà le ripugnanze delle quali egli non poteva allora comprendere la ragione profonda. Giovanetto fra i giovanetti nello studio di Pavia, egli trovò quivi stabilite consuetudini, massime, opinioni che distribuivano lode e biasimo alla differente condotta; e non ne fece alcun conto: regolò la sua condotta coi suoi principj, come avrebbe fatto in un eremo, senza esitazione, senza braveria; e solo da prima, opposto quasi in tutto al tipo prescritto dall'opinione, rifiutando tutte le cose che davano la gloria, facendo quelle che rendevano ludibrio, fu in poco tempo oggetto della venerazione dei suoi condiscepoli. Uomo fatto poi, cardinale, arcivescovo, sempre continuò in quella disciplina, di

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