Decameron di Giovanni Boccaccio pagina 96

Testo di pubblico dominio

chiaro, non senza paura della quercia disceso, verso là si dirizzò e tanto andò, che a quello pervenne; dintorno al quale trovò pastori che mangiavano e davansi buon tempo, da' quali esso per pietà fu raccolto. E poi che egli mangiato ebbe e fu riscaldato, contata loro la sua disaventura e come quivi solo arrivato fosse, gli domandò se in quelle parti fosse villa o castello dove egli andar potesse. I pastori dissero che ivi forse a tre miglia era un castello di Liello di Campo di Fiore, nel quale al presente era la donna sua; di che Pietro contentissimo gli pregò che alcun di loro infino al castello l'accompagnasse, il che due di loro fecero volentieri. Al quale pervenuto Pietro e quivi avendo trovato alcun suo conoscente, cercando di trovar modo che la giovane fosse per la selva cercata, fu da parte della donna fatto chiamare; il quale incontanente andò a lei, e vedendo con lei l'Agnolella mai pari letizia non fu alla sua. Egli si struggea tutto d'andarla a abracciare ma per vergogna, la quale avea della donna, lasciava; e se egli fu lieto assai, la letizia della giovane vedendolo non fu minore. La gentil donna, raccoltolo e fattogli festa e avendo da lui ciò che intervenuto gli era udito, il riprese molto di ciò che contro al piacer de' parenti suoi far voleva; ma veggendo che egli era pure a questo disposto e che alla giovane aggradiva, disse: “In che m'affatico io? Costor s'amano, costor si conoscono, ciascuno è parimente amico del mio marito, e il lor desiderio è onesto e credo che egli piaccia a Dio, poiché l'uno dalle forche ha campato e l'altro dalla lancia e amenduni dalle fiere salvatiche: e però facciasi.” E a loro rivolta disse: “Se pure questo v'è all'animo di voler essere moglie e marito insieme, e a me: facciasi, e qui le nozze s'ordinino alle spese di Liello; la pace poi tra voi e' vostri parenti farò io ben fare.” Pietro lietissimo, e l'Agnolella più, quivi si sposarono; e come in montagna si poté, la gentil donna fé loro onorevoli nozze, e quivi i primi frutti del loro amore dolcissimamente sentirono. Poi, ivi a parecchi dì, la donna insieme con loro, montati a cavallo e bene accompagnati se ne tornarono a Roma: dove, trovati forte turbati i parenti di Pietro di ciò che fatto aveva, con loro in buona pace il ritornò; e esso con molto riposo e piacere con la sua Agnolella infino alla lor vecchiezza si visse.– 4 Ricciardo Manardi è trovato da messer Lizio da Valbona con la figliuola, la quale egli sposa e col padre di lei rimane in buona pace. Tacendosi Elissa, le lode ascoltando dalle sue compagne date alla sua novella, impose la reina a Filostrato che alcuna ne dicesse egli; il quale ridendo incominciò: –Io sono stato da tante di voi tante volte morso perché io materia da crudeli ragionamenti e da farvi piagner v'imposi, che a me pare, a volere alquanto questa noia ristorare, esser tenuto di dover dire alcuna cosa per la quale io alquanto vi faccia ridere; e per ciò uno amore, non da altra noia che di sospiri e d'una brieve paura con vergogna mescolata a lieto fin pervenuto, in una novelletta assai piccola intendo di raccontarvi. Non è adunque, valorose donne, gran tempo passato che in Romagna fu un cavaliere assai da bene e costumato, il quale fu chiamato messer Lizio di Valbona, a cui per ventura vicino alla sua vecchiezza una figliuola nacque d'una sua donna chiamata madonna Giacomina. La quale oltre a ogni altra della contrada crescendo divenne bella e piacevole; e per ciò che sola era al padre e alla madre rimasa, sommamente da loro era amata e avuta cara e con maravigliosa diligenza guardata, aspettando essi di far di lei alcun gran parentado. Ora usava molto nella casa di messer Lizio, e molto con lui si riteneva, un giovane bello e fresco della persona il quale era de' Manardi da Brettinoro, chiamato Ricciardo, del quale niuna altra guardia messer Lizio o la sua donna prendevano che fatto avrebbon d'un lor figliuolo. Il quale, una volta e altra veggendo la giovane bellissima e leggiadra e di laudevoli maniere e costumi e già da marito, di lei fieramente s'innamorò, e con gran diligenza il suo amore teneva occulto. Del quale avvedutasi la giovane, senza schifar punto il colpo, lui similmente cominciò a amare, di che Ricciardo fu forte contento. E avendo molte volte avuta voglia di doverle alcuna parola dire e dubitando taciutosi, pure una, preso tempo e ardire, le disse: “Caterina, io ti priego che tu non mi facci morire amando.” La giovane rispose subito: “Volesse Idio che tu non facessi più morir me!” Questa risposta molto di piacere e d'ardire aggiunse a Ricciardo, e dissele: “Per me non starà mai cosa che a grado ti sia, ma a te sta il trovar modo allo scampo della tua vita e della mia.” La giovane allora disse: “Ricciardo, tu vedi quanto io sia guardata, e per ciò da me non so veder come tu a me ti possi venire: ma se tu sai veder cosa che io possa senza mia vergogna fare, dillami, e io la farò.” Ricciardo, avendo più cose pensate, subitamente disse: “Caterina mia dolce, io non so alcuna via vedere, se tu già non dormissi o potessi venire in sul verone che è presso al giardino di tuo padre; dove se io sapessi che tu di notte fossi, senza fallo io m'ingegnerei di venirvi quantunque molto alto sia.” A cui la Caterina rispose: “Se quivi ti dà il cuor di venire, io mi credo ben far sì che fatto mi verrà di dormirvi.” Ricciardo disse di sì; e questo detto una volta sola si basciarono alla sfuggita e andar via. Il dì seguente, essendo già vicino alla fine di maggio, la giovane cominciò davanti alla madre a ramaricarsi che la passata notte per lo soperchio caldo non aveva potuto dormire. Disse la madre: “O figliuola mia, che caldo fa egli? Anzi non fu egli caldo veruno.” A cui la Caterina disse: “Madre mia, voi dovreste dire ‘a mio parere’, e forse vi direste il vero; ma voi dovreste pensare quanto sieno più calde le fanciulle che le donne attempate.” La donna disse allora: “Figliuola mia, così è il vero; ma io non posso fare caldo e freddo a mia posta, come tu forse vorresti.I tempi si convegnon pur sofferir fatti come le stagioni gli danno; forse quest'altra notte sarà più fresco, e dormirai meglio.” “Ora Idio il voglia, “ disse la Caterina “ma non suole essere usanza che andando verso la state le notti si vadano rinfrescando.” “Dunque, “ disse la donna “che vuoi tu che si faccia?” Rispose la Caterina: “Quando a mio padre e a voi piacesse, io farei volentier fare un letticello in sul verone che è allato alla sua camera e sopra il suo giardino e quivi mi dormirei: e udendo cantar l'usignuolo e avendo il luogo più fresco, molto meglio starei che nella vostra camera non fo.” La madre allora disse: “Figliuola, confortati: io il dirò a tuo padre, e come egli vorrà così faremo.” Le quali cose udendo messer Lizio dalla sua donna, per ciò che vecchio era e da questo forse un poco ritrosetto, disse: “Che rusignuolo è questo a che ella vuol dormire? Io la farò ancora adormentare al canto delle cicale.” Il che la Caterina sappiendo, più per isdegno che per caldo non solamente la seguente notte non dormì ma ella non lasciò dormir la madre, pur del gran caldo dolendosi; il che avendo la madre sentito, fu la mattina a messer Lizio e gli disse: “Messere, voi avete poco cara questa giovane: che vi fa egli perché ella sopra quel veron si dorma? Ella non ha in tutta notte trovato luogo di caldo; e oltre a ciò maravigliatevi voi perché egli le sia in piacere l'udir cantar l'usignuolo, che è una fanciullina? I giovani son vaghi delle cose simiglianti a loro.” Messer Lizio udendo questo disse: “Via, faccialevisi un letto tale quale egli vi cape e fallo fasciar da torno d'alcuna sargia: e dormavi e oda cantar l'usignuolo a suo senno.” La giovane, saputo questo, prestamente vi fece fare un letto; e dovendovi la sera vegnente dormire, tanto attese che ella vide Ricciardo e fecegli un segno posto

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Argomenti: sera vegnente,    pari letizia,    ventura vicino

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