Decameron di Giovanni Boccaccio pagina 110

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manda?” Rispose Cisti: “A Arno.” Il che rapportando il famigliare a messer Geri, subito gli occhi gli s'apersero dello 'ntelletto e disse al famigliare: “Lasciami vedere che fiasco tu vi porti”; e vedutol disse: “Cisti dice vero”; e dettagli villania gli fece torre un fiasco convenevole. Il quale Cisti vedendo disse: “Ora so io bene che egli ti manda a me”, e lietamente glielo impié. E poi quel medesimo dì fatto il botticello riempiere d'un simil vino e fattolo soavemente portare a casa di messer Geri, andò appresso, e trovatolo gli disse: “Messere, io non vorrei che voi credeste che il gran fiasco stamane m'avesse spaventato; ma, parendomi che vi fosse uscito di mente ciò che io a questi dì co' miei piccoli orcioletti v'ho dimostrato, cioè che questo non sia vin da famiglia, vel volli staman raccordare. Ora, per ciò che io non intendo d'esservene più guardiano, tutto ve l'ho fatto venire: fatene per innanzi come vi piace.” Messer Geri ebbe il dono di Cisti carissimo e quelle grazie gli rendé che a ciò credette si convenissero, e sempre poi per da molto l'ebbe e per amico.– 3 Monna Nonna de' Pulci con una presta risposta al meno che onesto motteggiare del vescovo di Firenze silenzio impone. Quando Pampinea la sua novella ebbe finita, poi che da tutti e la risposta e la liberalità di Cisti molto fu commendata, piacque alla reina che Lauretta dicesse appresso; la quale lietamente così a dir cominciò: –Piacevoli donne, prima Pampinea e ora Filomena assai del vero toccarono della nostra poca vertù e della bellezza de' motti; alla qual per ciò che tornar non bisogna, oltre a quello che de' motti è stato detto, vi voglio ricordare essere la natura de' motti cotale, che essi, come la pecora morde, deono così mordere l'uditore e non come 'l cane: per ciò che, se come il cane mordesse il motto, non sarebbe motto ma villania. La qual cosa ottimamente fecero e le parole di madonna Oretta e la risposta di Cisti. È il vero che, se per risposta si dice e il risponditore morda come cane, essendo come da cane prima stato morso, non par da riprender come, se ciò avvenuto non fosse, sarebbe: e per ciò è da guardare e come e quando e con cui e similmente dove si motteggia. Alle quali cose poco guardando già un nostro prelato, non minor morso ricevette che 'l desse: il che io in una piccola novella vi voglio mostrare. Essendo vescovo di Firenze messere Antonio d'Orso, valoroso e savio prelato, venne in Firenze un gentile uom catalano, chiamato messer Dego della Ratta, maliscalco per lo re Ruberto; il quale essendo del corpo bellissimo e vie più che grande vagheggiatore, avvenne che fra l'altre donne fiorentine una ne gli piacque, la quale era assai bella donna e era nepote d'un fratello del detto vescovo. E avendo sentito che il marito di lei, quantunque di buona famiglia fosse, era avarissimo e cattivo, con lui compose di dovergli dare cinquecento fiorin d'oro, e egli una notte con la moglie il lasciasse giacere; per che, fatti dorare popolini d'ariento, che allora si spendevano, giaciuto con la moglie, come che contro al piacer di lei fosse, gliele diede. Il che poi sappiendosi per tutto, rimasero al cattivo uomo il danno e le beffe; e il vescovo, come savio, s'infinse di queste cose niente sentire. Per che, usando molto insieme il vescovo e 'l maliscalco, avvenne che il dì di san Giovanni, cavalcando l'uno allato all'altro veggendo le donne per la via onde il palio si corre, il vescovo vide una giovane la quale questa pistolenzia presente ci ha tolta donna, il cui nome fu monna Nonna de' Pulci, cugina di messere Alesso Rinucci e cui voi tutte doveste conoscere: la quale essendo allora una fresca e bella giovane e parlante e di gran cuore, di poco tempo avanti in Porta San Piero a marito venutane, la mostrò al maliscalco; e poi, essendole presso, posta la mano sopra la spalla del maliscalco, disse: “Nonna, che ti par di costui? crederestil vincere?” Alla Nonna parve che quelle parole alquanto mordessero la sua onestà o la dovesser contaminare negli animi di coloro, che molti v'erano, che l'udirono; per che, non intendendol a purgar questa contaminazione ma a render colpo per colpo, prestamente rispose: “Messere, e forse non vincerebbe me; ma vorrei buona moneta.” La qual parola udita il maliscalco e 'l vescovo, sentendosi parimente trafitti, l'uno sì come facitore della disonesta cosa nella nepote del fratel del vescovo e l'altro sì come ricevitore nella nepote del proprio fratello, senza guardar l'un l'altro vergognosi e taciti se n'andarono, senza più quel giorno dirle alcuna cosa. Così adunque, essendo la giovane stata morsa, non le si disdisse il mordere altrui motteggiando.– 4 Chichibio, cuoco di Currado Gianfigliazzi, con una presta parola a sua salute l'ira di Currado volge in riso e sé campa dalla mala ventura minacciatagli da Currado. Tacevasi già la Lauretta e da tutti era stata sommamente commendata la Nonna, quando la reina a Neifile impose che seguitasse; la qual disse: –Quantunque il pronto ingegno, amorose donne, spesso parole presti e utili e belle, secondo gli accidenti, a' dicitori, la fortuna ancora, alcuna volta aiutatrice de' paurosi, sopra la lor lingua subitamente di quelle pone che mai a animo riposato per lo dicitore si sareber sapute trovare: il che io per la mia novella intendo di dimostrarvi. Currado Gianfigliazzi, sì come ciascuna di voi e udito e veduto puote avere, sempre della nostra città è stato notabile cittadino, liberale e magnifico, e vita cavalleresca tenendo continuamente in cani e in uccelli s'è dilettato, le sue opere maggiori al presente lasciando stare. Il quale con un suo falcone avendo un dì presso a Peretola una gru ammazzata, trovandola grassa e giovane, quella mandò a un suo buon cuoco, il quale era chiamato Chichibio e era viniziano; e sì gli mandò dicendo che a cena l'arrostisse e governassela bene. Chichibio, il quale come nuovo bergolo era così pareva, acconcia la gru, la mise a fuoco e con sollecitudine a cuocer la cominciò. La quale essendo già presso che cotta e grandissimo odor venendone, avvenne che una feminetta della contrada, la quale Brunetta era chiamata e di cui Chichibio era forte innamorato, entrò nella cucina, e sentendo l'odor della gru e veggendola pregò caramente Chichibio che ne le desse una coscia. Chichibio le rispose cantando e disse: “Voi non l'avrì da mi, donna Brunetta, voi non l'avrì da mi.” Di che donna Brunetta essendo turbata, gli disse: “In fé di Dio, se tu non la mi dai, tu non avrai mai da me cosa che ti piaccia”, e in brieve le parole furon molte; alla fine Chichibio, per non crucciar la sua donna, spiccata l'una delle cosce alla gru, gliele diede. Essendo poi davanti a Currado e a alcun suo forestiere messa la gru senza coscia, e Currado, maravigliandosene, fece chiamare Chichibio e domandollo che fosse divenuta l'altra coscia della gru. Al quale il vinizian bugiardo subitamente rispose: “Signor mio, le gru non hanno se non una coscia e una gamba.” Currado allora turbato disse: “Come diavol non hanno che una coscia e una gamba? Non vid'io mai più gru che questa?” Chichibio seguitò: “Egli è, messer, com'io vi dico; e quando vi piaccia, io il vi farò veder ne' vivi.” Currado per amore de' forestieri che seco avea non volle dietro alle parole andare, ma disse: “Poi che tu di' di farmelo veder ne' vivi, cosa che io mai più non vidi né udi' dir che fosse, e io il voglio veder domattina e sarò contento; ma io ti giuro in sul corpo di Cristo che, se altramenti sarà, che io ti farò conciare in maniera, che tu con tuo danno ti ricorderai, sempre che tu ci viverai, del nome mio.” Finite adunque per quella sera le parole, la mattina seguente, come il giorno apparve, Currado, a cui non era per lo dormire l'ira cessata, tutto ancor gonfiato si levò e comandò che i cavalli gli fossero menati; e fatto montar Chichibio sopra un ronzino, verso una fiumana, alla riva della quale

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