Decameron di Giovanni Boccaccio pagina 58

Testo di pubblico dominio

parlare?” Catella rispose: “Sì, sono.” “Adunque, “ disse la buona femina “andatevene da lui.” Catella, che cercando andava quello che ella non avrebbe voluto trovare, fattasi alla camera menare dove Ricciardo era, col capo coperto in quella entrò e dentro serrossi. Ricciardo, vedendola venire, lieto si levò in piè e in braccio ricevutala disse pianamente: “Ben vegna l'anima mia!” Catella, per mostrarsi bene d'essere altra che ella non era, abbracciò e basciò lui e fecegli la festa grande senza dire alcuna parola, temendo, se parlasse, non fosse da lui conosciuta. La camera era oscurissima, di che ciascuna delle parti era contenta; né per lungamente dimorarvi riprendevan gli occhi più di potere. Ricciardo la condusse in su il letto, e quivi, senza favellare in guisa che scorger si potesse la voce, per grandissimo spazio con maggior diletto e piacere dell'una parte che dell'altra stettero. Ma poi che a Catella parve tempo di dovere il conceputo sdegno mandar fuori, così di fervente ira accesa cominciò a parlare: “Ahi quanto è misera la fortuna delle donne e come è male impiegato l'amor di molte ne' mariti! Io, misera me, già sono otto anni, t'ho più che la mia vita amato, e tu, come io sentito ho, tutto ardi e consumiti nell'amore d'una donna strana, reo e malvagio uom che tu se'! Or con cui ti credi tu essere stato? Tu se' stato con colei la quale con false lusinghe tu hai, già è assai, ingannata mostrandole amore e essendo altrove innamorato. Io son Catella, non son la moglie di Ricciardo, traditor disleal che tu se': ascolta se tu riconosci la voce mia, io son ben dessa; e parmi mille anni che noi siamo al lume, ché io ti possa svergognare come tu se' degno, sozzo cane vituperato che tu se'. Oimè, misera me! a cui ho io cotanti anni portato cotanto amore? A questo can disleale che, credendosi in braccio avere una donna strana, m'ha più di carezze e d'amorevolezze fatte in questo poco tempo che qui stata son con lui, che in tutto l'altro rimanente che stata son sua. Tu se' bene oggi, can rinnegato, stato gagliardo, che a casa ti suogli mostrare così debole e vinto e senza possa! Ma lodato sia Idio, che il tuo campo, non l'altrui, hai lavorato, come tu ti credevi. Non maraviglia che stanotte tu non mi ti appressasti! tu aspettavi di scaricare le some altrove e volevi giugnere molto fresco cavaliere alla battaglia: ma lodato sia Idio e il mio avvedimento, l'acqua è pur corsa alla ingiù come ella doveva! Ché non rispondi, reo uomo? ché non di' qualche cosa? se' tu divenuto mutolo udendomi? In fé di Dio io non so a che io mi tengo che io non ti ficco le mani negli occhi e traggogliti! Credesti molto celatamente saper fare questo tradimento? Par Dio! tanto sa altri quanto altri; non t'è venuto fatto, io t'ho avuti miglior bracchi alla coda che tu non credevi.” Ricciardo in se medesimo godeva di queste parole e senza rispondere alcuna cosa l'abbracciava e basciava, e più che mai le facea le carezze grandi; per che ella seguendo il suo parlar diceva: “Sì, tu mi credi ora con tue carezze infinte lusingare, can fastidioso che tu se', e rapaceficare e racconsolare; tu se' errato: io non sarò mai di questa cosa consolata infino a tanto che io non te ne vitupero in presenzia di quanti parenti e amici e vicini noi abbiamo. Or non sono io, malvagio uomo, così bella come sia la moglie di Ricciardo Minutolo? non sono io così gentil donna? ché non rispondi, sozzo cane? che ha colei più di me? Fatti in costà, non mi toccare, ché tu hai troppo fatto d'arme per oggi. Io so bene che oggimai, poscia che tu conosci chi io sono, che tu ciò che tu facessi faresti a forza: ma, se Dio mi dea la grazia sua, io te ne farò ancora patir voglia; e non so a che io mi tengo che io non mando per Ricciardo, il quale più che sé m'ha amata e mai non poté vantarsi che io il guatassi pure una volta; e non so che male si fosse a farlo. Tu hai creduto avere la moglie qui, e è come se avuta l'avessi in quanto per te non è rimaso: dunque, se io avessi lui, non mi potresti con ragione biasimare.” Ora le parole furono assai e il ramarichio della donna grande: pure alla fine Ricciardo, pensando che se andare ne lasciasse con questa credenza molto di male ne potrebbe seguire, diliberò di palesarsi e di trarla dello inganno nel quale era; e recatasela in braccio e presala bene sì che partire non si poteva, disse: “Anima mia dolce, non vi turbate: quello che io semplicemente amando aver non potei, Amor con inganno m'ha insegnato avere, e sono il vostro Ricciardo.” Il che Catella udendo, e conoscendolo alla voce, subitamente si volle gittar del letto ma non poté; ond'ella volle gridare ma Ricciardo le chiuse con l'una delle mani la bocca e disse: “Madonna, egli non può oggimai essere che quello che è stato non sia pure stato, se voi gridaste tutto il tempo della vita vostra; e se voi criderete o in alcuna maniera farete che questo si senta mai per alcuna persona, due cose n'averranno. L'una fia, di che non poco vi dee calere, che il vostro onore e la vostra buona fama fia guasta, per ciò che, come che voi diciate che io qui a inganno v'abbia fatta venire, io dirò che non sia vero, anzi vi ci abbia fatta venire per denari e per doni che io v'abbia promessi, li quali per ciò che così compiutamente dati non v'ho come speravate, vi siete turbata e queste parole e questo romor ne fate: e voi sapete che la gente è più acconcia a creder il male che il bene, e per ciò non fia men tosto creduto a me che a voi. Appresso questo ne seguirà tra vostro marito e me mortal nimistà, e potrebbe sì andare la cosa, che io ucciderei altressi tosto lui, come egli me: di che mai voi non dovreste esser poi né lieta né contenta. E per ciò, cuor del corpo mio, non vogliate a una ora vituperar voi e mettere in pericolo e in briga il vostro marito e me. Voi non siete la prima né sarete l'ultima la quale è ingannata: né io non v'ho ingannata per torvi il vostro ma per soverchio amore che io vi porto e son disposto sempre a portarvi, e a essere vostro umilissimo servidore. E come che sia gran tempo che io e le mie cose e ciò che io posso e vaglio vostre state sieno e al vostro servigio, io intendo che da quinci innanzi sieno più che mai. Ora voi siete savia nell'altre cose e così son certo che sarete in questa.” Catella, mentre che Ricciardo diceva queste parole, piangeva forte; e come che molto turbata fosse e molto si ramaricasse, nondimeno diede tanto luogo la ragione alle vere parole di Ricciardo, che ella cognobbe esser possibile a avvenire ciò che Ricciardo diceva, e per ciò disse: “Ricciardo, io non so come Domenedio mi si concederà che io possa comportare la 'ngiuria e lo 'nganno che fatto m'hai. Non voglio gridar qui, dove la mia simplicità e soperchia gelosia mi condusse, ma di questo vivi sicuro, che io non sarò mai lieta se in un modo o in un altro io non mi veggio vendica di ciò che fatto m'hai; e per ciò lasciami, non mi tener più: tu hai avuto ciò che disiderato hai e ha'mi straziata quanto t'è piaciuto. Tempo hai di lasciarmi: lasciami, io te ne priego.” Ricciardo, che conoscea l'animo suo ancora troppo turbato, s'avea posto in cuore di non lasciarla mai se la sua pace non riavesse: per che, cominciando con dolcissime parole a raumiliarla, tanto disse e tanto pregò e tanto scongiurò, che ella, vinta, con lui si paceficò; e di pari volontà di ciascuno gran pezza appresso in grandissimo diletto dimorarono insieme. E conoscendo allora la donna quanto più saporiti fossero i basci dell'amante che quegli del marito, voltata la sua durezza in dolce amore verso Ricciardo, tenerissimamente da quel giorno innanzi l'amò, e savissimamente operando molte volte goderono del loro amore. Idio faccia noi goder del nostro.– 7 Tedaldo, turbato con una sua donna, si parte di Firenze; tornavi in forma di peregrino dopo alcun tempo, parla con la donna e falla del suo error e conoscente, e libera il marito di lei

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Argomenti: dolce amore,    festa grande,    sozzo cane,    fresco cavaliere,    soverchio amore

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