Decameron di Giovanni Boccaccio pagina 33

Testo di pubblico dominio

Perdicon fare, con altezza d'animo propose di calcare la miseria della sua fortuna. E alle sue femine, che più che tre rimase non le ne erano, comandò che a alcuna persona mai manifestassero chi fossero, salvo se in parte si trovassero dove aiuto manifesto alla lor libertà conoscessero; oltre a questo sommamente confortandole a conservare la loro castità, affermando sé avere seco proposto che mai di lei se non il suo marito goderebbe. Le sue femine di ciò la commendarono e dissero di servare al lor potere il suo comandamento. Perdicone, più di giorno in giorno accendendosi e tanto più quanto più vicina si vedeva la disiderata cosa e più negata, e veggendo che le sue lusinghe non gli valevano, dispose lo 'ngegno e l'arti riserbandosi alla fine le forze. E essendosi avveduto alcuna volta che alla donna piaceva il vino, sì come a colei che usata non era di bere per la sua legge che il vietava, con quello, sì come con ministro di Venere, s'avisò di poterla pigliare: e mostrando di non aver cura di ciò che ella si mostrava schifa, fece una sera per modo di solenne festa una bella cena nella quale la donna venne; e in quella, essendo di molte cose la cena lieta, ordinò con colui che a lei servia che di varii vini mescolati le desse bere. Il che colui ottimamente fece; e ella, che di ciò non si guardava, dalla piacevolezza del beveraggio tirata più ne prese che alla sua onestà non si sarebbe richesto: di che ella, ogni avversità trapassata dimenticando, divenne lieta, e veggendo alcune femine alla guisa di Maiolica ballare essa alla maniera allessandrina ballò. Il che veggendo Pericone, esser gli parve vicino a quello che egli disiderava; e continuando in più abbondanza di cibi e di beveraggi la cena, per grande spazio di notte la prolungò. Ultimamente, partitisi i convitati, con la donna solo se ne entrò nella camera: la quale, più calda di vino che d'onestà temperata, quasi come se Pericone una delle sue femine fosse, senza alcuno ritegno di vergogna in presenzia di lui spogliatasi, se n'entrò nel letto. Pericone non diede indugio a seguitarla, ma spento ogni lume prestamente dall'altra parte le si coricò allato e, in braccio recatalasi senza alcuna contradizione di lei, con lei incominciò amorosamente a sollazzarsi. Il che poi che ella ebbe sentito, non avendo mai davanti saputo con che corno gli uomini cozzano, quasi pentuta del non avere alle lusinghe di Pericone assentito, senza attendere d'essere a così dolci notti invitata, spesse volte se stessa invitava non con le parole, ché non si sapea fare intendere, ma co' fatti. A questo gran piacere di Pericone e di lei, non essendo la fortuna contenta d'averla di moglie d'un re fatta divenire amica d'un castellano, le si parò davanti più crudele amistà. Aveva Pericone un fratello d'età di venticinque anni, bello e fresco come una rosa, il cui nome era Marato; il quale, avendo costei veduta e essendogli sommamente piaciuta, parendogli, secondo che per gli atti di lei poteva comprendere, essere assai bene della grazia sua e estimando che ciò che di lei disiderava niuna cosa gliele toglieva se non la solenne guardia che faceva di lei Pericone, cadde in un crudel pensiero: e al pensiero seguì senza indugio lo scellerato effetto. Era allora per ventura nel porto della città una nave la quale di mercatantia era carica per andare in Chiarenza in Romania, della quale due giovani genovesi eran padroni, e già aveva collata la vela per doversi, come buon vento fosse, partire; con li quali Marato convenutosi ordinò come da loro con la donna la seguente notte ricevuto fosse. E questo fatto, faccendosi notte, seco ciò che far doveva avendo disposto, alla casa di Pericone, il quale di niente da lui si guardava, sconosciutamente se n'andò con alcuni suoi fidatissimi compagni li quali a quello che fare intendeva richesti aveva, e nella casa, secondo l'ordine tra lor posto, si nascose. E poi che parte della notte fu trapassata, aperto a' suoi compagni là dove Pericon con la donna dormiva e quella aperta, Pericone dormente uccisono e la donna desta e piagnente minacciando di morte, se alcun romor facesse, presero; e con gran parte delle più preziose cose di Pericone, senza essere stati sentiti, prestamente alla marina n'andarono, e quindi senza indugio sopra la nave se ne montarono Marato e la donna, e' suoi compagni se ne tornarono. I marinari, avendo buon vento e fresco, fecero vela al lor viaggio. La donna amaramente e della sua prima sciagura e di questa seconda si dolfe molto; ma Marato col santo cresci in man che Dio ci diè la cominciò per sì fatta maniera a consolare, che ella, già con lui dimesticatasi, Pericone dimenticato aveva; e già le pareva star bene quando la fortuna l'apparecchiò nuova tristizia, quasi non contenta delle passate. Per ciò che, essendo ella di forma bellissima, sì come già più volte detto avemo, e di maniere laudevoli molto, sì forte di lei i due giovani padroni della nave s'innamorarono, che, ogni altra cosa dimenticatane, a servirle e a piacerle intendevano, guardandosi sempre non Marato s'accorgesse della cagione. E essendosi l'un dell'altro di questo amore avveduto, di ciò ebbero insieme segreto ragionamento e convennersi di fare l'acquisto di questo amor comune, quasi amore così questo dovesse patire come la mercatantia o i guadagni fanno. E veggendola molto da Marato guardata, e per ciò alla loro intenzione impediti, andando un dì a vela velocissimamente la nave e Marato standosi sopra la poppa e verso il mare riguardando, di niuna cosa da lor guardandosi, di concordia andarono e, lui prestamente di dietro preso, il gittarono in mare; e prima per ispazio di più d'un miglio dilungati furono, che alcuno si fosse pure avveduto Marato esser caduto in mare. Il che sentendo la donna e non veggendosi via da poterlo ricoverare, nuovo cordoglio sopra la nave a far cominciò. Al conforto della quale i due amanti incontanente vennero e con dolci parole e con promesse grandissime, quantunque ella poco intendesse, lei, che non tanto il perduto Marato quanto la sua sventura piagnea, s'ingegnavan di racchetare. E dopo lunghi sermoni e una e altra volta con lei usati, parendo loro lei quasi avere racconsolata, a ragionamento venner tra se medesimi qual prima di loro la dovesse con seco menare a giacere. E volendo ciascuno essere il primo né potendosi in ciò tra loro alcuna concordia trovare, prima con parole grave e dura riotta incominciarono, e da quella accesi nell'ira, messo mano alle coltella, furiosamente s'andarono adosso e più colpi, non potendo quegli che sopra la nave eran dividergli, si diedono insieme: de' quali incontanente l'un cadde morto e l'altro in molte parti della persona gravemente fedito rimase in vita. Il che dispiacque molto alla donna, sì come a colei che quivi sola senza aiuto o consiglio d'alcun si vedea e temeva forte non sopra lei l'ira si volgesse de' parenti e degli amici de' due padroni; ma i prieghi del fedito e il prestamente pervenire a Chiarenza dal pericolo della morte la liberarono. Dove col fedito insieme discese in terra: e con lui dimorando in uno albergo, subitamente corse la fama della sua gran bellezza per la città, e agli orecchi del prenze della Morea, il quale allora era in Chiarenza, pervenne. Laonde egli veder la volle, e vedutala e oltre a quello che la fama portava bella parendogli, sì forte di lei subitamente s'innamorò, che a altro non poteva pensare; e avendo udito in che guisa quivi pervenuta fosse, s'avvisò di doverla potere avere. E cercando de' modi e i parenti del fedito sappiendolo, senza altro aspettare prestamente gliele mandarono: il che al prenze fu sommamente caro e alla donna altressì, per ciò che fuori d'un gran pericolo esser le parve. Il prenze vedendola oltre alla bellezza ornata di costumi reali, non potendo altramenti saper chi ella si fosse, nobile donna dovere essere la stimò e pertanto il suo amore in lei si raddoppiò; e onorevolmente molto tenendola, non a

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