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Decameron di Giovanni Boccaccio pagina 132dico che la novella detta da Elissa del compare e della comare e appresso la bessaggine de' sanesi hanno tanta forza, carissime donne, che, lasciando star le beffe agli sciocchi mariti fatte dalle lor savie mogli, mi tirano a dovervi contare una novelletta di loro: la quale, ancora che in sé abbia assai di quello che creder non si dee, nondimeno sarà in parte piacevole a ascoltare. Furono adunque in Siena due giovani popolari, de' quali l'uno ebbe nome Tingoccio Mini e l'altro fu chiamato Meuccio di Tura, e abitavano in Porta Salaia; e quasi mai non usavano se non l'un con l'altro, e per quello che paresse s'amavano molto. E andando, come gli uomini vanno, alle chiese e alle prediche, più volte udito avevano e della gloria e della miseria che all'anime di color che morivano era, secondo li lor meriti, conceduta nell'altro mondo; delle quali cose disiderando di saper certa novella né trovando il modo, insieme si promisero che qual prima di lor morisse, a colui che vivo fosse rimaso, se potesse, ritornerebbe e direbbegli novelle di quello che egli disiderava: e questo fermaron con giuramento. Avendosi adunque questa promession fatta e insieme continuamente usando, come è detto, avvenne che Tingoccio divenne compare d'uno Ambruogio Anselmini, che stava in Camporeggi, il quale d'una sua donna chiamata monna Mita aveva avuto un figliuolo. Il quale Tingoccio insieme con Meuccio visitando alcuna volta questa sua comare, la quale era una bellissima e vaga donna, non obstante il comparatico s'inamorò di lei; e Meuccio similemente, piacendogli ella molto e molto udendola commendare a Tingoccio, se ne innamorò. E di questo amore l'un si guardava dall'altro, ma non per una medesima ragione: Tingoccio si guardava di scoprirlo a Meuccio per la cattività che a lui medesimo parea fare d'amare la comare, e sarebbesi vergognato che alcuno l'avesse saputo; Meuccio non se ne guardava per questo ma perché già avveduto s'era che ella piaceva a Tingoccio, laonde egli diceva: “Se io questo gli discuopro, egli prenderà gelosia di me, e potendole a ogni suo piacere parlare, sì come compare, in ciò che egli potrà la mi metterà in odio, e così mai cosa che mi piaccia di lei io non avrò.” Ora, amando questi due giovani come detto è, avvenne che Tingoccio, al quale era più destro il potere alla donna aprire ogni suo disiderio, tanto seppe fare e con atti e con parole, che egli ebbe di lei il piacer suo; di che Meuccio s'accorse bene, e quantunque molto gli dispiacesse, pure, sperando di dovere alcuna volta pervenire al fine del suo disiderio, acciò che Tingoccio non avesse materia né cagione di guastargli o d'impedirgli alcun suo fatto, faceva pur vista di non avvedersene. Così amando i due compagni, l'uno più felicemente che l'altro, avvenne che, trovando Tingoccio nelle possessioni della comare il terren dolce, tanto vangò e tanto lavorò, che una infermità ne gli sopravvenne; la quale dopo alquanti dì sì l'aggravò forte, che, non potendola sostenere, trapassò di questa vita. E trapassato il terzo dì appresso, ché forse prima non avea potuto, se ne venne, secondo la promession fatta, una notte nella camera di Meuccio e lui, il quale forte dormiva, chiamò. Meuccio destatosi disse: “Qual se' tu?” A cui egli rispose: “Io son Tingoccio, il quale, secondo la promessione che io ti feci, sono a te tornato a dirti novelle dell'altro mondo.” Alquanto si spaventò Meuccio veggendolo, ma pure rassicurato disse: “Tu sie il ben venuto, fratel mio!”, e poi il domandò se egli era perduto. Al quale Tingoccio rispose: “Perdute son le cose che non si ritruovano: e come sare' io in mei chi se io fossi perduto?” “Deh, “ disse Meuccio “io non dico così, ma io ti dimando se tu se' tra l'anime dannate nel fuoco pennace di Ninferno.” A cui Tingoccio rispose: “Costetto no, ma io son bene, per li peccati da me commessi, in gravissime pene e angosciose molto.” Domandò allora Meuccio particularmente Tingoccio che pene si dessero di là per ciascun de' peccati che di qua si commettono, e Tingoccio gliele disse tutte. Poi il domandò Meuccio se egli avesse di qua per lui a fare alcuna cosa. A cui Tingoccio rispose di sì, e ciò era che egli facesse per lui dire delle messe e delle orazioni e fare delle limosine, per ciò che queste cose molto giovavano a quei di là; a cui Meuccio disse di farlo volentieri. E partendosi Tingoccio da lui, Meuccio si ricordò della comare, e sollevato alquanto il capo disse: “Ben che mi ricorda, o Tingoccio: della comare con la quale tu giacevi quando eri di qua, che pena t'è di là data?” A cui Tingoccio rispose: “Fratel mio, come io giunsi di là, si fu uno il qual pareva che tutti i miei peccati sapesse a mente, il quale mi comandò che io andassi in quel luogo nel quale io piansi in grandissima pena le colpe mie, dove io trovai molti compagni a quella medesima pena condannati che io; e stando io tra loro e ricordandomi di ciò che già fatto avea con la comare e aspettando per quello troppo maggior pena che quella che data m'era, quantunque io fossi in un gran fuoco e molto ardente, tutto di paura tremava. Il che sentendo un che m'era dallato, mi disse: ‘Che hai tu più che gli altri che qui sono, che triemi stando nel fuoco?’ ‘O, ’ diss'io ‘amico mio, io ho gran paura del giudicio che io aspetto d'un gran peccato che io feci già.’ Quegli allora mi domandò che peccato quel fosse. A cui io dissi: ‘Il peccato fu cotale, che io mi giaceva con una mia comare, e giacquivi tanto, che io me ne scorticai.’ E egli allora, faccendosi beffe di ciò, mi disse: ‘Va, sciocco, non dubitare, ché di qua non si tiene ragione alcuna delle comari!’; il che io udendo tutto mi rassicurai.” E detto questo, appressandosi il giorno disse: “Meuccio, fatti con Dio, ché io non posso più esser con teco”; e subitamente andò via. Meuccio, avendo udito che di là niuna ragion si teneva delle comari, cominciò a far beffe della sua sciocchezza, per ciò che già parecchie n'avea risparmiate; per che, lasciata andar la sua ignoranza, in ciò per innanzi divenne savio. Le quali cose se frate Rinaldo avesse sapute, non gli sarebbe stato bisogno d'andar silogizzando quando convertì a' suoi piaceri la sua buona comare.– Conclusione Zefiro era levato per lo sole che al ponente s'avicinava, quando il re, finita la sua novella né altro alcun restandovi a dire, levatasi la corona di testa, sopra il capo la pose alla Lauretta dicendo:–Madonna, io vi corono di voi medesima reina della nostra brigata; quello omai che crederete che piacer sia di tutti e consolazione, sì come donna comanderete–; e riposesi a sedere. La Lauretta, divenuta reina, si fece chiamare il siniscalco, al quale impose che ordinasse che nella piacevole valle alquanto a migliore ora che l'usato si mettesser le tavole, acciò che poi adagio si potessero al palagio tornare; e appresso ciò che a fare avesse, mentre il suo reggimento durasse, gli divisò. Quindi, rivolta alla compagnia, disse:–Dioneo volle ieri che oggi si ragionasse delle beffe che le donne fanno a' mariti; e, se non fosse che io non voglio mostrare d'essere di schiatta di can botolo che incontanente si vuol vendicare, io direi che domane si dovesse ragionare delle beffe che gli uomini fanno alle lor mogli. Ma lasciando star questo, dico che ciascun pensi di dire di quelle beffe che tutto il giorno o donna a uomo o uomo a donna o l'uno uomo all'altro si fanno; e credo che in questo sarà non meno di piacevole ragionare che stato sia questo giorno–; e così detto, levatasi in piè, per infino a ora di cena licenziò la brigata. Levaronsi adunque le donne e gli uomini parimente, de' quali alcuni scalzi per la chiara acqua cominciarono a andare, e altri tra' belli e diritti arbori sopra il verde prato s'andavano diportando. Dioneo e la Fiammetta gran pezza cantarono insieme d'Arcita e di Palemone: e così varii e diversi diletti pigliando, il tempo infino all'ora Tag: comare donna uno fare tanto gran pena cose qua Argomenti: verde prato, piacevole valle, valle alquanto, piacevole valle alquanto Altri libri consultabili online del sito affini al contenuto della pagina: Il diavolo nell'ampolla di Adolfo Albertazzi L'Olimpia di Giambattista Della Porta Novelle rusticane di Giovanni Verga Rinaldo di Torquato Tasso Confessioni di un Italiano di Ippolito Nievo Articoli del sito affini al contenuto della pagina: Come far vivere a lungo la mimosa Come riconoscere i sintomi di una gravidanza Thailandia la terra del sorriso Capodanno in Polonia Come si fa lo screenshot sul computer
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