Decameron di Giovanni Boccaccio pagina 145

Testo di pubblico dominio

penitenza nelle salvatiche fiere come tu se', e similmente della vendetta, vuole essere la morte, dove negli uomini quello dee bastare che tu dicesti. Per che, quantunque io aquila non sia, te non colomba ma velenosa serpe conoscendo, come antichissimo nemico con ogni odio e con tutta la forza di perseguire intendo, con tutto che questo che io ti fo non si possa assai propriamente vendetta chiamare ma più tosto gastigamento, in quanto la vendetta dee trapassar l'offesa, e questo non v'agiugnerà: per ciò che se io vendicar mi volessi, riguardando a che partito tu ponesti l'anima mia, la tua vita non mi basterebbe togliendolati, né cento altre alla tua simiglianti, per ciò che io ucciderei una vile e cattiva e rea feminetta. E da che diavol, togliendo via cotesto tuo pochetto di viso, il quale pochi anni guasteranno riempiendolo di crespe, se' tu più che qualunque altra dolorosetta fante? dove per te non rimase di far morire un valente uomo, come tu poco avanti mi chiamasti, la cui vita ancora potrà più in un dì essere utile al mondo che centomilia tue pari non potranno mentre il mondo durar dee. Insegnerotti adunque con questa noia che tu sostieni che cosa sia lo schernir gli uomini che hanno alcun sentimento e che cosa sia lo schernir gli scolari; e darotti materia di giammai più in tal follia non cader, se tu campi. Ma se tu n'hai così gran voglia di scendere, ché non te ne gitti tu in terra? E a un'ora con l'aiuto di Dio, fiaccandoti tu il collo, uscirai della pena nella quale esser ti pare e me farai il più lieto uom del mondo. Ora io non ti vo' dir più: io seppi tanto fare che io costà sù ti feci salire; sappi tu ora tanto fare che tu ne scenda, come tu mi sapesti beffare”. Parte che lo scolare questo diceva, la misera donna piagneva continuo e il tempo se n'andava, sagliendo tuttavia il sol più alto; ma poi che ella il sentì tacer, disse: “Deh! crudele uomo, se egli ti fu tanto la maladetta notte grave e parveti il fallo mio così grande, che né ti posson muovere a pietate alcuna la mia giovane bellezza, le amare lagrime né gli umili prieghi, almeno muovati alquanto e la tua severa rigidezza diminuisca questo solo mio atto, l'essermi di te nuovamente fidata e l'averti ogni mio segreto scoperto col quale ho data via al tuo disidero in potermi fare del mio peccato conoscente; con ciò sia cosa che, senza fidarmi io di te, niuna via fosse a te a poterti di me vendicare, il che tu mostri con tanto ardore aver disiderato. Deh, lascia l'ira tua e perdonami omai! io sono, quando tu perdonar mi vogli e di quinci farmi discendere, acconcia d'abandonare del tutto il disleal giovane e te solo avere per amadore e per signore, quantunque tu molto la mia bellezza biasimi brieve e poco cara mostrandola; la quale, chente che ella, insieme con quella dell'altre, si sia, pur so che, se per altro non fosse da aver cara, sì è per ciò che vaghezza e trastullo e diletto è della giovanezza degli uomini: e tu non se' vecchio. E quantunque io crudelmente da te trattata sia, non posso per ciò credere che tu volessi vedermi fare così disonesta morte come sarebbe il gittarmi a guisa di disperata quinci giù dinanzi agli occhi tuoi, a' quali, se tu bugiardo non eri come se' diventato, già piacqui cotanto. Deh, increscati di me per Dio e per pietà! il sole s'incomincia a riscaldar troppo, e come il troppo fresco questa notte m'offese, così il caldo m'incomincia a far grandissima noia.” A cui lo scolare, che a diletto la teneva a parole, rispose: “Madonna, la tua fede non si rimise ora nelle mie mani per amore che tu mi portassi ma per racquistar quello che tu perduto avevi, e per ciò niuna cosa merita altro che maggior male: e mattamente credi, se tu credi questa sola via, senza più, essere alla disiderata vendetta da me oportuna stata. Io n'aveva mille altre, e mille lacciuoli col mostrar d'amarti t'aveva tesi intorno a' piedi, né guari di tempo era a andare, che di necessità, se questo avvenuto non fosse, ti conveniva in uno incappare, né potevi incappare in alcuno, che in maggior pena e vergogna che questa non ti fia caduta non fossi: e questo presi non per agevolarti, ma per esser più tosto lieto. E dove tutti mancati mi fossero, non mi fuggiva la penna, con la quale tante e sì fatte cose di te scritte avrei e in sì fatta maniera, che, avendole tu risapute, ché l'avresti, avresti il dì mille volte disiderato di mai non esser nata. Le forze della penna son troppo maggiori che coloro non estimano che quelle con conoscimento provate non hanno. Io giuro a Dio (e se Egli di questa vendetta che io di te prendo mi faccia allegro infin la fine come nel cominciamento m'ha fatto) che io avrei di te scritte cose che, non che dell'altre persone ma di te stessa vergognandoti, per non poterti vedere t'avresti cavati gli occhi: e per ciò non rimproverare al mare d'averlo fatto crescere il piccolo ruscelletto. Del tuo amore o che tu sii mia, non ho io, come già dissi, alcuna cura: sieti pur di colui di cui stata se', se tu puoi; il quale come io già odiai, così al presente amo riguardando a ciò che egli ha ora verso te operato. Voi v'andate innamorando e disiderate l'amor de' giovani, per ciò che alquanto con le carni più vive e con le barbe più nere gli vedete e sopra sé andare e carolare e giostrare: le quali cose tutte ebber coloro che più alquanto attempati sono e quel sanno che coloro hanno a imparare. E oltre a ciò gli stimate miglior cavalieri e far di più miglia le lor giornate che gli uomini più maturi. Certo io confesso che essi con maggior forza scuotano i pilliccioni, ma gli attempati, sì come esperti, sanno meglio i luoghi dove stanno le pulci, e di gran lunga è da elegger più tosto il poco e saporito che il molto e insipido; e il trottar forte rompe e stanca altrui, quantunque sia giovane, dove il soavemente andare, ancora che alquanto più tardi altrui meni all'albergo, egli il vi conduce almen riposato. Voi non v'accorgete, animali senza intelletto, quanto di male sotto quella poca di bella apparenza stea nascoso. Non sono i giovani d'una contenti, ma quante ne veggono tante ne disiderano, di tante par loro esser degni; per che esser non può stabile il loro amore, e tu ora ne puoi per pruova esser verissima testimonia. E par loro esser degni d'esser reveriti e careggiati dalle lor donne, né altra gloria hanno maggiore che il vantarsi di quelle che hanno avute: il qual fallo già sotto a' frati, che nol ridicono, ne mise molte. Benché tu dichi che mai i tuoi amori non seppe altri che la tua fante e io, tu il sai male e mal credi se così credi: la sua contrada quasi di niuna altra cosa ragiona, e la tua; ma le più volte è l'ultimo, a cui cotali cose agli orecchi pervengono, colui a cui elle appartengono. Essi ancora vi rubano, dove dagli attempati v'è donato. Tu adunque, che male eleggesti, sieti di colui a cui tu ti desti, e me, il quale schernisti, lascia stare a altrui, ché io ho trovata donna da molto più che tu non se', che meglio m'ha conosciuto che tu non facesti. E acciò che tu del desidero degli occhi miei possi maggior certezza nell'altro mondo portare che non mostra che tu in questo prenda dalle mie parole, gittati giù pur tosto, e l'anima tua, sì come io credo già ricevuta nelle braccia del diavolo, potrà vedere se gli occhi miei d'averti veduta strabocchevolmente cadere si seranno turbati o no. Ma per ciò che io credo che di tanto non mi vorrai far lieto, ti dico che, se il sole ti comincia a scaldare, ricordati del freddo che tu a me facesti patire, e se con cotesto caldo il mescolerai, senza fallo il sol sentirai temperato.” La sconsolata donna, veggendo che pure a crudel fine riuscivano le parole dello scolare, rincominciò a piagnere e disse: “Ecco, poi che niuna mia cosa di me a pietà ti muove, muovati l'amore il qual tu porti a quella donna che più savia di me di' che hai trovata e da cui tu di' che se' amato: e per amor di lei mi perdona e i miei panni mi reca, ché

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Argomenti: tanto ardore,    presente amo

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