Decameron di Giovanni Boccaccio pagina 100

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con le reni l'uno all'altro volte e infino a ora di terza tenuti, acciò che da tutti potessero esser veduti: in appresso fossero arsi sì come avea meritato. E così detto se ne tornò in Palermo nella sua camera assai cruccioso. Partito il re, subitamente furon molti sopra i due amanti e loro non solamente svegliarono ma prestamente senza alcuna pietà presero e legarono; il che veggendo i due giovani, se essi furon dolenti e temettero della lor vita o piansero e ramaricaronsi assai può essere manifesto. Essi furono, secondo il comandamento del re, menati in Palermo e legati a un palo nella piazza, e davanti agli occhi loro fu la stipa e 'l fuoco apparecchiata per dovergli ardere all'ora comandata dal re. Quivi subitamente tutti i palermitani, e uomini e donne, concorsero a vedere i due amanti: gli uomini tutti a riguardar la giovane si traevano e così come lei bella esser per tutto e ben fatta lodavano, così le donne, che a riguardare il giovane tutte correvano, lui d'altra parte esser bello e ben fatto sommamente commendavano. Ma gli sventurati amanti, amenduni vergognandosi forte, stavano con le teste basse e il loro infortunio piagnevano, d'ora in ora la crudel morte del fuoco aspettando. E mentre così infino all'ora diterminata eran tenuti, gridandosi per tutto il fallo da lor commesso e pervenendo agli orecchi di Ruggier de Loria, uomo di valore inestimabile e allora ammiraglio del re, per vedergli se n'andò verso il luogo dove erano legati. E quivi venuto, prima riguardò la giovane e commendolla assai di bellezza, e appresso venuto il giovane a riguardare senza troppo penare il riconobbe, e più verso lui fattosi, il domandò se Gianni di Procida fosse. Gianni, alzato il viso e ricognoscendo l'amiraglio, rispose: “Signor mio, io fui ben già colui di cui voi domandate, ma io sono per non esser più.” Domandollo allora l'amiraglio che cosa a quello l'avesse condotto; a cui Gianni rispose: “Amore e l'ira del re.” Fecesi l'amiraglio più la novella distendere; e avendo ogni cosa udita da lui come stata era e partir volendosi, il richiamò Gianni e dissegli: “Deh, signor mio, se esser può impetrami una grazia da chi così mi fa stare.” Ruggieri domandò: “Quale?” A cui Gianni disse: “Io veggio che io debbo, e tostamente, morire; voglio adunque di grazia che, come io sono con questa giovane, la quale io ho più che la mia vita amata e ella me, con le reni a lei voltato e ella a me, che noi siamo co' visi l'uno all'altro rivolti, acciò che, morendo io e vedendo il viso suo, io ne possa andar consolato.” Ruggieri ridendo disse volentieri: “Io farò sì che tu la vedrai ancora tanto, che ti rincrescerà.” E partitosi da lui comandò a coloro, a' quali imposto era di dovere questa cosa mandare a essecuzione, che senza altro comandamento del re non dovessero più avanti fare che fatto fosse; e senza dimorare, al re se n'andò. Al quale, quantunque turbato il vedesse, non lasciò di dire il parer suo e dissegli: “Re, di che t'hanno offeso i due giovani li quali laggiù nella piazza hai comandato che arsi sieno?” Il re gliele disse; seguitò Ruggieri: “Il fallo commesso da loro il merita bene ma non da te; e come i falli meritan punizione così i benefici meritan guiderdone oltre alla grazia e alla misericordia. Conosci tu chi color sieno li quali tu vuogli che s'ardano?” Il re rispose di no; disse allora Ruggieri: “E io voglio che tu gli conosca, acciò che tu vegghi quanto discretamente tu ti lasci agl'impeti dell'ira trasportare. Il giovane è figliuolo di Landolfo di Procida, fratel carnale di messer Gian di Procida, per l'opera del quale tu se' re e signor di questa isola; la giovane è figliuola di Marin Bolgaro, la cui potenza fa oggi che la tua signoria non sia cacciata d'Ischia. Costoro, oltre a questo, son giovani che lungamente si sono amati insieme, e da amor costretti, e non da volere alla tua signoria far dispetto, questo peccato, se peccato dir si dee quel che per amor fanno i giovani, hanno fatto. Perché dunque gli vuoi tu far morire dove con grandissimi piaceri e doni gli dovresti onorare?” Il re, udendo questo e rendendosi certo che Ruggieri il vero dicesse, non solamente che egli a peggio dovere operar procedesse ma di ciò che fatto avea gl'increbbe: per che incontanente mandò che i due giovani fossero dal palo sciolti e menati davanti da lui; e così fu fatto. E avendo intera la lor condizion conosciuta, pensò che con onore e con doni fosse la 'ngiuria fatta da compensare; e fattigli onorevolmente rivestire, sentendo che di pari consentimento era, a Gianni fece la giovinetta sposare. E fatti loro magnifichi doni, contenti gli rimandò a casa loro, dove con festa grandissima ricevuti lungamente in piacere e in gioia poi vissero insieme.– 7 Teodoro, innamorato della Violante, figliuola di messere Amerigo suo signore, la 'ngravida e è alle forche condannato; alle quali frustandosi essendo menato, dal padre riconosciuto e prosciolto prende per moglie la Violante. Le donne, le quali tutte temendo stavan sospese a udire se i due amanti fossero arsi, udendogli scampati, lodando Idio tutte si rallegrarono; e la reina, udita la fine, alla Lauretta lo 'ncarico impose della seguente; la quale lietamente prese a dire: –Bellissime donne, al tempo che il buon re Guiglielmo la Cicilia reggeva, era nell'isola un gentile uomo chiamato messer Amerigo Abate da Trapani, il quale, tra gli altri ben temporali, era di figliuoli assai ben fornito. Per che, avendo di servidori bisogno e venendo galee di corsari genovesi di Levante, li quali corseggiando l'Erminia molti fanciulli avevan presi, di quegli, credendogli turchi, alcuni comperò; tra' quali, quantunque tutti gli altri paressero pastori, n'era uno il quale gentilesco e di migliore aspetto che alcuno altro pareva, e era chiamato Teodoro. Il quale, crescendo, come che egli a guisa di servo trattato fosse nella casa pur co' figliuoli di messere Amerigo si crebbe; e traendo più alla natura di lui che all'accidente, cominciò a esser costumato e di bella maniera, in tanto che egli piaceva sì a messere Amerigo, che egli il fece franco; e credendo che turchio fosse, il fé battezzare e chiamar Pietro e sopra i suoi fatti il fece il maggiore, molto di lui confidandosi. Come gli altri figliuoli di messere Amerigo, così similmente crebbe una sua figliuola chiamata Violante, bella e dilicata giovane, la quale, sopratenendola il padre a maritare, s'innamorò per avventura di Pietro; e amandolo e faccendo de' suoi costumi e delle sue opere grande stima, pur si vergognava di discovrirgliele. Ma Amore questa fatica le tolse, per ciò che, avendo Pietro più volte cautamente guatatala, sì era di lei innamorato, che bene alcun non sentiva se non quanto la vedea; ma forte temea non di questo alcun s'accorgesse, parendogli far men che bene; di che la giovane, che volentier lui vedeva, s'avide, e per dargli più sicurtà contentissima, sì come era, se ne mostrava. E in questo dimorarono assai, non attentandosi di dire l'uno all'altro alcuna cosa, quantunque molto ciascuno il disiderasse. Ma mentre che essi così parimente nell'amorose fiamme accesi ardevano, la fortuna, come se diliberato avesse questo voler che fosse, loro trovò via da cacciare la temorosa paura che gl'impediva. Aveva messere Amerigo, fuor di Trapani forse un miglio, un suo molto bel luogo, al quale la donna sua con la figliuola e con altre femine e donne era usata sovente d'andare per via di diporto; dove essendo un giorno, che era il caldo grande, andate e avendo seco menato Pietro e quivi dimorando, avvenne, sì come noi veggiamo talvolta di state avvenire, che subitamente il cielo si chiuse d'oscuri nuvoli; per la qual cosa la donna con la sua compagnia, acciò che il malvagio tempo non le cogliesse quivi, si misero in via per tornare in Trapani, e andavanne ratti quanto potevano. Ma Pietro, che giovane era, e la fanciulla similemente avanzavano nell'andare la madre di lei e l'altre

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Argomenti: gentile uomo,    pari consentimento,    valore inestimabile,    migliore aspetto,    malvagio tempo

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