Decameron di Giovanni Boccaccio pagina 94

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contrario del saettamento de' nemici, per ciò che la sottil corda riceverà ottimamente la saetta che avrà larga cocca: e così i vostri saranno di saettamento copiosi, dove gli altri n'avranno difetto.” Al re, il quale savio signore era, piacque il consiglio di Martuccio; e interamente seguitolo, per quello trovò la sua guerra aver vinta; laonde sommamente Martuccio venne nella sua grazia e per conseguente in grande e ricco stato. Corse la fama di queste cose per la contrada e agli orecchi della Gostanza pervenne Martuccio Gomito esser vivo, il quale lungamente morto aveva creduto; per che l'amor di lui, già nel cuor di lei intiepidito, con subita fiamma si raccese e divenne maggiore e la morta speranza suscitò. Per la qual cosa alla buona donna con cui dimorava interamente ogni suo accidente aperse, e le disse sé disiderare d'andare a Tunisi, acciò che gli occhi saziasse di ciò che gli orecchi con le ricevute voci fatti gli aveano disiderosi. La quale il suo disiderio le lodò molto; e, come sua madre stata fosse, entrata in una barca con lei insieme a Tunisi andò, dove con la Gostanza in casa d'una sua parente fu ricevuta onorevolemente. E essendo con lei andata Carapresa, la mandò a sentire quello che di Martuccio trovar potesse; e trovato lui esser vivo e in grande stato e rapportogliele, piacque alla gentil donna di volere esser colei che a Martuccio significasse quivi a lui esser venuta la sua Gostanza. E andatasene un di là dove Martuccio era, gli disse: “Martuccio, in casa mia è capitato un tuo servidore che vien da Lipari, e quivi ti vorrebbe segretamente parlare; e per ciò, per non fidarmene a altri, sì come egli ha voluto, io medesimo tel sono venuto a significare.” Martuccio la ringraziò e appresso lei alla sua casa se n'andò. Quando la giovane il vide, presso fu che di letizia non morì, e non potendosene tenere subitamente con le braccia aperte gli corse al collo e abbracciollo, e per compassione de' passati infortunii e per la presente letizia, senza potere alcuna cosa dire, teneramente cominciò a lagrimare. Martuccio, veggendo la giovane, alquanto maravigliandosi soprastette e poi sospirando disse: “O Gostanza mia, or se' tu viva? Egli è buon tempo che io intesi che tu perduta eri, né a casa nostra di te alcuna cosa si sapeva”; e questo detto, teneramente lagrimando l'abracciò e basciò. La Gostanza gli raccontò ogni suo accidente e l'onor che ricevuto avea dalla gentil donna con la quale dimorata era. Martuccio, dopo molti ragionamenti da lei partitosi, al re suo signore n'andò e tutto gli raccontò, cioè gli suoi casi e quegli della giovane, aggiugnendo che con sua licenzia intendeva secondo la nostra legge di sposarla. Il re si maravigliò di queste cose; e fatta la giovane venire e da lei udendo che così era come Martuccio aveva detto, disse: “Adunque l'hai tu per marito molto ben guadagnato.” E fatti venire grandissimi e nobili doni, parte a lei ne diede e parte a Martuccio, dando loro licenzia di fare intra sé quello che più fosse a grado a ciascheduno. Martuccio, onorata molto la gentil donna con la quale la Gostanza dimorata era e ringraziatala di ciò che in servigio di lei aveva adoperato e donatile doni quali a lei si confaceano e accomandatala a Dio, non senza molte lagrime dalla Gostanza, si partì; e appresso, con licenzia del re sopra un legnetto montati, e con lor Carapresa, con prospero vento a Lipari ritornarono, dove fu sì grande la festa, che dire non si potrebbe giammai. Quivi Martuccio la sposò e grandi e belle nozze fece; e poi appresso con lei insieme in pace e in riposo lungamente goderono del loro amore.– 3 Pietro Boccamazza si fugge con l'Agnolella; truova ladroni: la giovane fugge per una selva e è condotta a un castello, Pietro è preso e delle mani de' ladron fugge e dopo alcuno accidente capita a quel castello dove l'Agnolella era; e sposatala con lei se ne torna a Roma. Niuno ne fu tra tutti che la novella d'Emilia non commendasse; la quale conoscendo la reina esser finita, volta a Elissa, che ella continuasse le 'mpose; la quale, d'ubidire disiderosa, incominciò: –A me, vezzose donne, si para dinanzi una malvagia notte da due giovanetti poco discreti avuta; ma per ciò che a essa seguitarono molti lieti giorni, sì come conforme al nostro proposito mi piace di raccontarla. In Roma, la quale come è oggi coda così già fu capo del mondo, fu un giovane, poco tempo fa, chiamato Pietro Boccamazza, di famiglia tralle romane assai onorevole, il quale s'innamorò d'una bellissima e vaga giovane chiamata Agnolella, figliuola d'uno ch'ebbe nome Gigliuozzo Saullo, uomo plebeio ma assai caro a' romani. E amandola, tanto seppe operare, che la giovane cominciò non meno a amar lui che egli amasse lei. Pietro, da fervente amor costretto e non parendogli più dover sofferir l'aspra pena che il disiderio che avea di costei gli dava, la domandò per moglie; la qual cosa come i suoi parenti seppero, tutti furono a lui e biasimarogli forte ciò che egli voleva fare; e d'altra parte fecero dire a Gigliuozzo Saullo che a niun partito attendesse alle parole di Pietro, per ciò che, se 'l facesse, mai per amico né per parente l'avrebbero. Pietro, veggendosi quella via impedita per la qual sola si credeva potere al suo disio pervenire, volle morir di dolore; e se Gigliuozzo l'avesse consentito, contro al piacere di quanti parenti avea per moglie la figliuola avrebbe presa. Ma pur si mise in cuore, se alla giovane piacesse, di far che questa cosa avrebbe effetto; e per interposita persona sentito che a grado l'era, con lei si convenne di doversi con lui di Roma fuggire. Alla qual cosa dato ordine, Pietro una mattina per tempissimo levatosi con lei insieme montò a cavallo, e presero il cammin verso Alagna, là dove Pietro aveva certi amici de' quali esso molto si confidava: e così cavalcando, non avendo spazio di far nozze per ciò che temevano d'esser seguitati, del loro amore andando insieme ragionando, alcuna volta l'un l'altro basciava. Ora avvenne che, non essendo a Pietro troppo noto il cammino, come forse otto miglia da Roma dilungati furono, dovendo a man destra tenere si misero per una via a sinistra; né furono guari più di due miglia cavalcati che essi si videro vicini a un castelletto del quale, essendo stati veduti, subitamente uscirono da dodici fanti. E già essendo loro assai vicini, la giovane gli vide, per che gridando disse: “Pietro, campiamo, ché noi siamo assaliti!”, e come seppe, verso una selva grandissima volse il suo ronzino, e tenendogli gli sproni stretti al corpo, attenendosi all'arcione. Il ronzino, sentendosi pugnere, correndo per quella selva ne la portava. Pietro, che più al viso di lei andava guardando che al cammino, non essendosi tosto come lei de' fanti che venieno avveduto, mentre che egli sanza vedergli ancora andava guardando donde venissero, fu da lor sopragiunto e preso e fatto del ronzino smontare; e domandato chi egli era, e avendol detto, costor cominciaron fra loro a aver consiglio e a dire: “Questi è degli amici de' nemici nostri: che ne dobbian fare altro se non torgli quei panni e quel ronzino e impiccarlo per dispetto degli Orsini a una di queste querce?” E essendosi tutti a questo consiglio accordati, avevano a Pietro comandato che si spogliasse; il quale spogliandosi, già del suo male indovino, avvenne che un guato di ben venticinque fanti subitamente uscì adosso a costoro gridando: “Alla morte, alla morte!” Li quali, soprapresi da questo, lasciato star Pietro, si volsero alla lor difesa; ma veggendosi molti meno che gli assalitori, cominciarono a fuggire, e costoro a seguirgli. La qual cosa Pietro veggendo, subitamente prese le cose sue e salì sopra il suo ronzino e cominciò quanto poteva a fuggire per quella via donde aveva veduto che la giovane era fuggita. Ma non vedendo per la selva né via né sentiero, né pedata di caval conoscendovi, poscia che a lui parve esser sicuro e fuor delle mani di

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