Decameron di Giovanni Boccaccio pagina 48

Testo di pubblico dominio

di fiori, chiuso dintorno di verdissimi e vivi aranci e di cedri, li quali, avendo i vecchi frutti e' nuovi e i fiori ancora, non solamente piacevole ombra agli occhi ma ancora all'odorato facevan piacere. Nel mezzo del qual prato era una fonte di marmo bianchissimo e con maravigliosi intagli: iv'entro, non so se da natural vena o da artificiosa, per una figura, la quale sopra una colonna che nel mezzo di quella diritta era, gittava tanta acqua e sì alta verso il cielo, che poi non senza dilettevol suono nella fonte chiarissima ricadea, che di meno avria macinato un mulino. La qual poi, quella dico che soprabondava al pieno della fonte, per occulta via del pratello usciva e, per canaletti assai belli e artificiosamente fatti fuor di quello divenuta palese, tutto lo 'ntorniava; e quindi per canaletti simili quasi per ogni parte del giardin discorrea, raccogliendosi ultimamente in una parte dalla quale del bel giardino avea l'uscita, e quindi verso il pian discendendo chiarissima, avanti che a quel divenisse, con grandissima forza e con non piccola utilità del signore due mulina volgea. Il veder questo giardino, il suo bello ordine, le piante e la fontana co' ruscelletti procedenti da quella tanto piacque a ciascuna donna e a' tre giovani, che tutti cominciarono a affermare che, se Paradiso si potesse in terra fare, non sapevano conoscere che altra forma che quella di quel giardino gli si potesse dare, né pensare, oltre a questo, qual bellezza gli si potesse agiugnere. Andando adunque contentissimi dintorno per quello, faccendosi di varii rami d'albori ghirlande bellissime, tuttavia udendo forse venti maniere di canti d'uccelli quasi a pruova l'un dell'altro cantare, s'accorsero d'una dilettevol bellezza della quale, dall'altre soprapresi, non s'erano ancora accorti: ché essi videro il giardin pieno forse di cento varietà di belli animali, e l'uno all'altro mostrandolo, d'una parte uscir conigli, d'altra parte correr lepri, e dove giacer cavriuoli e in alcuna cerbiatti giovani andar pascendo e, oltre a questi, altre più maniere di non nocivi animali, ciascuno a suo diletto, quasi dimestichi andarsi a sollazzo: le quali cose, oltre agli altri piaceri, un vie maggior piacere aggiunsero. Ma poi che assai, or questa cosa or quella veggendo, andati furono, fatto dintorno alla bella fonte metter le tavole e quivi prima sei canzonette cantate e alquanti balli fatti, come alla reina piacque, andarono a mangiare: e con grandissimo e bello e riposato ordine serviti e di buone e dilicate vivande, divenuti più lieti sù si levarono, e a' suoni e a' canti e a' balli da capo si dierono infino che alla reina, per lo caldo sopravegnente, parve ora che, a cui piacesse, s'andasse a dormire. De' quali chi v'andò e chi, vinto dalla bellezza del luogo, andar non vi volle, ma quivi dimoratisi, chi a legger romanzi, chi a giucare a scacchi e chi a tavole, mentre gli altri dormiron, si diede. Ma poi che, passato la nona, levato si fu, e il viso con la fresca acqua rinfrescato s'ebbero, nel prato, sì come alla reina piacque, vicini alla fontana venutine e in quello secondo il modo usato postisi a sedere, a aspettar cominciarono di dover novellare sopra la materia dalla reina proposta. De' quali il primo a cui la reina tal carico impose fu Filostrato, il quale cominciò in questa guisa. 1 Masetto da Lamporecchio si fa mutolo e diviene ortolano d'un monistero di donne, le quali tutte concorrono a giacersi con lui. –Bellissime donne, assai sono di quegli uomini e di quelle femine che sì sono stolti, che credono troppo bene che, come a una giovane è sopra il capo posta la benda bianca e indosso messole la nera cocolla, che ella più non sia femina né più senta de' feminili appetiti se non come se di pietra l'avesse fatta divenire il farla monaca: e se forse alcuna cosa contra questa lor credenza n'odono, così si turbano come se contra natura un grandissimo e scelerato male fosse stato commesso, non pensando né volendo avere rispetto a se medesimi, li quali la piena licenzia di potere far quello che vogliono non può saziare, né ancora alle gran forze dell'ozio e della sollecitudine. E similmente sono ancora di quegli assai che credono troppo bene che la zappa e la vanga e le grosse vivande e i disagi tolgano del tutto a' lavoratori della terra i concupiscibili appetiti e rendon loro d'intelletto e d'avedimento grossissimi. Ma quanto tutti coloro che così credono sieno ingannati, mi piace, poi che la reina comandato me l'ha, non uscendo della proposta fattaci da lei, di farvene più chiare con una piccola novelletta. In queste nostre contrade fu e è ancora un munistero di donne assai famoso di santità (il quale io non nomerò per non diminuire in parte alcuna la fama sua) nel quale, non ha gran tempo, non essendovi allora più che otto donne con una badessa, e tutte giovani, era un buono omicciuolo d'un loro bellissimo giardino ortolano: il quale, non contentandosi del salario, fatta la ragion sua col castaldo delle donne, a Lamporecchio, là onde egli era, se ne tornò. Quivi tra gli altri che lietamente il raccolsono fu un giovane lavoratore forte e robusto e secondo uomo di villa con bella persona, il cui nome era Masetto; e domandollo dove tanto tempo stato fosse. Il buono uomo, che Nuto aveva nome, gliele disse; il qual Masetto domandò di che egli il monistero servisse. A cui Nuto rispose: “Io lavorava un lor giardino bello e grande e oltre a questo andava alcuna volta al bosco per le legne, attigneva acqua e faceva cotali altri servigetti; ma le donne mi davano sì poco salario, che io non ne poteva appena pur pagare i calzari. E oltre a questo, elle son tutte giovani e parmi ch'ell'abbiano il diavolo in corpo, ché non si può far cosa niuna a lor modo. Anzi, quand'io lavorava alcuna volta l'orto, l'una diceva: ‘Pon qui questo’, e l'altra: ‘Pon qui quello’, e l'altra mi toglieva la zappa di mano e dicea: ‘Questo non sta bene’, e davanmi tanta seccaggine, che io lasciava stare il lavorio e uscivami dell'orto: sì che, tra per l'una cosa e per l'altra, io non vi volli star più e sommene venuto. Anzi mi pregò il castaldo loro, quando io me ne venni, che, se io n'avessi alcuno alle mani che fosse da ciò, che io gliele mandassi, e io gliele promisi: ma tanto il faccia Idio san delle reni, quanto io o ne procaccerò o ne gli manderò niuno.” A Masetto, udendo egli le parole di Nuto, venne nell'animo un disidero sì grande d'esser con queste monache, che tutto se ne struggeva, comprendendo per le parole di Nuto che a lui dovrebbe potere venir fatto di quello che'egli disiderava; e avvisandosi che fatto non gli verrebbe se a Nuto ne dicesse niente, gli disse: “Deh, come ben facesti a venirtene! Che è uno umo a star con femine? Egli sarebbe meglio star con diavoli: elle non sanno delle sette volte le sei quello che elle si vogliono elleno stesse.” Ma poi, partito il lor ragionare, cominciò Masetto a pensare che via dovesse tenere a dovere potere esser con loro; e conoscendo che egli sapeva ben fare quegli servigi che Nuto diceva, non dubitò di perder per quello, ma temette di non dovervi essere ricevuto per ciò che troppo era giovane e appariscente. Per che, molte cose divisate seco, imaginò: “Il luogo è assai lontano di qui e niuno mi vi conosce; se io so far vista d'esser mutolo, per certo io vi sarò ricevuto.” E in questa imaginazion fermatosi, con una sua scure in collo, senza dire a alcuno dove s'andasse, in guisa d'un povero uomo se n'andò al monistero: dove pervenuto entrò dentro e trovò per ventura il castaldo nella corte, al quale, faccendo suoi atti come i mutoli fanno, mostrò di domandargli mangiare per l'amor di Dio e che egli, se bisognasse, gli spezzerebbe delle legne. Il castaldo gli diè da mangiar volentieri, e appresso questo gli mise innanzi certi ceppi che Nuto non aveva potuti spezzare, li quali costui, che fortissimo era, in poca d'ora ebbe tutti spezzati. Il castaldo, che bisogno avea d'andare al

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Argomenti: tanto tempo,    povero uomo,    piacevole ombra,    signore due,    cento varietà

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