Decameron di Giovanni Boccaccio pagina 117

Testo di pubblico dominio

giardini i cittadini che di ciò hanno destro. E era questo laghetto non più profondo che sia una statura d'uomo infino al petto lunga; e senza avere in sé mistura alcuna, chiarissimo il suo fondo mostrava esser d'una minutissima ghiaia, la quale tutta, chi altro non avesse avuto a fare, avrebbe volendo potuta annoverare; né solamente nell'acqua vi si vedeva il fondo riguardando, ma tanto pesce in qua e in là andar discorrendo, che oltre al diletto era una maraviglia; né da altra ripa era chiuso che dal suolo del prato, tanto dintorno a quel più bello quanto più dell'umido sentiva di quello. L'acqua la quale alla sua capacità soprabondava un altro canaletto ricevea, per lo qual fuori del valloncello uscendo, alle parti più basse se ne correva. In questo adunque venute le giovani donne, poi che per tutto riguardato ebbero e molto commendato il luogo, essendo il caldo grande e vedendosi il pelaghetto davanti e senza alcun sospetto d'esser vedute, diliberaron di volersi bagnare. E comandato alla lor fante che sopra la via per la quale quivi s'entrava dimorasse e guardasse se alcun venisse e loro il facesse sentire, tutte e sette si spogliarono e entrarono in esso, il quale non altramenti li lor corpi candidi nascondeva che farebbe una vermiglia rosa un sottil vetro. Le quali essendo in quello, né per ciò alcuna turbazion d'acqua nascendone, cominciarono come potevano a andare in qua in là di dietro a' pesci, i quali male avevan dove nascondersi, e a volerne con esso le mani pigliare. E poi che in così fatta festa, avendone presi alcuni, dimorate furono alquanto, uscite di quello si rivestirono e senza poter più commendare il luogo che commendato l'avessero, parendo lor tempo da dover tornar verso casa, con soave passo, molto della bellezza del luogo parlando, in cammino si misero. E al palagio giunte a assai buona ora, ancora quivi trovarono i giovani giucando dove lasciati gli aveano; alli quali Pampinea ridendo disse:–Oggi vi pure abbiam noi ingannati.– –E come?–disse Dioneo–cominciate voi prima a far de' fatti che a dir delle parole?– Disse Pampinea:–Signor nostro, sì–, e distesamente gli narrò donde venivano e come era fatto il luogo e quanto di quivi distante e ciò che fatto avevano. Il re, udendo contare la bellezza del luogo, disideroso di vederlo, prestamente fece comandar la cena: la qual poi che con assai piacer di tutti fu fornita, li tre giovani con li lor famigliari, lasciate le donne, se n'andarono a questa valle, e ogni cosa considerata, non essendovene alcuno di loro stato mai più, quella per una delle belle cose del mondo lodarono. E poi che bagnati si furono e rivestiti, per ciò che troppo tardi si faceva, tornarono a casa, dove trovarono le donne che facevano una carola a un verso che facea la Fiammetta; e con loro, fornita la carola, entrati in ragionamenti della Valle delle Donne, assai di bene e di lode ne dissero. Per la qual cosa il re, fattosi venire il siniscalco, gli comandò che la seguente mattina là facesse che fosse apparecchiato e portatovi alcun letto se alcun volesse o dormire o giacersi di meriggiana. Appresso questo, fatto venir de' lumi e vino e confetti e alquanto riconfortatisi, comandò che ogn'uomo fosse in sul ballare; e avendo per suo volere Panfilo una danza presa, il re rivoltatosi verso Elissa le disse piacevolemente:–Bella giovane, tu mi facesti oggi onore della corona, e io il voglio questa sera a te fare della canzone; e per ciò una fa che ne dichi qual più ti piace.– A cui Elissa sorridendo rispose che volentieri, e con soave voce incominciò in cotal guisa: Amor, s'io posso uscir de' tuoi artigli, appena creder posso che alcuno altro uncin mai più mi pigli. Io entrai giovinetta en la tua guerra, quella credendo somma e dolce pace, e ciascuna mia arma posi in terra, come sicuro chi si fida face: tu, disleal tiranno, aspro e rapace, tosto mi fosti adosso con le tue armi e co' crudel roncigli. Poi, circundata delle tue catene, a quel che nacque per la morte mia, piena d'amare lagrime e di pene presa mi desti, e hammi in sua balia; e è sì cruda la sua signoria, che giammai non l'ha mosso sospir né pianto alcun che m'asottigli. Li prieghi miei tutti glien porta il vento: nullo n'ascolta né ne vuole udire, per che ognora cresce il mio tormento, onde 'l viver m'è noia né so morire. Deh! dolgati, signor, del mio languire, fa tu quel ch'io non posso: dalmi legato dentro a' tuoi vincigli. Se questo far non vuogli, almeno sciogli i legami annodati da speranza. Deh! io ti priego, signor, che tu vogli; ché, se tu 'l fai, ancor porto fidanza di tornar bella qual fu mia usanza, e, il dolor rimosso, di bianchi fiori ornarmi e di vermigli. Poi che con un sospiro assai pietoso Elissa ebbe alla sua canzon fatta fine, ancor che tutti si maravigliasser di tali parole, niuno per ciò ve n'ebbe che potesse avvisare che di così cantare le fosse cagione. Ma il re, che in buona tempera era, fatto chiamar Tindaro, gli comandò che fuori traesse la sua cornamusa, al suono della quale esso fece fare molte danze; ma essendo già molta parte di notte passata, a ciascun disse ch'andasse a dormire. Settima giornata FINISCE LA SESTA GIORNATA DEL DECAMERON: INCOMINCIA LA SETTIMA, NELLA QUALE, SOTTO IL REGGIMENTO DI DIONEO, SI RAGIONA DELLE BEFFE, LE QUALI O PER AMORE O PER SALVAMENTO DI LORO LE DONNE HANNO GIÀ FATTE A' SUOI MARITI, SENZA ESSERSENE AVVEDUTI O SÌ. Introduzione Ogni stella era già delle parti d'oriente fuggita, se non quella sola la qual noi chiamiamo Lucifero che ancora luceva nella biancheggiante aurora, quando il siniscalco levatosi con una gran salmeria n'andò nella Valle delle Donne per quivi disporre ogni cosa secondo l'ordine e il comandamento avuto dal suo signore. Appresso alla quale andata non stette guari a levarsi il re, il quale lo strepito de' caricanti e delle bestie aveva desto; e levatosi fece le donne e' giovani tutti parimente levare. Né ancora spuntavano li raggi del sole ben bene, quando tutti entrarono in cammino; né era ancora lor paruto alcuna volta tanto gaiamente cantar gli usignuoli e gli altri uccelli, quanto quella mattina pareva; da' canti de' quali accompagnati infino nella Valle delle Donne n'andarono, dove da molti più ricevuti, parve loro che essi della loro venuta si rallegrassero. Quivi intorniando quella e riproveggendo tutta da capo, tanto parve loro più bella che il dì passato, quanto l'ora del dì era più alla bellezza di quella conforme. E poi che col buon vino e co' confetti ebbero il digiun rotto, acciò che di canto non fossero dagli uccelli avanzati, cominciarono a cantare e la valle insieme con essoloro, sempre quelle medesime canzoni dicendo che essi dicevano; alle quali tutti gli uccelli, quasi non volessono esser vinti, dolci e nuove note aggiugnevano. Ma poi che l'ora del mangiar fu venuta, messe le tavole sotto i vivaci albori e agli altri belli arbori vicine, al bel laghetto, come al re piacque, così andarono a sedere; e, mangiando, i pesci notar vedean per lo lago a grandissime schiere: il che, come di riguardare, così talvolta dava cagione di ragionare. Ma poi che venuta fu la fine del desinare e le vivande e le tavole furon rimosse, ancora più lieti che prima cominciarono a cantare. Quindi, essendo in più luoghi per la piccola valle fatti letti e tutti dal discreto siniscalco di sarge francesche e di capoletti intorniati e chiusi, con licenzia del re, a cui piacque, si poté andare a dormire; e chi dormir non volle, degli altri loro diletti usati pigliar poteva a suo piacere. Ma venuta già l'ora che tutti levati erano e tempo era da riducersi a novellare, come il re volle, non guari lontani al luogo dove mangiato aveano, fatti in su l'erba tappeti distendere e vicini al lago a seder postisi, comandò il re a Emilia che cominciasse; la quale lietamente così cominciò a dir sorridendo. 1 Gianni Lotteringhi ode di notte toccar l'uscio suo; desta la moglie, e ella gli fa

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Argomenti: discreto siniscalco,    tanto pesce,    soave voce

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