Decameron di Giovanni Boccaccio pagina 47

Testo di pubblico dominio

che tutti avean novellato e la fine della sua signoria era venuta, secondo il cominciato ordine, trattasi la ghirlanda di capo, sopra la testa la pose di Neifile con lieto viso dicendo:–Omai, cara compagna, di questo piccol popolo il governo sia tuo–: e a seder si ripose. Neifile del ricevuto onore un poco arrossò, e tal nel viso divenne qual fresca rosa d'aprile o di maggio in su lo schiarir del giorno si mostra, con gli occhi vaghi e sintillanti non altramenti che matutina stella, un poco bassi. Ma poi che l'onesto romor de' circunstanti, nel quale il favor loro verso la reina lietamente mostravano, si fu riposato e ella ebbe ripreso l'animo, alquanto più alta che usata non era sedendo, disse:–Poi che così è che io vostra reina sono, non dilungandomi dalla maniera tenuta per quelle che davanti a me sono state, il cui reggimento voi ubidendo commendato avete, il parer mio in poche parole vi farò manifesto, il quale se dal vostro consiglio sarà commendato, quel seguiremo. Come voi sapete, domane è venerdì e il seguente dì sabato, giorni, per le vivande le quali s'usano in quegli, alquanto tediosi alle più genti; senza che venerdì, avendo riguardo che in esso Colui che per la nostra vita morì sostenne passione, è degno di reverenza, per che giusta cosa e molto onesta reputerei che, a onor di Dio, più tosto a orazioni che a novelle vacassimo. E il sabato appresso usanza è delle donne di lavarsi la testa, di tor via ogni polvere, ogni sucidume che per la fatica di tutta la passata settimana sopravenuta fosse; e soglion similmente assai, a reverenza della Vergine madre del Figliuolo di Dio, digiunare, e da indi in avanti per onor della sopravegnente domenica da ciascuna opera riposarsi: per che, non potendo così appieno in quel dì l'ordine da noi preso nel vivere seguitare, similmente stimo sia ben fatto quel dì delle novelle ci posiamo. Appresso, per ciò che noi qui quatro dì dimorate saremo, se noi vogliam tor via che gente nuova non ci sopravenga, reputo oportuno di mutarci di qui e andarne altrove; e il dove io ho già pensato e proveduto. Quivi quando noi saremo domenica appresso dormire adunati, avendo noi oggi avuto assai largo spazio da discorrere ragionando, sì perché più tempo da pensare avrete e sì perché sarà ancora più bello che un poco si ristringa del novellare la licenzia e che sopra uno de' molti fatti della fortuna si dica, e ho pensato che questo sarà: di chi alcuna cosa molto disiderata con industria acquistasse o la perduta recuperasse. Sopra che ciascun pensi di dire alcuna cosa che alla brigata esser possa utile o almeno dilettevole, salvo sempre il privilegio di Dioneo.– Ciascuno commendò il parlare e il diviso della reina, e così statuiron che fosse. La quale, appresso questo, fattosi chiamare il suo siniscalco, dove metter dovesse la sera le tavole e quello appresso che far dovesse in tutto il tempo della sua signoria pienamente gli divisò; e così fatto, in piè dirizzata con la sua brigata, a far quello che più piacesse a ciascuno gli licenziò. Presero adunque le donne e gli uomini inverso un giardinetto la via e quivi, poi che alquanto diportati si furono, l'ora della cena venuta, con festa e con piacer cenarono; e da quella levati, come alla reina piacque, menando Emilia la carola, la seguente canzone da Pampinea, rispondendo l'altre, fu cantata: Qual donna canterà, s'io non canto io, che son contenta d'ogni mio disio? Vien dunque, Amor, cagion d'ogni mio bene, d'ogni speranza e d'ogni lieto effetto; cantiamo insieme un poco, non de' sospir né delle amare pene ch'or più dolce mi fanno il tuo diletto, ma sol del chiaro foco, nel quale ardendo in festa vivo e 'n gioco, te adorando come un mio idio. Tu mi ponesti innanzi agli occhi, Amore, il primo dì ch'io nel tuo foco entrai, un giovinetto tale, che di biltà, d'ardir né di valore non se ne troverebbe un maggior mai, né pure a lui equale: di lui m'accesi tanto, che aguale lieta ne canto teco, signor mio. E quel che 'n questo m'è sommo piacere è ch'io gli piaccio quanto egli a me piace, Amor, la tua merzede; per che in questo mondo il mio volere posseggo, e spero nell'altro aver pace per quella intera fede che io gli porto. Idio, che questo vede, del regno suo ancor ne sarà pio. Appresso questa, più altre se ne cantarono e più danze si fecero e sonarono diversi suoni; ma estimando la reina tempo essere di doversi andare a posare, co' torchi avanti ciascuno alla sua camera se n'andò. E li due dì seguenti a quelle cose vacando che prima la reina avea ragionate, con disiderio aspettarono la domenica. Terza giornata FINISCE LA SECONDA GIORNATA DEL DECAMERON: INCOMINCIA LA TERZA, NELLA QUALE SI RAGIONA, SOTTO IL REGGIMENTO DI NEIFILE, DI CHI ALCUNA COSA MOLTO DA LUI DISIDERATA CON INDUSTRIA ACQUISTASSE O LA PERDUTA RICOVERASSE. Introduzione L'aurora già di vermiglia cominciava, appressandosi il sole, a divenir rancia, quando la domenica, la reina levata e fatta tutta la sua compagnia levare e avendo già il siniscalco gran pezzo davanti mandato al luogo dove andar doveano assai delle cose oportune e chi quivi preparasse quello che bisognava, veggendo già la reina in cammino, prestamente fatta ogni altra cosa caricare, quasi quindi il campo levato, con la salmeria n'andò e con la famiglia rimasa appresso delle donne e de' signori. La reina adunque con lento passo, accompagnata e seguita dalle sue donne e dai tre giovani, alla guida del canto di forse venti usignuoli e altri uccelli, per una vietta non troppo usata ma piena di verdi erbette e di fiori, li quali per lo sopravegnente sole tutti s'incominciavano a aprire, prese il cammino verso l'occidente, e cianciando e motteggiando e ridendo con la sua brigata, senza essere andata oltre a dumilia passi, assai avanti che mezza terza fosse a un bellissimo e ricco palagio, il quale alquanto rilevato dal piano sopra un poggetto era posto, gli ebbe condotti. Nel quale entrati e per tutto andati, e avendo le gran sale, le pulite e ornate camere compiutamente ripiene di ciò che a camera s'appartiene, sommamente il commendarono e magnifico reputarono il signor di quello. Poi, abbasso discesi e veduta l'ampissima e lieta corte di quello, le volte piene d'ottimi vini e la freddissima acqua e in gran copia che quivi surgea, più ancora il lodarono. Quindi, quasi di riposo vaghi, sopra una loggia che la corte tutta signoreggiava, essendo ogni cosa piena di quei fiori che concedeva il tempo e di frondi, postesi a sedere, venne il discreto siniscalco e loro con preziosissimi confetti e ottimi vini ricevette e riconfortò. Appresso la qual cosa, fattosi aprire un giardino che di costa era al palagio, in quello, che tutto era da torno murato, se n'entrarono; e parendo loro nella prima entrata di maravigliosa bellezza tutto insieme, più attentamente le parti di quello cominciarono a riguardare. Esso avea dintorno da sé e per lo mezzo in assai parti vie ampissime, tutte diritte come strale e coperte di pergolati di viti, le quali facevano gran vista di dovere quello anno assai uve fare, e tutte allora fiorite sì grande odore per lo giardin rendevano, che, mescolato insieme con quello di molte altre cose che per lo giardino olivano, pareva loro essere tra tutta la spezieria che mai nacque in Oriente. Le latora delle quali vie tutte di rosa' bianchi e vermigli e di gelsomini erano quasi chiuse: per le quali cose, non che la mattina, ma qualora il sole era più alto, sotto odorifera e dilettevole ombra, senza esser tocco da quello, vi si poteva per tutto andare. Quante e quali e come ordinate poste fossero le piante che erano in quel luogo, lungo sarebbe a raccontare; ma niuna n'è laudevole la quale il nostro aere patisca, di che quivi non sia abondevolemente. Nel mezzo del quale, quello che è non meno commendabile che altra cosa che vi fosse ma molto più, era un prato di minutissima erba e verde tanto, che quasi nera parea, dipinto tutto forse di mille varietà

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Argomenti: vergine madre,    largo spazio,    discreto siniscalco,    festa vivo,    troppo usata

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