Decameron di Giovanni Boccaccio pagina 121

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senza scapolare, in tonicella; il quale questo udendo disse: “Voi dite vero: se io fossi pur vestito, qualche modo ci avrebbe; ma se voi gli aprite e egli mi truovi così, niuna scusa ci potrà essere.” La donna, da subito consiglio aiutata, disse: “Or vi vestite; e vestito che voi siete, recatevi in braccio vostro figlioccio e ascolterete bene ciò che io gli dirò, sì che le vostre parole poi s'accordino colle mie: e lasciate fare a me.” Il buono uomo non era ancora ristato di picchiare, che la moglie rispose “Io vengo a te”, e levatasi, con un buon viso se n'andò all'uscio della camera e aperselo e disse: “Marito mio, ben ti dico che frate Rinaldo nostro compare ci si venne, e Iddio il ci mandò; ché per certo, se venuto non ci fosse, noi avremmo oggi perduto il fanciul nostro.” Quando il bescio sanctio udì questo, tutto svenne e disse: “Come?” “O marido mio, “ disse la donna “e' gli venne dianzi di subito uno sfinimento, che io mi credetti ch'e' fosse morto e non sapeva né che mi far né che mi dire, se non che frate Rinaldo nostro compare ci venne in quella e recatoselo in collo disse: ‘Comare, questi son vermini che egli ha in corpo, gli quali gli s'appressano al cuore e ucciderebbolo troppo bene; ma non abbiate paura, ché io gl'incanterò e farogli morir tutti, e innanzi che io mi parta di qui voi vederete il fanciul sano come voi vedeste mai.’ E per ciò che tu ci bisognavi per dir certe orazioni, e non ti seppe trovar la fante, sì le fece dire al compagno suo nel più alto luogo della nostra casa, e egli e io qua entro ce n'entrammo. E per ciò che altri che la madre del fanciullo non può essere a così fatto servigio, perché altri non c'impacciasse, qui ci serrammo; e ancora l'ha egli in braccio, e credom'io che egli non aspetti se non che il compagno suo abbia compiuto di dire l'orazioni, e sarebbe fatto per ciò che il fanciullo è già tutto tornato in sé.” Il santoccio credendo queste cose, tanto l'affezion del figliuol lo strinse, che egli non pose l'animo allo 'nganno fattogli dalla moglie ma gittato un gran sospiro disse: “Io il voglio andare a vedere.” Disse la donna: “Non andare, ché tu guasteresti ciò che s'è fatto; aspettati, io voglio vedere se tu vi puoi andare e chiamerotti.” Frate Rinaldo, che ogni cosa udito avea e erasi rivestito a bello agio e avevasi recato il fanciullo in braccio, come ebbe disposte le cose a suo modo, chiamò: “O comare, non sent'io di costà il compare?” Rispose il santoccio: “Messer sì.” “Adunque” disse frate Rinaldo “venite qua”; il santoccio andò là, al quale frate Rinaldo disse: “Tenete il vostro figliuolo per la grazia di Dio sano, dove io credetti, ora fu, che voi nol vedeste vivo a vespro; e farete di far porre una statua di cera della sua grandezza a laude di Dio dinanzi alla figura di messer santo Ambruogio, per li meriti del quale Idio ve n'ha fatta grazia.” Il fanciullo, veggendo il padre, corse a lui e fecegli festa come i fanciulli piccoli fanno; il quale recatoselo in braccio, lagrimando non altramenti che della fossa il traesse, il cominciò a basciare e a render grazie al suo compare che guerito gliele avea. Il compagno di frate Rinaldo, che non un paternostro ma forse più di quatro n'aveva insegnati alla fanticella e donatale una borsetta di refe bianco la quale a lui aveva donata una monaca e fattala sua divota, avendo udito il santoccio alla camera della moglie chiamare, pianamente era venuto in parte della quale e vedere e udire ciò che vi si facesse poteva; veggendo la cosa in buoni termini, se ne venne giuso e entrato nella camera disse: “Frate Rinaldo, quelle quatro orazioni che m'imponeste, io l'ho dette tutte.” A cui frate Rinaldo disse: “Fratel mio, tu hai buona lena e hai fatto bene. Io per me, quando mio compar venne, no' n'aveva dette che due, ma Domenedio tra per la tua fatica e per la mia ci ha fatta grazia che il fanciullo è guerito.” Il santoccio fece venire di buon vini e di confetti e fece onore al suo compare e al compagno di ciò che essi avevano maggior bisogno che d'altro; poi, con loro insieme uscito di casa, gli accomandò a Dio, e senza alcuno indugio fatta fare la imagine di cera, la mandò a appiccare coll'altre dinanzi alla figura di santo Ambruogio, ma non a quel di Melano.– 4 Tofano chiude una notte fuor di casa la moglie, la quale, non potendo per prieghi rientrare, fa vista di gittarsi in un pozzo e gittavi una gran pietra; Tofano esce di casa e corre là, e ella in casa se n'entra e serra lui di fuori e sgridandolo il vitupera. Il re, come la novella d'Elissa sentì aver fine, così senza indugio verso la Lauretta rivolto le dimostrò che gli piacea che ella dicesse; per che essa, senza stare, così cominciò: –O Amore, chenti e quali sono le tue forze, chenti i consigli e chenti gli avvedimenti! Qual filosofo, quale artista mai avrebbe potuto o potrebbe mostrare quegli accorgimenti, quegli avvedimenti, quegli dimostramenti che fai tu subitamente a chi seguita le tue orme? Certo la dottrina di qualunque altro è tarda a rispetto della tua, sì come assai bene comprender si può nelle cose davanti mostrate; alle quali, amorose donne, io una n'agiugnerò d'una semplicetta donna adoperata, tale che io non so chi altri se l'avesse potuta mostrare che Amore. Fu adunque già in Arezzo un ricco uomo, il qual fu Tofano nominato. A costui fu data per moglie una bellissima donna, il cui nome fu monna Ghita, della quale egli senza saper perché prestamente divenne geloso, di che la donna avvedendosi prese sdegno; e più volte avendolo della cagione della sua gelosia addomandato né egli alcuna avendone saputa assegnare se non cotali generali e cattive, cadde nell'animo alla donna di farlo morire del male del quale senza cagione aveva paura. E essendosi avveduta che un giovane, secondo il suo giudicio molto da bene, la vagheggiava, discretamente con lui s'incominciò a intendere; e essendo già tra lui e lei tanto le cose innanzi, che altro che dare effetto con opera alle parole non vi mancava, pensò la donna di trovare similmente modo a questo. E avendo già tra' costumi cattivi del suo marito conosciuto lui dilettarsi di bere, non solamente gliele cominciò a commendare ma artatamente a sollicitarlo a ciò molto spesso. E tanto ciò prese per uso, che quasi ogni volta che a grado l'era infino allo inebriarsi bevendo il conducea; e quando bene ebbro il vedea, messolo a dormire, primieramente col suo amante si ritrovò, e poi sicuramente più volte di ritrovarsi con lui continuò, e tanto di fidanza nella costui ebbrezza prese, che non solamente avea preso ardire di menarsi il suo amante in casa, ma ella talvolta gran parte della notte s'andava con lui a dimorare alla sua, la qual di quivi non era guari lontana. E in questa maniera la innamorata donna continuando, avvenne che il doloroso marito si venne accorgendo che ella, nel confortare lui a bere, non beveva per ciò essa mai; di che egli prese sospetto non così fosse come era, cioè che la donna lui inebriasse per poter poi fare il piacer suo mentre egli adormentato fosse. E volendo di questo, se così fosse, far pruova, senza avere il dì bevuto, una sera mostrandosi il più ebbro uomo e nel parlare e ne' modi, che fosse mai, il che la donna credendo né estimando che più bere gli bisognasse a ben dormire, il mise prestamente. E fatto ciò, secondo che alcuna volta era usata di fare, uscita di casa, alla casa del suo amante se n'andò e quivi infino alla mezzanotte dimorò. Tofano, come la donna non vi senti, così si levò e andatosene alla sua porta quella serrò dentro e posesi alle finestre, acciò che tornare vedesse la donna e le facesse manifesto che egli si fosse accorto delle maniere sue; e tanto stette che la donna tornò, la quale, tornando a casa e trovatasi serrata di fuori, fu oltre modo dolente e cominciò a tentare se per forza potesse l'uscio aprire. Il che poi che Tofano alquanto ebbe sofferto,

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Argomenti: alcuno indugio,    buono uomo,    alto luogo,    refe bianco,    bello agio

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