Decameron di Giovanni Boccaccio pagina 164

Testo di pubblico dominio

andate in qua e in là senza sentirvi e parvi far maraviglie: egli è gran peccato che voi non vi fiaccate il collo! Ma che fa egli costì Pinuccio? perché non si sta egli nel letto suo?” D'altra parte Adriano, veggendo che la donna saviamente la sua vergogna e quella della figliuola ricopriva, disse: “Pinuccio, io te l'ho detto cento volte che tu non vada attorno, ché questo tuo vizio del levarti in sogno e di dire le favole che tu sogni per vere ti daranno una volta la mala ventura: torna qua, che Dio ti dea la mala notte!” L'oste, udendo quello che la donna diceva e quello che diceva Adriano, cominciò a creder troppo bene che Pinuccio sognasse: per che, presolo per la spalla, lo 'ncominciò a dimenare e a chiamar, dicendo: “Pinuccio, destati, tornati al letto tuo.” Pinuccio, avendo raccolto ciò che detto s'era, cominciò a guisa d'uom che sognasse a entrare in altri farnetichi: di che l'oste faceva le maggiori risa del mondo. Alla fine, pur sentendosi dimenare, fece sembiante di destarsi e chiamando Adrian disse: “E egli ancora dì, che tu mi chiami?” Adrian disse: “Sì, vienne qua.” Costui, infignendosi e mostrandosi ben sonnacchioso, al fine si levò d'allato all'oste e tornossi al letto con Adriano; e venuto il giorno e levatosi, l'oste incominciò a ridere e a farsi beffe di lui e de' suoi sogni. E così d'uno in altro motto, acconci i due giovani i lor ronzini e messe le lor valige e bevuto con l'oste, rimontati a cavallo se ne vennero a Firenze, non meno contenti del modo in che la cosa avvenuta era, che dello effetto stesso della cosa. E poi appresso, trovati altri modi, Pinuccio con la Niccolosa si ritrovò, la quale alla madre affermava lui fermamente aver sognato; per la qual cosa la donna, ricordandosi dell'abracciar d'Adriano, sola seco diceva d'aver vegghiato.– 7 Talano d'Imole sogna che un lupo squarcia tutta la gola e 'l viso alla moglie; dicele che se ne guardi; ella nol fa, e avvienle. Essendo la novella di Panfilo finita e l'avvedimento della donna commendato da tutti, la reina a Pampinea disse che dicesse la sua; la quale allora cominciò: –Altra volta, piacevoli donne, delle verità dimostrate da' sogni, le quali molte scherniscono, s'è fra noi ragionato; e però, come che detto ne sia, non lascerò io che con una novelletta assai brieve io non vi narri quello che a una mia vicina, non è ancora guari, addivenne, per non crederne uno di lei dal marito veduto. Io non so se voi vi conosceste Talano d'Imolese, uomo assai onorevole. Costui, avendo una giovane, chiamata Margherita, bella tra tutte l'altre per moglie presa, ma sopra ogni altra bizzarra, spiacevole e ritrosa, in tanto che a senno di niuna persona voleva fare alcuna cosa, né altri far la poteva a suo. Il che quantunque gravissimo fosse a comportare a Talano, non potendo altro fare, sel sofferiva. Ora avvenne una notte, essendo Talano con questa sua Margherita in contado a una lor possessione, dormendo egli, gli parve in sogno vedere la donna sua andar per un bosco assai bello, il quale essi non guari lontano alla lor casa avevano; e mentre così andar la vedeva, gli parve che d'una parte del bosco uscisse un grande e fiero lupo, il quale prestamente s'avventava alla gola di costei e tiravala in terra e lei gridante aiuto si sforzava di tirar via; e poi di bocca uscitagli, tutta la gola e 'l viso pareva l'avesse guasto. Il quale, la mattina appresso levatosi, disse alla moglie: “Donna, ancora che la tua ritrosia non abbia mai sofferto che io abbia potuto avere un buon dì con teco, pur sare' io dolente quando mal t'avenisse; e per ciò, se tu crederai al mio consiglio, tu non uscirai oggi di casa”; e domandato da lei del perché, ordinatamente le contò il sogno suo. La donna crollando il capo disse: “Chi mal ti vuol, mal ti sogna: tu ti fai molto di me pietoso ma tu sogni di me quello che tu vorresti vedere; e per certo io me ne guarderò, e oggi e sempre, di non farti né di questo né d'altro mio male mai allegro.” Disse allora Talano: “Io sapeva bene che tu dovevi dir così, per ciò cotal grado ha chi tigna pettina; ma credi che ti piace: io per me il dico per bene, e ancora da capo te ne consiglio che tu oggi ti stea in casa o almeno ti guardi d'andare nel nostro bosco.” La donna disse: “Bene, io il farò”, e poi seco stessa cominciò a dire: “Hai veduto come costui maliziosamente si crede avermi messa paura d'andare oggi al bosco nostro? là dove egli per certo dee aver data posta a qualche cattiva, e non vuole che io il vi truovi. Oh! egli avrebbe buon manicar co' ciechi, e io sarei bene sciocca se io nol conoscessi e se io il credessi! Ma per certo e' non gli verrà fatto: e' convien pur che io vegga, se io vi dovessi star tutto dì, che mercatantia debba esser questa che egli oggi far vuole.” E come questo ebbe detto, uscito il marito d'una parte della casa, e ella uscì dall'altra; e come più nascosamente poté, senza alcuno indugio se n'andò nel bosco e in quello, nella più folta parte che v'era, si nascose, stando attenta e guardando or qua or là se alcuna persona venir vedesse. E mentre in questa guisa stava senza alcun sospetto di lupo, e ecco vicino a lei uscir d'una macchia folta un lupo grande e terribile: né poté ella, poi che veduto l'ebbe, appena dire “Domine, aiutami!” che il lupo le si fu avventato alla gola, e presala forte la cominciò a portar via come se stata fosse un piccolo agnelletto. Essa non poteva gridare, sì aveva la gola stretta, né in altra maniera aiutarsi; per che, portandosenela il lupo, senza fallo strangolata l'avrebbe, se in certi pastori non si fosse scontrato, li quali sgridandolo a lasciarla il costrinsero; e essa misera e cattiva, da' pastori riconosciuta e a casa portatane, dopo lungo studio da' medici fu guerita, ma non sì che tutta la gola e una parte del viso non avesse per sì fatta maniera guasta, che, dove prima era bella, non paresse poi sempre sozzissima e contrafatta. Laonde ella, vergognandosi d'apparire dove veduta fosse, assai volte miseramente pianse la sua ritrosia e il non avere, in quello che niente le costava, al vero sogno del marito voluta dar fede.– 8 Biondello fa una beffa a Ciacco d'un desinare, della quale Ciacco cautamente si vendica faccendo lui sconciamente battere. Universalmente ciascuno della lieta compagnia disse quel che Talano veduto aveva dormendo non essere stato sogno ma visione, sì a punto, senza alcuna cosa mancarne, era avvenuto. Ma tacendo ciascuno, impose la reina alla Lauretta che seguitasse; la qual disse: –Come costoro, savissime donne, che oggi davanti da me hanno parlato, quasi tutti da alcuna cosa già detta mossi sono stati a ragionare, così me muove la rigida vendetta, ieri raccontata da Pampinea, che fé lo scolare, a dover dire d'una assai grave a colui che la sostenne, quantunque non fosse per ciò tanto fiera. E per ciò dico che essendo in Firenze uno da tutti chiamato Ciacco, uomo ghiottissimo quanto alcuno altro fosse giammai, e non potendo la sua possibilità sostener le spese che la sua ghiottornia richiedea, essendo per altro assai costumato e tutto pieno di belli e di piacevoli motti, si diede a essere non del tutto uom di corte ma morditore e a usare con coloro che ricchi erano e di mangiar delle buone cose si dilettavano; e con questi a desinare e a cena, ancor che chiamato non fosse ogni volta, andava assai sovente. Era similmente in quei tempi in Firenze uno il quale era chiamato Biondello, piccoletto della persona, leggiadro molto e più pulito che una mosca, con sua cuffia in capo, con una zazzerina bionda e per punto senza un capel torto avervi, il quale quello medesimo mestiere usava che Ciacco. Il quale essendo una mattina di quaresima andato là dove il pesce si vende e comperando due grossissime lamprede per messer Vieri de' Cerchi, fu veduto da Ciacco; il quale avvicinatosi a Biondello disse: “Che vuol dir questo?” A cui Biondel rispose: “Iersera ne furon mandate tre altre

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