Decameron di Giovanni Boccaccio pagina 92

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egli. Ma, sì come savio, la noia sua dentro tenne nascosa e cominciò a pensare in che maniera potesse impedire che ciò non avesse effetto, né alcuna via vide possibile se non il rapirla. Questo gli parve agevole per lo uficio il quale aveva, ma troppo più disonesto il reputava che se l'uficio non avesse avuto: ma in brieve, dopo lunga diliberazione, l'onestà diè luogo a amore, e prese per partito, che che avvenir ne dovesse, di rapir Cassandrea. E pensando della compagnia che a far questo dovesse avere e dell'ordine che tener dovesse, si ricordò di Cimone, il quale co' suoi compagni in prigione avea; e immaginò niuno altro compagno migliore né più fido dover potere avere che Cimone in questa cosa. Per che la seguente notte occultamente nella sua camera il fé venire e cominciogli in cotal guisa a favellare: “Cimone, così come gl'iddii sono ottimi e liberali donatori delle cose agli uomini, così sono sagacissimi provatori delle loro virtù, e coloro li quali essi truovano fermi e constanti a tutti i casi, sì come più valorosi, di più alti meriti fanno degni. Essi hanno della tua vertù voluta più certa esperienza che quella che per te si fosse potuta mostrare dentro a' termini della casa del padre tuo, il quale io conosco abondantissimo di ricchezze: e prima colle pugnenti sollecitudini d'amore da insensato animale, sì come io ho inteso, ti recarono a essere uomo; poi con dura fortuna e al presente con noiosa prigione voglion veder se l'animo tuo si muta da quello che era quando poco tempo lieto fosti della guadagnata preda. Il quale, se quello medesimo è che già fu, niuna cosa tanto lieta ti prestarono quanto è quella che al presente s'apparecchiano a donarti: la quale, acciò che tu l'usate forze ripigli e divenghi animoso, io intendo di dimostrarti. Pasimunda, lieto della tua disaventura e sollecito procuratore della tua morte, quanto può s'affretta di celebrare le nozze della tua Efigenia, acciò che in quelle goda della preda la qual prima lieta fortuna t'avea conceduta e subitamente turbata ti tolse; la qual cosa quanto ti debbia dolere, se così ami come io credo, per me medesimo il cognosco, al quale pari ingiuria alla tua in un medesimo giorno Ormisda suo fratello s'apparecchia di fare, a me, di Cassandrea, la quale io sopra tutte l'altre cose amo. E a fuggire tanta ingiuria e tanta noia della fortuna, niuna via ci veggio da lei essere stata lasciata aperta se non la vertù de' nostri animi e delle nostre destre, nelle quali aver ci convien le spade e farci far via a te alla seconda rapina e a me alla prima delle due nostre donne; per che, se la tua, non vo' dir libertà, la qual credo che poco senza la tua donna curi, ma la tua donna t'è cara di riavere, nelle tue mani, volendo me alla mia impresa seguire, l'hanno posta gl'iddii.” Queste parole tutto feciono lo smarrito animo ritornare in Cimone, e senza troppo rispitto prendere alla risposta, disse: “Lisimaco, né più forte né più fido compagno di me puoi avere a così fatta cosa, se quello me ne dee seguire che tu ragioni; e per ciò quello che a te pare che per me s'abbia a fare, imponlomi e vedera' ti con maravigliosa forza seguire.” Al quale Lisimaco disse: “Oggi al terzo dì le novelle spose entreranno primieramente nelle case de' lor mariti, nelle quali tu co' tuoi compagni armato e con alquanti miei, ne' quali io mi fido assai, in sul far della sera entreremo, e quelle del mezzo de' conviti rapite a una nave, la quale io ho fatta segretamente apprestare, ne meneremo, uccidendo chiunque ciò contrastar presummesse.” Piacque l'ordine a Cimone, e tacito infino al tempo posto si stette in prigione. Venuto il giorno delle nozze, la pompa fu grande e magnifica, e ogni parte della casa de' due fratelli fu di lieta festa ripiena. Lisimaco, ogni cosa oportuna avendo appresta, Cimone e' suoi compagni e similmente i suoi amici, tutti sotto i vestimenti armati, quando tempo gli parve, avendogli prima con molte parole al suo proponimento accesi, in tre parti divise, delle quali cautamente l'una mandò al porto, acciò che niun potesse impedire il salire sopra la nave quando bisognasse; e con l'altre due alle case di Pasimunda venuti, una ne lasciò alla porta, acciò che alcun dentro non gli potesse rinchiudere o a loro l'uscita vietare, e col rimanente insieme con Cimone montò su per le scale. E pervenuti nella sala dove le nuove spose con molte altre donne già a tavola erano per mangiare assettate ordinatamente, fattisi innanzi e gittate le tavole in terra, ciascun prese la sua e, nelle braccia de' compagni messala, comandarono che alla nave apprestata le menassero di presente. Le novelle spose cominciarono a piagnere e a gridare, e il simigliante l'altre donne e i servidori, e subitamente fu ogni cosa di romore e di pianto ripieno. Ma Cimone e Lisimaco e' lor compagni, tirate le spade fuori, senza alcun contasto, data loro da tutti la via, verso le scale se ne vennero; e quelle scendendo, occorse lor Pasimunda, il quale con un gran bastone in mano al romor traeva, cui animosamente Cimone sopra la testa ferì e ricisegliele ben mezza e morto sel fece cadere a' piedi. All'aiuto del quale correndo il misero Ormisda, similmente da un de' colpi di Cimon fu ucciso, e alcuni altri che appressar si vollero da' compagni di Lisimaco e di Cimone fediti e ributtati indietro furono. Essi, lasciata piena la casa di sangue, di romore e di pianto e di tristizia, senza alcuno impedimento stretti insieme con la loro rapina alla nave pervennero: sopra la quale messe le donne e saliti essi e tutti i lor compagni, essendo già il lito pieno di gente armata che alla riscossa delle donne venia, dato de' remi in acqua lieti andaron pe' fatti loro. E pervenuti in Creti, quivi da molti e amici e parenti lietamente ricevuti furono: e sposate le donne e fatta la festa grande, lieti della loro rapina goderono. In Cipri e in Rodi furono i romori e' turbamenti grandi e lungo tempo per le costoro opere. Ultimamente, interponendosi e nell'un luogo e nell'altro gli amici e i parenti di costoro, trovaron modo che dopo alcuno essilio Cimone con Efigenia lieto si tornò in Cipri e Lisimaco similmente con Cassandrea ritornò in Rodi; e ciascun lietamente con la sua visse lungamente contento nella sua terra.– 2 Gostanza ama Martuccio Comito, la quale, udendo che morto era, per disperata sola si mette in una barca, la quale dal vento fu trasportata a Susa; ritruoval vivo in Tunisi, palesaglisi; e egli grande essendo col re per consigli dati, sposatala, ricco con lei in Lipari se ne torna. La reina, finita sentendo la novella di Panfilo, poscia che molto commendata l'ebbe, a Emilia impose che una dicendone seguitasse; la quale così cominciò: –Ciascun si dee meritamente dilettare di quelle cose alle quali egli vede i guiderdoni secondo le affezioni seguitare: e per ciò che amare merita più tosto diletto che afflizione a lungo andare, con molto mio maggior piacere della presente materia parlando ubidirò la reina, che della precedente non feci il re. Dovete adunque, dilicate donne, sapere che vicin di Cicilia è una isoletta chiamata Lipari, nella quale non è ancor gran tempo fu una bellissima giovane chiamata Gostanza, d'assai orrevoli genti dell'isola nata; della quale un giovane che dell'isola era, chiamato Martuccio Gomito, assai legiadro e costumato e nel suo mestier valoroso, s'innamorò. La quale sì di lui similmente s'accese, che mai ben non sentiva se non quanto il vedeva; e disiderando Martuccio d'averla per moglie, al padre di lei la fece adimandare, il quale rispose lui esser povero e per ciò non volergliele dare. Martuccio, sdegnato di vedersi per povertà rifiutare, con certi suoi amici e parenti giurò di mai in Lipari non tornare se non ricco; e quindi partitosi, corseggiando cominciò a costeggiare la Barberia, rubando ciascuno che meno poteva di lui: nella qual cosa assai gli fu favorevole la fortuna, se egli avesse saputo porre modo alle felicità sue. Ma non

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