Decameron di Giovanni Boccaccio pagina 53

Testo di pubblico dominio

per l'amico suo: il quale venuto, e vedendol turbato, incontanente s'avisò che egli avrebbe novelle dalla donna, e aspettò che dir volesse il frate. Il quale, ripetendogli le parole altre volte dettegli e di nuovo ingiuriosamente e crucciato parlandogli, il riprese molto di ciò che detto gli avea la donna che egli doveva aver fatto. Il valente uomo, che ancor non vedea a che il frate riuscir volesse, assai tiepidamente negava sé aver mandata la borsa e la cintura, acciò che al frate non togliesse fede di ciò, se forse data gliele avesse la donna. Ma il frate, acceso forte, disse: “Come il puoi tu negare, malvagio uomo? Eccole, ché ella medesima piangendo me l'ha recate: vedi se tu le conosci!” Il valente uomo, mostrando di vergognarsi forte, disse: “Mai sì che io le conosco, e confessovi che io feci male e giurovi che, poi che io così la veggio disposta, che mai di questo voi non sentirete più parola.” Ora le parole fur molte: alla fine il frate montone diede la borsa e la cintura all'amico suo, e 'l dopo molto averlo ammaestrato e pregato che più a queste cose non attendesse e egli avendogliele promesso, il licenziò. Il valente uomo, lietissimo e della certezza che aver gli parea dell'amor della donna e del bel dono, come dal frate partito fu, in parte n'andò dove cautamente fece alla sua donna vedere che egli avea e l'una e l'altra cosa: di che la donna fu molto contenta e più ancora per ciò che le parea che 'l suo avviso andasse di bene in meglio. E niuna altra cosa aspettando se non che il marito andasse in alcuna parte per dare all'opera compimento, avvenne che per alcuna cagione non molto dopo a questo convenne al marito andare infino a Genova. E come egli fu la mattina montato a cavallo e andato via, così la donna n'andò al santo frate e dopo molte querimonie piagnendo gli disse: “Padre mio, or vi dich'io bene che io non posso più sofferire: ma per ciò che l'altrieri io vi promisi di niuna cosa farne che io prima nol vi dicessi, son venuta a iscusarmivi. E acciò che voi crediate che io abbia ragione e di piagnere e di ramaricarmi, io vi voglio dire ciò che il vostro amico, anzi diavolo del Ninferno, mi fece stamane poco innanzi matutino. Io non so qual mala ventura gli si facesse assapere che il marito mio andasse ier mattina a Genova: se non che stamane, all'ora che io v'ho detta, egli entrò in un mio giardino e vennesene su per uno albero alla finestra della camera mia, la qual è sopra 'l giardino. E già aveva la finestra aperta e voleva nella camera entrare, quando io destatami subito mi levai, e aveva cominciato a gridare e avrei gridato, se non che egli, che ancora dentro non era, mi chiese mercé per Dio e per voi, dicendomi chi egli era; laonde io udendolo per amor di voi tacqui, e ignuda come io nacqui corsi e serra'gli la finestra nel viso, e egli nella sua malora credo che se ne andasse, per ciò che poi più nol sentii. Ora, se questa è bella cosa e è da sofferire, vedetelvi voi: io per me non intendo di più comportargliene, anzi ne gli ho io bene per amor di voi sofferte troppe.” Il frate, udendo questo, fu il più turbato uomo del mondo e non sapeva che dirsi, se non che più volte la domandò se ella aveva ben conosciuto che egli non fosse stato altri. A cui la donna rispose: “Lodato sia Idio, se io non conosco ancor lui da un altro! Io vi dico che fu egli, e perché egli il negasse non gliele credete.” Disse allora il frate: “Figliuola, qui non ha altro da dire se non che questo è stato troppo grande ardire e troppo mal fatta cosa, e tu facesti quello che far dovevi di mandarnelo come facesti. Ma io ti voglio pregare, poscia che Idio ti guardò di vergogna, che, come due volte seguito hai il mio consiglio, così ancora questa volta facci, cioè che senza dolertene a alcun tuo parente lasci fare a me, a veder se io posso raffrenare questo diavolo scatenato, che io credeva che fosse un santo: e se io posso tanto fare che io il tolga da questa bestialità, bene sta; e se io non potrò, infino a ora con la mia benedizione ti do la parola che tu ne facci quello che l'animo ti giudica che ben sia fatto.” “Ora ecco” disse la donna “per questa volta io non vi voglio turbare né disubidire, ma sì adoperate che egli si guardi di più noiarmi, ché io vi prometto di non tornar più per questa cagione a voi”; e senza più dire, quasi turbata, dal frate si partì. Né era appena ancor fuor della chiesa la donna, che il valente uom sopravenne e fu chiamato dal frate; al quale, da parte tiratolo, esso disse la maggior villania che mai a uomo fosse detta, disleale e spergiuro e traditore chiamandolo. Costui, che già due altre volte conosciuto avea che montavano i mordimenti di questo frate, stando attento e con risposte perplesse ingegnandosi di farlo parlare, primieramente disse: “Perché questo cruccio, messere? ho io crocifisso Cristo?” A cui il frate rispose: “Vedi svergognato! odi ciò ch'e' dice! Egli parla né più né meno come se uno anno o due fosser passati e per la lunghezza del tempo avesse le sue tristizie e disonestà dimenticate. Ètti egli da stamane a matutino in qua uscito di mente l'avere altrui ingiuriato? ove fostù stamane poco avanti al giorno?” Rispose il valente uomo: “Non so io ove io mi fui: molto tosto ve n'è giunto il messo.” “Egli è il vero” disse il frate “che il messo me ne è giunto: io m'aviso che tu ti credesti, per ciò che il marito non c'era, che la gentil donna ti dovesse incontanente ricevere in braccio. Hi, meccere: ecco onesto uomo! è divenuto andator di notte, apritor di giardini e salitor d'alberi! Credi tu per improntitudine vincere la santità di questa donna, che le vai alle finestre su per gli alberi la notte? Niuna cosa è al mondo che a lei dispiaccia come fai tu: e tu pur ti vai riprovando! In verità, lasciamo stare che ella te l'abbia in molte cose mostrato, ma tu ti se' molto bene ammendato per li miei gastigamenti! Ma così ti vo' dire: ella ha infino a qui, non per amore che ella ti porti ma a instanzia de' prieghi miei, taciuto di ciò che fatto hai; ma essa non tacerà più: conceduta l'ho la licenzia che, se tu più in cosa alcuna le spiaci, che ella faccia il parer suo. Che farai tu se ella il dice a' fratelli?” –Il valente uomo, avendo assai compreso di quello che gli bisognava, come meglio seppe e poté con molte ampie promesse racchetò il frate; e da lui partitosi, come il matutino della seguente notte fu, così egli nel giardino entrato e su per l'albero salito e trovata la finestra aperta se n'entrò nella camera, e come più tosto poté nelle braccia della sua bella donna si mise. La quale, con grandissimo disidero avendolo aspettato, lietamente il ricevette dicendo: “Gran mercé a messer lo frate, che così bene t'insegno la via da venirci.” E appresso, prendendo l'un dell'altro piacere, ragionando e ridendo molto della semplicità di frate bestia, biasimando i lucignoli e' pettini e gli scardassi, insieme con gran diletto si sollazzarono. E dato ordine a' lor fatti, sì fecero, che senza aver più a tornare a messer lo frate, molte altre notti con pari letizia insieme si ritrovarono: alle quali io priego Idio per la sua santa misericordia che tosto conduca me e tutte l'anime cristiane che voglia n'hanno.– 4 Dom Felice insegna a frate Puccio come egli diverrà beato facendo una sua penitenza: la quale frate Puccio fa, e dom Felice in questo mezzo con la moglie del frate si dà buon tempo. Poi che Filomena, finita la sua novella, si tacque, avendo Dioneo con dolci parole molto lo 'ngegno della donna commendato e ancora la preghiera da Filomena ultimamente fatta, la reina ridendo guardò verso Panfilo e disse:–Ora appresso, Panfilo, continua con alcuna piacevol cosetta il nostro diletto.–Panfilo prestamente rispose che volentieri e cominciò: –Madonna, assai persone sono che, mentre che essi si sforzano d'andarne in Paradiso, senza avvedersene vi mandano altrui: il che a una nostra

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