Decameron di Giovanni Boccaccio pagina 175

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fuoco se n'entrar tutti; e fatto lei porre a seder disse: “Madonna, io vi priego, se il lungo amore il quale io v'ho portato merita alcun guiderdone, che non vi sia noia d'aprirmi la vera cagione che qui a così fatta ora v'ha fatta venire e con cotal compagnia.” La donna vergognosa e quasi con le lagrime sopra gli occhi rispose: “Messere, né amor che io vi porti né promessa fede mi menan qui ma il comandamento del mio marito, il quale, avuto più rispetto alle fatiche del vostro disordinato amore che al suo e mio onore, mi ci ha fatta venire; e per comandamento di lui disposta sono per questa volta a ogni vostro piacere.” Messere Ansaldo, se prima si maravigliava, udendo la donna molto più s'incominciò a maravigliare: e dalla liberalità di Giliberto commosso il suo fervore in compassione cominciò a cambiare e disse: “Madonna, unque a Dio non piaccia, poscia che così è come voi dite, che io sia guastatore dello onore di chi ha compassione al mio amore; e per ciò l'esser qui sarà, quanto vi piacerà, non altramenti che se mia sorella foste, e quando a grado vi sarà liberamente vi potrete partire, sì veramente che voi al vostro marito di tanta cortesia, quanta la sua è stata, quelle grazie renderete che convenevoli crederete, me sempre per lo tempo avvenire avendo per fratello e per servidore.” La donna, queste parole udendo, più lieta che mai disse: “Niuna cosa mi poté mai far credere, avendo riguardo a' vostri costumi, che altro mi dovesse seguir della mia venuta che quello che io veggio che voi ne fate; di che io vi sarò sempre obligata.” E preso commiato, onorevolmente accompagnata si tornò a Gilberto e raccontogli ciò che avvenuto era; di che strettissima e leale amistà lui e messer Ansaldo congiunse. Il nigromante, al quale messer Ansaldo di dare il promesso premio s'apparecchiava, veduta la liberalità di Giliberto verso messer Ansaldo e quella di messer Ansaldo verso la donna, disse: “Già Dio non voglia, poi che io ho veduto Giliberto liberale del suo onore e voi del vostro amore, che io similmente non sia liberale del mio guiderdone; e per ciò, conoscendo quello a voi star bene, intendo che vostro sia.” Il cavaliere si vergognò e ingegnossi di fargli o tutto o parte prendere; ma poi che invano si faticava, avendo il nigromante dopo il terzo dì tolto via il suo giardino e piacendogli di partirsi, il comandò a Dio: e spento del cuore il concupiscibile amore, verso la donna acceso d'onesta carità si rimase. Che direm qui, amorevoli donne? preporremo la quasi morta donna e il già rattiepidito amore per la spossata speranza a questa liberalità di messer Ansaldo, più ferventemente che mai amando ancora e quasi da più speranza acceso e nelle sue mani tenente la preda tanto seguita? Sciocca cosa mi parrebbe a dover credere che quella liberalità a questa comparar si potesse.– 6 Il re Carlo vecchio, vittorioso, d'una giovinetta innamoratosi, vergognandosi del suo folle pensiero, lei e una sua sorella onorevolmente marita. Chi potrebbe pienamente raccontare i varii ragionamenti tralle donne stati, qual maggior liberalità usasse, o Giliberto o messer Ansaldo o il nigromante, intorno a' fatti di madonna Dianora? Troppo sarebbe lungo. Ma poi che il re alquanto disputare ebbe conceduto, alla Fiammetta guardando, comandò che novellando traesse lor di quistione; la quale, niuno indugio preso, incominciò: –Splendide donne, io fui sempre in opinione che nelle brigate, come la nostra è, si dovesse sì largamente ragionare, che la troppa strettezza della intenzion delle cose dette non fosse altrui materia di disputare: il che molto più si conviene nelle scuole tra gli studianti che tra noi, le quali appena alla rocca e al fuso bastiamo. E per ciò io, che in animo alcuna cosa dubbiosa forse avea, veggendovi per le già dette alla mischia, quella lascerò stare e una ne dirò, non mica d'uomo di poco affare ma d'un valoroso re, quello che egli cavallerescamente operasse in nulla movendo il suo onore. Ciascuna di voi molte volte può avere udito ricordare il re Carlo vecchio o ver primo, per la cui magnifica impresa e poi per la gloriosa vittoria avuta del re Manfredi furon di Firenze i ghibellin cacciati e ritornaronvi i guelfi. Per la qual cosa un cavalier, chiamato messer Neri degli Uberti, con tutta la sua famiglia e con molti denari uscendone, non si volle altrove che sotto le braccia del re Carlo riducere. E per essere in solitario luogo e quivi finire in riposo la vita sua, a Castello da mare di Stabia se n'andò; e ivi forse una balestrata rimosso dall'altre abitazioni della terra, tra ulivi e nocciuoli e castagni, de' quali la contrada è abondevole, comperò una possessione, sopra la quale un bel casamento e agiato fece e allato a quello un dilettevole giardino, nel mezzo del quale, a nostro modo, avendo d'acqua viva copia, fece un bel vivaio e chiaro e quello di molto pesce riempié leggiermente. E a niun'altra cosa attendendo che a fare ogni dì più bello il suo giardino, avvenne che il re Carlo, nel tempo caldo, per riposarsi alquanto a Castello a mar se n'andò; dove udita la bellezza del giardino di messer Neri disiderò di vederlo. E avendo udito di cui era, pensò che, per ciò che di parte avversa alla sua era il cavaliere, più familiarmente con lui si volesse fare: e mandogli a dire che con quatro compagni chetamente la seguente sera con lui voleva cenare nel suo giardino. Il che a messer Neri fu molto caro, e magnificamente avendo apparecchiato e con la sua famiglia avendo ordinato ciò che far si dovesse, come più lietamente poté e seppe il re nel suo bel giardino ricevette. Il qual, poi che il giardin tutto e la casa di messer Neri ebbe veduta e commendata, essendo le tavole messe allato al vivaio, a una di quelle, lavato, si mise a sedere, e al conte Guido di Monforte, che l'un de' compagni era, comandò che dall'un de' lati di lui sedesse e messer Neri dall'altro, e a altri tre che con loro erano venuti comandò che servissero secondo l'ordine posto da messer Neri. Le vivande vi vennero dilicate, e i vini vi furono ottimi e preziosi, e l'ordine bello e laudevole molto senza alcun sentore e senza noia: il che il re commendò molto. E mangiando egli lietamente e del luogo solitario giovandogli, e nel giardino entrarono due giovinette d'età forse di quindici anni l'una, bionde come fila d'oro e co' capelli tutti inanellati e sopr'essi sciolti una leggier ghirlandetta di provinca, e nelli lor visi più tosto agnoli parevan che altra cosa, tanto gli avevan dilicati e belli; e eran vestite d'un vestimento di lino sottilissimo e bianco come neve in su le carni, il quale dalla cintura in sù era strettissimo e da indi 'n giù largo a guisa d'un padiglione e lungo infino a' piedi. E quella che dinanzi veniva recava in su le spalle un paio di vangaiuole, le quali colla sinistra man tenea, e nella destra aveva un baston lungo; l'altra che veniva appresso, aveva sopra la spalla sinistra una padella e sotto quel braccio medesimo un fascetto di legne e nella mano un trepiede, e nell'altra mano uno utel d'olio e una faccellina accesa; le quali il re vedendo si maravigliò e sospeso attese quello che questo volesse dire. Le giovinette, venute innanzi onestamente e vergognose, fecero reverenzia al re; e appresso, là andatesene onde nel vivaio s'entrava, quella che la padella aveva, postala giù e l'altre cose appresso, preso il baston che l'altra portava, e amendune nel vivaio, l'acqua del quale loro infino al petto agiugnea, se n'entrarono. Uno de' famigliari di messer Neri prestamente quivi accese il fuoco e, posta la padella sopra il treppiè e dello olio messovi, cominciò a aspettare che le giovani gli gittasser del pesce. Delle quali l'una frugando in quelle parti dove sapeva che i pesci si nascondevano e l'altra le vangaiuole parando, con grandissimo piacere del re che ciò attentamente guardava, in piccolo spazio di tempo presero pesce assai; e al famigliar gittatine, che quasi vivi

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Argomenti: piccolo spazio,    niuno indugio,    luogo solitario,    lungo amore,    solitario luogo

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