La vita comincia domani di Guido da Verona pagina 81

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irritava. Si accorse d'un disegno di luce che la lampada formava su la tappezzeria; si accorse d'un moscerino che ballonzolava intorno al paralume, come se pendesse dal soffitto appeso ad un lungo ragnatelo. Incominciò a ricordarsi di cose lontane, saltuarie, minime: d'una certa satira piena di garbo e di malizia che uno studente aveva messo in voga nella sua Clinica, per farsi beffe della signora Maggià; poi rivide l'aspetto medesimo della Direttrice, e quel suo camminare impettito per le corsìe dell'ospedale, con un'aria da sergente nel corpo di guardia; poi si rammentò di certe canzonette che soleva cantare su la chitarra Egidio Rosales, talvolta, nelle sere d'estate, quando i medici di turno se ne uscivano a fumare una sigaretta sotto gli alberi del giardino... poi d'un seppellimento a bordo, al quale aveva casualmente assistito, molti anni addietro, nel corso d'una lunga navigazione. A quel tempo egli era un oscuro e povero medico, laureatosi appena; traversava sui transatlantici per vedere un po' di mondo. Il morto, egli se ne ricordava, era un cileno erculeo, proprietario di fattorie, forse quarantenne, che aveva per moglie una piccola donna, gracile, miope, senza età, senza ornamento alcuno, tale da non potersi comprendere per qual modo gli fosse piaciuta. In alto mare lo avevano preso le febbri e la dissenterìa; si ricordava ch'era morto bestemmiando, in un accesso di furore che gli fermò l'aorta. Di notte lo portarono sulla tolda ravvolto in un lenzuolo, e quattro marinai, prima di lanciarlo in acqua, lo avevano fatto dondolare cinque o sei volte a forza di braccia, sovra il parapetto lucido... Era precisamente quel dondolìo bianco e lento che ora i suoi occhi rivedevano. — Andrea... Egli udì, ma non rispose. Volontariamente si lasciava sperdere in una ridda continua d'allucinazioni, che a poco a poco assumevano l'evidenza della realtà. Ora gli pareva d'esser lontano, frammezzo ad una notte stellata, per mare, con il vento a prua. D'improvviso irrompeva nell'ombra un'aurora violenta; il confine azzurro del cielo si popolava di città fantastiche; sui moli percossi dal sole infuriava una folla gesticolante... Od era invece una notte profonda, in una città senza lumi, con strade ambigue, con porte sbarrate. Egli l'attraversava correndo, per giungere alla sua casa, che saccheggiavano; ed era notte così folta, che più correva e più smarriva la strada. Nel labirinto dei vicoli, dietro le porte asserragliate si consumava l'orgia fino al sangue; la città era piena di tumulto; per ogni angolo si assassinava. D'un tratto non era più quella; con un guizzo abbacinante l'elettricità scoppiava da migliaia di lampade: era una piazza enorme, con strade senza fondo, e popolo vi accorreva in tumulto con un fragor di tempesta, plebe irta e scatenata, che urlava, da ogni lato, nel travolgerlo: «Ammazza! Ammazza!» — Andrea... Si ricordò che l'aveva già chiamato un'altra volta, forse pochi secondi prima, e vinta quella specie di sonnambulismo che gli offuscava il cervello, guardò l'amante, ancor supina in quel letto sconvolto, e le sue trecce che ingombravano il guanciale, i suoi occhi fermi, il suo volto senza espressione. Si curvò, e disse: — Ora finalmente sono libero. — Poi le chiese: — Hai paura? — No! — ella rispose, splendidamente, con una singolare forza. — No! Nel dirlo, si era sollevata con impeto; e in quel momento ella pure si ricordò che una volta Giorgio le aveva detto: — «Come gli rassomigli!» La sua treccia disfatta le cadeva sopra una spalla; con le dita calme lentamente la riannodò, poi disse: — Quasi lo sapevo. — Tu? — Sì, io. Lo immaginai prima che nessuno lo dicesse, perchè ti amavo e tu mi avevi qualche volta stretta nella tua volontà con tanta forza, ch'io stessa me ne sentivo ardere come fosse mia. Fu negli ultimi giorni, prima... prima che morisse. Ma dopo, ogni volta che questo pensiero mi si affacciava, io lo respinsi, lo annegai nel mio cuore così profondamente, che man mano ero giunta quasi a dimenticarmene. Ma ora, hai fatto bene... sì, hai fatto bene: io lo dovevo sapere come te. Qualcosa di virile, d'implacabile, ora le splendeva nella fisionomia trasfigurata; la sua bocca d'amante, il suo cuore d'innamorata sapevano dire improvvisamente queste limpide parole. Dal gorgo dormente sotto il velo tenue della sua femminilità saliva in lei questo coraggio come un segno barbaro di bellezza. — Sì, hai fatto bene a dirmelo, perchè non era onesto che tu solo dovessi portarne il rimorso. — Non ho rimorso, — egli l'interruppe con una voce sorda. — Chissà, chissà... — ella rispose. — Non bisogna troppo guardare in noi quando l'anima sente il bisogno di vivere nascosta. Vieni, mio povero amore; sièditi, ascòltami... non voler essere più forte di quello che sei. Guarda: io, che sono semplicemente una donna, ho capita la tragedia che si svolgeva in te, giorno per giorno, ed ho taciuto, solo perchè mi parve che tu lo preferissi. Ma ora, perchè seguiteremmo a nasconderci l'uno all'altra, se nemmeno questo è bastato a distruggere il nostro amore? Tranquillamente gli tendeva la mano ferma, come per offrirgli un patto che suggellasse la loro complicità. Un'ondata di commozione gli traboccò dal cuore; con i due palmi afferrò quella mano, ed inginocchiatosi, nascose nel suo grembo la faccia scolorata. — Allora, — le diceva, — tu non mi odii? Non mi respingi da te? Non hai paura d'esser mia, dopo quello che sai? — No, no... — ella rispondeva. — Tutto può accadere nel mondo, tranne che io non ti ami. Egli alzò la bocca verso la sua bocca, ed in un bacio mortale si congiunsero, con la gola piena di riso, la faccia bagnata di pianto. Per la prima volta nella sua vita egli provò riconoscenza verso una creatura, e per la prima volta conobbe la gioia dello stare inginocchiato. L'adorava, sentiva per lei quello che nell'estasi religiosa un fanatico sente per il suo Dio; l'adorava come bellezza e come forza, di là da tutte le paure, libero da tutte le catene. Sì, questo era finalmente l'amore ch'egli voleva; non cercherebbe mai più d'andar oltre, poichè aveva toccato il limite. Sopra tutte le bufere di sogni che gli uomini avevano scatenate per giungere ad ingannare con speciose credenze la fondamentale paura dell'anima, c'era una verità che divinizzava quest'anima nel suo volo davanti alla morte; l'eternità era il delirio di un lungo istante, la possessione totale del proprio mondo, il senso d'apogeo, — l'amore infinito. Ecco, avevan ucciso e trionfavano: erano il vero simbolo della vita; ubbidivano ad una eterna e spietata logica; riconoscevano il solo dogma che sia davvero padrone del mondo. La terra non vuol essere che un letto d'amanti, ove urge in ogni cosa viva il senso della eternale continuità, la folle speranza d'ogni anima di rinascere nel perpetuo domani... «Fai la ninna, fai la nanna, fantolino della mamma... . . . . . della mamma...» Nell'alta camera il bambinello, forse per fame, si era messo a vagire; la nutrice paziente, dopo avergli tesa la poppa, cantilenava per riaddormentarlo dondolando la cuna. Allora ella disse all'amante: — Se dev'esserci un'espiazione, la consumeremo con uguale fedeltà. Se tu hai avuto il coraggio allora, io l'avrò adesso, che ti sono per la prima volta veramente vicina. — Ma tu credi, Novella, che si debba e si possa dimenticare? — egli le domandò, quasi affidandosi ad una remota speranza. — Non si dimentica, forse, ma cade sopra la memoria un velo d'insensibilità. È il tempo ed è l'amore che lo tessono; bisogna cercare d'aiutarli. Molte volte, in questo lento anno, sono già stata così felice, così pienamente felice, che non mi ricordavo più di nulla... Vedi, è quasi facile... — Forse tu dici questo per ingannarmi. — Invece lo dico perchè sono sicura che ti guarirò. Siamo giovani ancora, e forse potremo avere il coraggio di non riguardare

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Argomenti: alto mare,    velo tenue,    confine azzurro,    segno barbaro,    bacio mortale

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