La vita comincia domani di Guido da Verona pagina 23

Testo di pubblico dominio

pugni che tremavano: — Taci, taci. — Cosa t'ho fatto, io? Non vedi come sono disperata?... non mi ami più? Allora egli esclamò con un selvaggio impeto di passione: — Da qualche giorno ti amo più che mai! più che mai! non lo senti?... Ma sei tutta vestita d'ombra e non ti posso toccare. Ella rispose, appassionata: — Chiudi gli occhi un momento, per non vedermi, e báciami, báciami!... Curvata su lui, la sua gonna gli avvolgeva le ginocchia, i suoi capelli gli toccavano la fronte. In quel bacio ella mormorò: — Che faremo?... Egli le rispose, all'orecchio, con un bisbiglio ch'era solamente un álito: — Aspettare. Ella voleva interrogarlo, ma l'amante si ribellò: — Silenzio!... E lasciami solo. Se io non ti chiamo, non tornare. Ella ubbidì; si ritrasse. Ma nell'orecchio le suonava quella parola grande, minima: — Aspettare. — Vai nella sua camera? — egli chiese ancora. — No; ho paura. Da me sola, ho paura. Non è stato mai così dolce... mi prende le mani, le bacia... e le mie mani divengono fredde. Così dicendo le nascose dentro le pieghe della gonna, quasi avesse ancora su la pelle quella sensazione di ribrezzo che tutta la raggelava. — Ogni tanto mi carezza i capelli come un bambino... non è stato mai così dolce. Egli, senza batter ciglio, l'ascoltava, la guardava. — Sai? Un'ora fa si è assopito, tenendomi una mano fra le sue. Non c'era lume nella stanza, però dalla finestra veniva luce abbastanza perch'io vedessi la sua faccia. Che orrore!... Mi stringeva la mano con una forza convulsa, il suo viso era fermo in una contrazione di dolore. Sognava, e ogni tanto, dagli angoli della bocca, gli usciva un fiotto di saliva... Che orrore! Poi ha rovesciato un occhio indietro, uno solo, senz'iride, ed è rimasto così... Pensai che fosse morto, volli sciogliermi da quella stretta e non ebbi forza, volli gridare e non potei... perchè quell'occhio senz'iride mi fissava e la sua bocca morta sembrava ridere del mio terrore... — Basta, basta! Poi entrambi sussultarono, avvertendo rumore da una camera vicina, che poteva essere quella del malato. Novella cautamente si sporse fuori dall'uscio in ascolto, e sparve nel corridoio scivolando lungo il muro. Egli rimase nel mezzo della camera, diritto, pronto, perchè udiva un passo avvicinarsi, un passo che gli era noto. — È lui... — pensava. Ma non gli rimase tempo ad alcuna riflessione, perchè Giorgio aperse l'uscio e si fermò su la soglia, cadaverico, vacillante. Rimasero a guardarsi un attimo, poi Andrea disse: — Ti senti male? Giorgio scosse il capo. Era interamente vestito, portava una giubba di lana rossiccia, intorno al collo uno scialle avvoltolato. Si avanzò nella camera con un passo malfermo, poi tese l'índice verso l'uscio e disse: — Chiudi a chiave la porta, ti prego. Attonito, Andrea non si mosse. — Chiudi la porta; voglio rimanere solo con te. Macchinalmente, quasi piegandosi ad una forza incontrastabile, Andrea ubbidì. Quando s'intese il rumore della chiave nella toppa, e furon soli, di fronte, viso a viso, e fu passato qualche attimo d'un silenzio mortale, Giorgio disse con voce spenta: — Novella era qui. — No. — Era qui. — Ossia, — corresse Andrea confusamente, — passava per il corridoio... si è fermata un momento a parlarmi. — E soggiunse dopo una pausa: — A parlarmi di te. Poi avanzò verso Giorgio una vasta poltrona di cuoio, spingendola per la spalliera; l'infermo vi si lasciò cadere, premendosi le due braccia sul petto quasi per comprimere un dolore inesprimibile. Ma d'improvviso, dopochè i suoi occhi febbricitanti si furon incontrati con gli occhi aspri e fermi del suo fratello antico e per qualche tempo l'ebbero vigilato in silenzio: — Andrea!... — esclamò con accento d'indulgenza e di sconforto estremi, — Andrea non mentire più! È inutile, poichè muoio... non mentire più! L'altro si curvò, si radunò in sè stesso, come un aggredito che sta per raccogliere tutte le sue forze in una disperata difesa, poi, dibattuto fra la verità inconfessabile e la menzogna insostenibile, si ritrasse meccanicamente nell'alta ombra che l'armadio propagava dal muro, e muto vi stette, guardando fissamente terra, in attesa della parola che li avrebbe separati per sempre. — Hai paura di me, o mi odii? — Giorgio gli domandò, ergendosi a fatica sui bracciuoli della poltrona. E poichè l'altro taceva, lo incalzò: — Non puoi rispondermi? Non vuoi che ci si guardi a viso aperto? I tuoi occhi, una volta, sapevano fissare! V'era nella sua voce un sarcasmo, anzi una sfida manifesta, contro la quale, di colpo, l'avversario si raddrizzò. L'uomo che non s'era mai piegato, che non aveva mai temuto, comprese di doversi avventare contr'essa, come soleva, nel mezzo di tutti i pericoli, con spavalderia. — Fra noi, — rispose, — mi pareva migliore il silenzio. La sua voce non aveva alcun tremito: fu dura, fredda, lucida come una lama ben affilata. Con più dolcezza, quasi con affetto, l'altro ripetè la domanda: — Hai paura o mi odii? — Nè una cosa nè l'altra, Giorgio. — E allora? — Sento la distanza insormontabile che ci divide, sento che siamo ridotti ad essere due semplici automi l'uno di fronte all'altro, e che parole, fra noi, non ci devon più essere. — No, Andrea. Per te, che prosegui nella vita, questo divenir automa è un giuoco di qualche ora; per me, che la finisco, è un gioco assurdo. Ho radunate le mie poche forze per venirti a parlare: non impedirlo, se ti ricordi che abbiamo avuto sempre coraggio. Una luce tetra splendette nella faccia dell'avversario. — Ebbene, — disse, avanzandosi dall'ombra, — se così vuoi, sia! — Non come due nemici, Andrea, — lo pregò l'infermo con un sorriso triste. — Sì, è vero, il passato è in frantumi e le memorie son ragnatele che val meglio spazzar via... Ma c'è qualcosa nel mondo che può essere dolce ad un uomo, e questo è la certezza di aver amato un altr'uomo con tanta purezza d'affetto, che per quanto egli ti faccia male, per quanto il destino te lo avventi contro come un inconciliabile nemico, tu non lo possa veramente nè interamente odiare mai. Questa è la prima cosa che volevo dirti. Andrea non battè ciglio, non si mosse, non rispose parola. — Ti ricordi?.... — ricominciò il malato, con una voce quasi lontana. — Abbiamo tutto diviso fraternamente nella vita, come dividevamo insieme — ti ricordi? — nella nostra camera di studenti, su quel tavolino zoppo, le nostre povere cene. Poi, quando bruciò la miniera di Connigan Gate seppellendo trecento uomini, e la Compagnia mi cacciò come responsabile del disastro, per un anno vissi nella tua casa, e devo a te solo, — sì, lasciami dire: a te solo — se ho potuto per una seconda volta ricominciare la strada. — Visto che facciamo i conti, io ti devo altrettanto e più! — Andrea lo interruppe con voce irritata. — Ora ti rivedo! — esclamò Giorgio, scuotendo con un sorriso il capo. — Riassomigli, contro di me, a quello ch'eri nel Comizio Romano, davanti a coloro che ti accusavano di averli traditi, di aver venduta la causa loro a chi ti prometteva il potere... E tu eri là, pallido ma sorridente, con le braccia incrociate, contro il tumulto, contro gli urli, contro gli insulti, finchè ne hai preso uno per la gola, uno che inveiva più da presso. Questo atto di coraggio fece il silenzio intorno a te. Allora ti lasciarono parlare. Mi ricordo. Pareva che tu foggiassi le parole in un sonoro metallo e le piegassi con la forza de' tuoi pugni prima di scagliarle in pieno petto contro gli avversari, contro il semicerchio muto che lentamente oscillava; e c'era in te qualcosa di magnetico, d'elettrizzante che dominò la folla, che li vinse, ad uno ad uno, e poi tutti, finchè ti vidi preso nel mezzo, come in un'immensa mareggiata d'uomini, d'uomini clamorosi e deliranti che ti portarono in trionfo... Dimmi, Andrea, non sei più quello di

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Argomenti: pieno petto,    selvaggio impeto,    fratello antico,    verità inconfessabile,    distanza insormontabile

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