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La vita comincia domani di Guido da Verona pagina 40«Càpperi!» — Cosa dici? «Ma guarda! ora mi lascian solo col matto!... Non vorrei che per caso gli saltasse la mattana!» Poi soggiunse, con un inchino: — Tanto piacere di conoscerla, signor professore!... Entrò la Berta per sparecchiare la tavola. Súbito lo scemo le si fece intorno e cominciò a darle noia. La ragazza, posato il vassoio, fuggiva intorno alla tavola rotonda; e lo scemo a saltellarle dietro, co' suoi lunghi passi barcollanti. — Ma, dica, professore... cosa fa? — esclamò Tancredo. Marcuccio ristette, e puntando l'indice contro la ragazza: — Costei mi ama, — disse, — Davvero? Ha buon gusto! La Berta si mise a ridere e scappò via. Da quel sorriso Tancredo arguì che una corrente di simpatia fosse nata fra loro. Lo scemo cominciò a dondolarsi, e di nuovo a considerare l'estraneo con attenta curiosità. — Cosa vieni a fare in casa nostra? — Io?... Sono venuto per vedere mio fratello. — Tuo fratello? Ah!... ah!... — E rideva tenendosi le due mani sul ventre. — Ma chi è tuo fratello? — Mio fratello Giorgio, che è morto... quello che è morto... — spiegava Tedo con indulgenza. Ma lo scemo si rannuvolò, dubitando forse che il forestiero si gabbasse di lui. — Ora ti mando al manicomio perchè sei matto, — fece, seriamente. — Già... già... — lo blandiva Tedo con dolcezza. — E ti faccio legare perchè sei matto! — Già... già... «Ma cominci anche a seccarmi!» — disse fra i denti, guardandolo in malo modo. Per fortuna tornarono in quel mentre Maria Dora, Stefano ed il fattore Mattia. — Avete pronta una carrozza? — domandò lo scemo. — Bisogna portare al manicomio quest'uomo ch'è diventato matto. Il buon Tancredo sorrise con benevolenza, per mostrarsi alieno dal ricevere scuse; poi disse: — Oh, mi creda, signor Landi, è stato per me un vero strazio il ricevere quel telegramma! Se non erro ne' miei calcoli, quel povero Giorgio non aveva che trentasette anni, è vero? — Quasi trentanove, signor Salvi, — corresse Maria Dora, che lo guardava con un semiriso. — Appunto, appunto... Ed in che modo è morto? — È morto di notte, solo, nel suo letto. — Ha sofferto? — Forse no; pareva tranquillo. Il professor Ferento crede sia morto nel sonno. — Quel professor Ferento era il suo amico intimo, non è vero? Egli aveva posto a caso la domanda, e solo perchè gli avevano ricordato il nome del Ferento. Ma s'accorse che la sua domanda non pareva loro altrettanto naturale, anzi osservò che il padre e la figlia s'erano guardati velocemente, con una certa perplessità. — Erano amici sin dall'infanzia; erano quasi due fratelli, — Stefano rispose. «Perchè mai — pensò Tancredo — s'erano guardati a quel modo?» E nella mente gli tornò la sembianza di Andrea: una bella testa violenta, rigida, precisa, come un'arma d'acciaio bene affilata. — «Lei è il fratellastro di Giorgio Fiesco, non è vero? E desidera vederlo? Venga, la condurrò.» Così gli aveva detto nel riceverlo, senz'altre parole. — Senta, e la moglie? — fece il Salvi dopo una pausa. Di nuovo il padre e la figlia si guardaron in faccia rapidamente, quasi cercasser di nasconder l'uno all'altro il lor medesimo pensiero. Maria Dora, che stando seduta e ferma teneva i piedi allacciati l'uno all'altro fuor dalla balza della gonna, macchinalmente li disciolse; poi di nuovo li annodò; Stefano trasse di tasca la pipa e ne battè il fornello sul tallone per farne uscire un po' di cenere. — Eh, capirà... — Poi disse, molto in fretta: — Desolata, desolata... Neppur lei non è stata felice, povera figliuola! «C'è qualcosa nell'aria che non mi sembra naturale... — rifletteva Tancredo. — Non saprei cosa, ma certo il mio buon fiuto non m'inganna.» E gli parve che questo senso d'innaturalezza divenisse più immediato, più avvertibile, quando il Ferento appariva, o quando nei discorsi altrui fosse pronunziato il suo nome. Con quell'istinto particolare degli uomini che son usi a vivere di mezzi equivoci ed a speculare su le debolezze altrui, Tancredo s'accorgeva di respirare in un'atmosfera non limpida e gli pareva che un non so che d'ambiguo stringesse tutti gli abitatori di quella casa funesta. Andrea si era seduto presso la tavola, sotto la luce dell'alto lampadario, e celermente leggeva un fascio di telegrammi, passandoli poi a Stefano con un moto meccanico. Tancredo guardava quell'aspra fisionomia, gli pareva di temerla, ma insieme di sentirsene avvinto. Nel vederlo, comprese la fama che di lui correva, sentì con esattezza d'essere di fronte ad un uomo insolito, uno di quegli uomini destinati a produrre avvenimenti estremi e che raggiano da sè un fascio di potenza, benefica o dannosa, che li ricinge di solitudine come insieme li avvolge di splendore. Molto spesso Tancredo aveva udito pronunziare il nome di Andrea Ferento. Era un uomo che, da un lato, riempiva di sè la vita scientifica del paese, dall'altro, con veementi libri, ne scuoteva le forze intellettuali; e quantunque avesse da parecchi anni abbandonata la battaglia politica, non ancor sopiti si eran gli odî acerrimi e gli amori tenaci ch'egli aveva suscitato e suscitava intorno a sè, agitando bandiere. In verità era piuttosto un pensatore che un tribuno, piuttosto un banditore d'idee che un uomo di parte. Nato con un cervello d'autócrate, amava per istinto la ribellione, amava la guerra del pensiero nuovo contro il pensiero antico, del domani contro la vigilia, dei rinnovatori contro i sofisti. Dalla sua cattedra d'Università, nelle vibranti pagine de' suoi libri, egli cercava di rappresentare con immagini vive l'enorme fantasma del suo pensiero; logico, freddo, preciso, libero da influssi mistici come dalle pastoie di qualsivoglia sistema, non curava l'uomo soltanto per guarire la materia, bensì per indovinarla, e vedeva il problema della conoscenza umana ridursi grado per grado ad una catena di scoperte scientifiche. « Uno scienziato sarà il Dio dell'umanità ventura... » Tancredo Salvi si ricordava confusamente di aver letta questa frase nel « Dio lontano » — il libro del Ferento che, per la sua forma accessibile anche ai profani e per il suo contenuto suggestivo, si era più largamente divulgato nel pubblico; libro d'anarchismo e d'irreligione dov'egli cantava la Divina Inutilità. E Tancredo ripensava queste pagine, mentr'era intento ad osservare quella fronte salda, maestosa, que' fini e lunghi sopraccigli pressochè non curvati, che stavan sopra gli occhi violenti come segni di volontà. Guardava la bella capigliatura, leggermente striata di bianco, l'orecchie di lui, piccole, ben raccolte contro il cranio, quasi prive di lobi, effeminate quasi nella sua maschilità. Considerava il mento saldo, la guancia ben contornata, la bocca dissimile dagli altri lineamenti, anch'essa un po' lieve, un po' delicata, in quella maschera così bene impressa di virile fermezza. Era vestito di scuro; semplicemente, ma con uno studio di eleganze quasi dissimulato, e si vedeva una camicia di lino, freschissima, con i polsini chiusi da quattro cerchi di zaffiri, «che gli stavan — pensò Tancredo — molto bene, molto bene...» Gli tornò in mente la biondina, ch'era così leggiadra nel suo lieve abito nero, e poi l'altra, ch'era di sopra, la sua cognata vedova, l'erede... Come costei fosse veramente, non ricordava più; gli parve solo che fosse molto bella, null'altro; che fosse alta, con le trecce d'un bel colore bruno dorato... null'altro. Le rade volte ch'era stato in casa di Giorgio, questi l'aveva ricevuto frettolosamente, nel suo studio, ed egli lo rivedeva sempre nell'atto di aprire con un certo mazzo di chiavi che si toglieva dalla tasca dei calzoni lo sportello d'una cassaforte massiccia e tenebrosa. Poi rinchiudeva meticolosamente la serratura... tric, trac... una quantità di ordigni che scattavano, e Giorgio tornava presso la scrivania, piano piano, senza guardarlo, senza dir nulla; Tag: scemo morto uno contro pensiero fratello matto nuovo vero Argomenti: due mani, pensiero nuovo, dio lontano, vero strazio, forma accessibile Altri libri consultabili online del sito affini al contenuto della pagina: Le rimembranze di Giacomo Leopardi Il colore del tempo di Federico De Roberto Il diavolo nell'ampolla di Adolfo Albertazzi La strega ovvero degli inganni de' demoni di Giovan Francesco Pico Della Mirandola La trovatella di Milano di Carolina Invernizio Articoli del sito affini al contenuto della pagina: Candele per l'aromaterapia Obiettivi di benessere in anno nuovo Bonifacio, la perla dell'estremo sud Offerta capodanno a Mosca Offerta capodanno a Sofia
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