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La vita comincia domani di Guido da Verona pagina 70chiudeva l'accesso dello scalone. Alcuni gli si fecero intorno; egli chiese distrattamente: — Che è stato? che è stato? — e spiegò il giornale. Allora, súbito, dette un urlo. Aveva letto in capo della colonna: — «L'assassino è l'assistente di Andrea Ferento: Egidio Rosales.» — Ma no! ma no! ma no!... — si mise a dir forte, mentre con gli occhi leggeva, e mentre intorno a lui si andava stringendo un cerchio di persone silenziose. Ogni tanto egli le fissava con occhi esterrefatti, come per interrogarle; poi di nuovo a leggere con avidità, con terrore. La notizia era questa: poche ore innanzi, mentre Salvatore Donadei scendeva dalla Redazione della Crociata insieme col suo capo redattore, un giovine lo aveva subitamente affrontato sul marciapiede, scaricandogli addosso tre colpi di rivoltella a bruciapelo e gridandogli ad ogni colpo: — Basta! basta! basta! Ferito due volte nel petto, una volta nella fronte, il Donadei stramazzò senza rispondere, morto. L'aggressore gli gettò sopra l'arma fumante, si volse alla strada e gridò: — Voleva uccidere un santo! Io l'ho vendicato! E scomparve. Tutto questo in un baleno. Dieci minuti più tardi, presentatosi al Commissario di Polizia, ripeteva le stesse parole con una calma ed una fissità da ipnotizzato, poi rimaneva immobile davanti alla scrivania del Commissario, stringendosi con una mano il polso tremante, che aveva ucciso. — Il vostro nome? — Egidio Rosales. Ho ventisei anni, mio padre è morto; mia madre anche. Sono il primo assistente di Andrea Ferento: a quest'uomo debbo tutto, e non feci che assolvere un debito liberandolo dal suo nemico. — Conoscevate l'onorevole Donadei? — No. — Sapete che è morto? — Lo so, e volevo che morisse. Non un muscolo, non una linea trasaliva nella sua delicata faccia pallida; solamente le pupille, che parevano aver perduta ogni virtù di espressione, bruciavan d'un fuoco fermo e s'affondavano sempre più nelle profonde órbite. Allora il Ferento, con impeto, ruppe il cerchio delle persone ch'erano intorno, uscì fuori, balzò in una vettura, corse al Commissariato di Polizia. — Voglio vederlo, súbito, súbito... vederlo! Il Commissario lo fece chiamare nel suo gabinetto. Il Rosales entrò, in mezzo a due questurini, pallido, con il bavero alzato. Nella sua chiara fronte, ne' suoi femminili occhi splendeva una estatica serenità. Con un atto paterno e disperato il Ferento gli si buttò incontro, quasi volesse tentare di strapparlo a' suoi carcerieri, a quelle due guardie impassibili, ferme, agghindate nell'uniforme dalle bottoniere luccicanti. — Rosales! figliuolo mio! che avete fatto? Che avete fatto, per carità?!... Ma questi non rispose; un tremito convulso gli agitò le spalle, gli fece brillare intorno al mento la tenue barba bionda; poi si lasciò cadere a piè del suo maestro, e singhiozzando avvinghiò le braccia intorno alle sue ginocchia. — Perdono! perdono... — balbettava; — ma non era più possibile che Lei... Andrea Ferento lo sollevò da terra quasi con violenza, e come padre e figlio, come fratello e fratello, que' due uomini, fra i quali stava la morte, insieme piansero abbracciati. VIII L'istruttoria si trascinò ancora per qualche tempo, finchè i periti risposero con un giudizio fermamente negativo. Allora il giudice Niscemi chiuse l'istruttoria e sottopose gli atti alla Camera di Consiglio, la quale, frustrando la denunzia, addusse in favore del Ferento l'inesistenza del reato. Il cadavere dissepolto ritornò a dormire l'interrotto sonno in quel piccolo cimitero di campagna, ove ormai gli sfioriti mazzi de' papaveri si piegavano con una specie d'ubbriachezza, dondolando su gli esili steli, mentre qualche foglia gialla si metteva a correre di tomba in tomba nelle folate crepuscolari. Così era passata la bufera sul grande omicida, su l'anima sua di tiranno e su l'insorgere tempestoso delle fazioni. Era passata e già si disperdeva, come tutto si disperde nel mondo, in una nube di polvere, in un'eco lontana e fievole che man mano la distanza confonde. Nell'ora più tragica del combattimento un fanatico s'era gettato a fronte bassa nella mischia per salvare il suo tragico maestro, ed anche se un tal eroismo per avventura fosse stato inutile, allora come sempre il mondo non poteva impedirsi d'ammirare queste barbare magnificenze. Come il Ferento aveva creduto e voluto, la battaglia era vinta; vinta senza riserve, ampiamente, crudelmente. Ora, poichè la strada era sgombra, poteva camminar oltre, verso il domani vertiginoso. Si era fatto amare abbastanza per trovare intorno a sè una falange di partigiani, serrata e forte, che ovunque lo avrebbe difeso a spada tratta, vita per vita; ormai non gli restava che godere il premio della sua temeraria impunità. Colpita nel cuore, la fazione avversaria s'era lasciata debellare facilmente: egli poteva ora scegliere vendette come rose profumate in un largo paniere. La folla, quella medesima folla ch'era insorta contro il suo nome, ora l'applaudiva; persuasa o meno, egli era stato il più forte; e ciò bastava perchè, secondo la logica della vita, il più forte avesse anche ragione. Era stata immolata una vittima per placare il dio della civile discordia; dopo molto contorcersi, la città aveva bevuta per gli interstizi del suo lastricato una fresca vena di sangue; l'epilogo era nella morte: bastava. Domani, con altre bandiere, si ricomincerebbe a guerreggiare; ma la battaglia di ieri diventava una fredda pagina di storia morta, un nero turbine che si allontanava nella immensa caligine delle cose finite. Su l'avvenire degli uomini urgeva e pulsava il domani, che appartiene sempre al vincitore ed è implacabilmente la disperazione del vinto. Questo era vero nella breve battaglia fra due fuggenti uomini, com'è vero nella storia dei popoli, nelle leggi fondamentali della vita, in tutte le distruzioni, in tutte le creazioni della possibilità umana. Egli era stato adunque il padrone del suo diritto imperatorio: aveva ucciso, aveva costretto altri ad uccidere, e la folla soggiogata l'applaudiva. Sopra il suo delitto non aveva trovato altro giudice che sè. Questo anarchico e questo santo alzava la sua rilucente potestà sopra i divieti che sono la catena dei mediocri: s'era involto, calmo ed inesorabile, in quel magnifico diritto che gli uomini titubanti avevano decretato agli Dei. Ma non soltanto sopra la scena mutevole della commedia umana era passata ormai come polvere l'improvvisa bufera; non soltanto fuori da lui, ma nel suo spirito stesso, era passata e lontanava. Non più l'irosa voglia del combattere, non più la gioia sopraffacente che si origina dalla coscienza del proprio potere; non più nemici, non più giornate sospese nel dubbio del domani, non più l'accanimento febbrile che gli occupava la veglia ed il sonno; ma invece una stanchezza quasi vuota, una specie d'annientamento, un gorgo aperto nell'essere, un'ala che ha volato troppo alto, ed ora cade, cade... Non era neanche giunto alla pienezza della maturità; aveva trentotto anni, e davanti a sè la vita, come una limpida libera strada. Era sicuro d'aver battuto il buon cammino, d'aver distinto il bene dal male con alti sensi, d'aver professata la propria coscienza con assoluta sincerità. Se aveva peccato, era d'orgoglio, nel non credere agli altri, nel volere col suo proprio dio; un dio prigioniero nella materia, che nasceva e moriva con l'uomo. Persuaso di poter imprimere un segno anche minimo nella storia della conoscenza umana, aveva intesa la vita come un sacerdozio, e, sebbene ciò fosse dissimile dalla sua natura, la spendeva con tenacità in una intensa e buona fatica. Aveva eretta la Scienza a sola divinità della vita: era persuaso che il Dio lontano fosse, fino ad un certo punto, il potere dell'uomo. Per ciò bisognava, ed anzi era necessario, debellare con pugno fermo l'ignoranza ed i pregiudizi millenari delle stirpi, vuotare dagl'idoli marci le Tag: vita intorno due aver passata domani uomini forte dio Argomenti: piccolo cimitero, dio lontano, fuoco fermo, tremito convulso, tenue barba Altri libri consultabili online del sito affini al contenuto della pagina: I nuovi tartufi di Francesco Domenico Guerrazzi Il fiore di Dante Alighieri La favorita del Mahdi di Emilio Salgari Storia di un'anima di Ambrogio Bazzero Confessioni di un Italiano di Ippolito Nievo Articoli del sito affini al contenuto della pagina: Offerta capodanno alle Hawaii Cosa bisogna sapere sul gattino di razza Come fare un bracciale a forcella con ciondolo Come ritrovare la felicità dopo avere divorziato Venezia: alcune tradizioni e misteri leggendari
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