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La vita comincia domani di Guido da Verona pagina 72figlio, eran legati, avvinti l'uno all'altra per intera vita... Eppure egli non sentiva di avere un figlio, non lo conosceva, sebbene fosse già nato e l'avesse appena intravveduto con i suoi occhi distratti. Sentiva solamente una cosa: l'amore per lei, l'amore, il desiderio, la paura di lei... Ma anche questo in un modo già diverso, già nuovo. Un pensiero l'occupò improvvisamente: «Rimarrà bella?» E s'accorse che la sua bellezza gli era necessaria. Poi cominciò a guardare indietro, verso tutto quello che aveva compiuto per giungere fino a quell'ora, e ne provò un senso quasi di vertigine, come se avesse guardato smarritamente nell'immenso gorgo del proprio amore. Di nuovo il senso quasi erotico della loro complicità gli venne al sommo del cuore. La rivide in lontane ore notturne, disperata e sorridente nella gioia che mai non la saziava; ricordò il profumo della sua gola turgida, che ora da molte settimane non baciava più. Si udiva dall'altre stanze un'eco di rumori confusi; ma in quella camera di natività, immersa nella penombra vaporosa, non si udiva che il rumore della notte, simile a quello che fa, nell'aprirsi, un grande ventaglio di piume. Li avevano lasciati soli, mentre di là v'eran il medico, la levatrice, le domestiche, l'intera famiglia radunata intorno alla culla, e già tutti eran curvi su quella debole incominciante vita, come se il nascere fosse ancora un miracolo che stupefacesse i vivi, e come se davanti al vagito d'una creatura nascente fosser cosa di ben lieve importanza tutte l'altre voci che provengono dal confuso agitarsi del mondo. Ella dormiva in pace, stanca d'aver compiuta la sua fatica materna, forse ondeggiante nel sonno in una sensazione d'allegrezza e di lievità. Su la bocca un po' tumida, leggermente contratta, le alitava un sorriso che pareva somigliante allo stupore d'una ubbriachezza; egli, che la guardava con l'occhio geloso e mai casto d'un amante, provava un senso complesso d'ostilità e di compassione contro la donna che aveva dovuto soggiacere così apertamente alle tiranniche leggi della natura, e che, invece di esaudir l'amore come un divino sterile delirio, aveva dovuto avvilire il suo grembo con il peso bestiale della fecondità. Veduto così, l'amore non era più che un prestigioso inganno, traverso cui l'uomo s'induceva necessariamente a creare. Una volta di più il divino esulava dalla materia ; l'uomo non era che il tramite aleatorio traverso il quale passa la corrente inestinguibile della vita; il figlio, appena concepito, impoveriva già la sua madre; nascendo, incominciava ad ucciderla. Davanti a quel primo vagito, a quel primo brancolare nella luce d'una creatura da poco respirante, essi, che l'avevano generata, esaurivano sostanzialmente la lor ragione d'essersi amati, finivano di ubbidire alla volontà naturale della materia, trasmettevan nella forza d'un cuore più celere il già morente fuoco delle lor vene, quasichè la lor concorde ragione di vivere fosse trapassata in quel più giovine spirito, e la vita camminasse oltre, immemore, sopra la loro subitanea vecchiezza. Nel momento ch'ebbe un figlio, sentì la catena che lo avvinceva inesorabilmente alla sua propria fine; sentì l'origine di quel buio dolore che rivolge l'uomo decrepito verso la gioventù sempre fuggente, poich'egli non può ringiovanire se non avventando la sua furente voglia di vivere nel cuore più giovine d'un figlio, come d'un altro sè stesso, che trascinerà la sua ombra verso il perpetuo domani. L'onda, l'onda, l'onda... e più lontano ancora l'onda, e fin oltre i limiti di tutte le lontananze, ancora e per sempre, inutilmente, l'onda... Egli chiuse gli occhi, sopraffatto, e gli parve di sentirsi uccidere con una lentezza crudele dalla stessa chiaroveggenza del suo pensiero. Se tale infatti è il mondo, qual'esso appare all'uomo che avvedutamente lo guardi, come potremmo ancora senza tedio accingerci a pensare, a volere, ad amare, ad irrompere insomma con tutta quella ingordigia ch'è nostra nei dominii della vita? Se una tale inutilità sovrasta ogni meta, perchè mai l'uomo si affaticherebbe ad essere qualcosa più che un rassegnato gauditore di gioie distruttibili? O forse la materia è così prodigiosa, ch'essa ci salva persino dal nostro medesimo pensiero, e quanto più la nostra mente s'accanisce a distruggere il senso del vivere, tanto più l'istinto illogico ed imperioso della nostra vitalità ci sospinge ad amare con ebbrezza quello che pur vediamo essere un nulla?... Forse. Perchè l'uomo non ha nella creazione che un solo nemico: sè stesso. Quando l'addormenta, è felice; quando lo fa pensare, disperato. Nulla vi è che resista, che sia qualcosa , davanti al nostro pensiero: nè la bellezza, nè il piacere, nè la verità, nè l'amore, nè il pensiero medesimo... nulla, nulla! E tuttavia non siamo che gli innamorati inguaribili dell'una o dell'altra di queste cose fallaci, non possiamo far altro nel mondo che seguitare a credere l'assurdo, a fidare nell'inganno, a volere l'inutilità... «Sorella, non eran fili di paglia, e nemmeno d'argento; non erano che un po' di vento rosso... Ne ho prese più che cento; m'hanno bruciato i guanti. Le diamo al bambino piccino le stelle filanti filanti?...» Erano soli, nella camera silenziosa; il mese d'autunno, con folate calde, gonfiava le tende senza muoverle, senza far nascere il più piccolo rumore. Nel guardare la notte, pareva che un velo di mussola nera continuamente s'avvolgesse intorno ad un cerchio d'azzurrità; entro infuriavano stelle, come lucciole prigioniere in una finissima rete. Allora egli ricominciò a sognare che l'amava, che l'amava con voluttà e con oblìo, come se gli dilagasse per le vene il fumo d'un oppio ubbriacante; perchè al disopra d'ogni titanica impotenza del pensiero cantava tuttavia l'amore, questo volo dell'essere ch'era il più lontano dalla morte, ch'era stato e sarebbe in eterno la più bella favola del mondo... X Ma egli aveva ucciso. Allo stesso modo che il suo pensiero gli impediva di credere nel divino, di costituire l'alta sua libertà sotto l'arbitrio dei pavidi legislatori, così la sua logica imperatoria gli impediva di ritenere che ciò fosse un delitto. L'aver soppresso non era, nella sua coscienza incolpevole, che un atto barbaro ma necessario di dominazione. Certo non lo mordeva il rimorso che tormenta il mediocre; anzi la sua volontà micidiale continuava senza infrangersi dopo la consumazione del delitto. Se talvolta, di sorpresa, un dubbio lo assaliva, gli era facile impadronirsi velocemente di sè stesso, riflettere, annientare il suo dubbio. Le piccole paure dell'uomo non erano fatte per lui. Ma quello che invece lo torturava era la menzogna, ed era il silenzio, dai quali non poteva disciogliere il suo virile coraggio. Preso d'assalto, era stata buona guerra il mentire, poichè fra uomo ed uomini tutto è lecito quel che fa essere il più forte. Ma ora, lontanata la guerra, egli sentiva una ripugnanza invincibile della sua frode; perchè, se l'uomo può mentire in un giorno di pericolo, non deve, non può, tutta la sua vita vivere nella menzogna. Sì, da un lato era in pace con sè stesso; almeno gli pareva. Ma dall'altro egli si sentiva divenire crescentemente il nemico di sè stesso, e talvolta sentiva di trascinare in sè una fatica morale man mano più insopportabile. Passavano i mesi, gli avvenimenti mutavano; l'epilogo d'una storia di morte s'era chiuso intorno ad una cuna. Per riposare la sua fatica e per lasciare che un poco di silenzio addormentasse quei giorni di furore, aveva trascorse parecchie settimane in una recessa villeggiatura, con Novella, e con la famiglia di Novella che vigilava il loro piccolo bimbo. Ormai nessuno di costoro, forse neanche Maria Dora serbava in apparenza il più piccolo dubbio su la possibilità che il giudice avesse prosciolto un colpevole, tanto è profonda nel cuore dei semplici la deferenza verso la cosa giudicata. 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