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La vita comincia domani di Guido da Verona pagina 53ribellione che imparaste nei suburbi, dall'eloquenza degli arringatori plebei? O glorioso tempo di rivolte, ove uno scaricatore di fogne diventa tribuno del Quartier Latino e Rettore Magnifico degli Atenei!... Ma or che avete iniziata la rappresaglia con sufficiente rumore, spaccato abbastanza legno, assediate abbastanza scale, ornato a sufficienza di pupazzi la vostra Camera del Lavoro, delegate altresì una Commissione di studenti, che renda noto al Consiglio Universitario la natura ed i motivi delle vostre lamentele...» — Già fatto! già fatto! Inutile! Nessuno ci ascolta! — s'interrompeva da varie parti. — ...a meno che non preferiate, — egli proseguì, — affidarmi la vostra causa, fin dove io l'accetti e fin dove mi sembri giusta, perch'io mi faccia interprete presso il Consiglio Accademico dei vostri desiderii, e, con esso d'accordo, vegga di ottenervi una soluzione soddisfacente. — Sì, sì! — acclamarono i più vicini, poi gli altri, poi l'intera studentesca, prorompendo in applausi clamorosi, che soverchiarono il tumulto. Il suo nome volò da ogni bocca: — «Viva Andrea Ferento!» Lontano, alto, per l'aria libera, il suo nome cantò: — «Viva Andrea Ferento!» E volando e cantando inebbriava il cuore dei giovani, perch'era un nome di ribelle anch'esso, e lo portava un uomo ch'era giovine ancora, che aveva sempre insegnato a vivere combattendo, a cercare i pericoli delle più dure battaglie, generoso alfiere d'una insegna di libertà. — Ora scioglietevi, — egli disse, — Io sono il vostro parlamentare: davanti al Consiglio Accademico sono garante per voi. Chè se invece questo Ateneo, dove, nella più alta misura delle proprie forze, ciascun professore dedica giornalmente a voi giovani la sua più bella e più serena fatica, fosse per divenire un luogo sedizioso, dove si carpiscon laure con scioperi di studentaglia e con fracasso di vetri spezzati, io per il primo non vorrei più rimetter piede in queste aule, dove con tutto amore, con tutta fede, credevo di educar familiarmente una libera e franca gioventù, la quale sapesse fermamente che non bisogna mai, mai, trovarsi dieci contr'uno per avere in dieci quel coraggio che uno solo non ha. Io stesso, che non volli patire il giogo di nessuna obbedienza, debbo anche dirvi che la vera libertà consiste nel non essere il gregario di nessuna sopraffazione! Allora centinaia di braccia si protesero a lui, quasi cercassero di sollevarlo, mentre il suo nome squillava per l'aria, limpido e risvegliante come una diana. In un minuto di silenzio egli guardò la folla dominata, e si sentì padrone senza contrasto di quei giovani cuori pieni di forza e d'impeto; padrone di quei muscoli docili e forti, ch'egli poteva ben ghermire nel suo pugno, e temprarli e fletterli come buone lame da combattimento; poich'egli portava duramente inciso nella sua maschera d'uomo quel segno di alta potestà che fa brillare nell'ombra delle moltitudini la faccia dei ribelli e dei dominatori. E per un attimo riassaporò la gioia che gli era una volta piaciuta, quella di moltiplicare la sua potenza tirannica nella potenza passiva di migliaia d'uomini, poichè dalla natura egli era sorto con un cervello d'autocrate e la sua strada era segnata in capo delle turbe, ove s'innalzano gli stendardi, ove camminano i Re. TERZA PARTE I Senza mutamento ricominciò il suo vivere consueto. La Clinica, l'Università, i molteplici consulti, le pratiche di laboratorio, lo assorbivano da mattino a sera, ed anzi metteva nell'occuparsi una specie d'iracondia, quasi che un'oscura ma imperiosa inquietudine lo sospingesse a consumare con febbre tutte le ore della sua giornata. Il mattino, al primo destarsi, lo stringeva un attimo di perplessità, e, per una pigrizia del tutto morale, avrebbe voluto continuare quel sonno, quel vuoto e opaco sonno che gli pareva quasi una immensa camera buia. Ma, vinto con una tensione dei nervi quell'impreciso attimo di paura, ecco egli era novamente l'uomo limpido e ferreo, il qual cercava d'imprimere in ogni cosa che facesse un segno della propria volontà. Soltanto gli pareva ormai che tutto questo fosse divenuto una vecchia abitudine automatica e vana. Curare gli uomini, insegnare ad uomini, comandare sopra uomini, cercare indefessamente una verità, stabilire un principio, sentirsi alto, potente, solo, — tutto questo gli era piaciuto un giorno, gli era sembrato sommamente utile, sommamente necessario... Ma ora non ne vedeva più con precisione lo scopo; non era più così certo che questa fosse la sua strada, nè fosse in alcun modo una strada. Gli pareva che su l'immenso caos organizzato gravasse quasi una pausa oscillante, una lunga infinita vacuità, la qual pausa era stupore. Gli pareva di tornar da capo con tutto il suo cervello pensante alla ricerca delle ragioni d'ogni cosa. Questo piccolo fatto dell'aver ucciso, dell'aver ucciso egli stesso, con la sua propria mano, con la sua nitida volontà, gli scompigliava nel pensiero l'ordine immenso e la ragione intrinseca delle cose. Non era uomo da conoscere ciò che si chiama volgarmente il rimorso, poich'egli sapeva prima, e credeva di saper tuttora, che s'era impadronito, nell'uccidere, d'un suo virile diritto. Ma nel medesimo tempo sentiva che un fatto nuovo, un fatto di principio, era entrato con ciò nel suo mondo cerebrale, anzi dominava come un improvviso equivoco nella serrata logica del suo pensiero. Non rimorso era, e nemmeno era una pavidità oscura de' suoi sensi davanti all'ombra di colui che giaceva. Non dunque una stolta paura della sua coscienza, e meno ancora della vendetta umana, ch'egli sentiva di poter vincere quand'anche s'apparecchiasse; — ma era invece un fatto quasi organico, un fenomeno della sua stessa materia, la quale sapeva di aver data la morte. Questa parola «morte», che fino allora, pur vivendole in mezzo, pur combattendola giorno per giorno, eragli parsa lieve, ora, inattesamente, si vestiva d'un significato nuovo; non pauroso, non orrido, ma stupefacente: — un significato che assaliva tutte le cose dell'universo, non potendo ad altro somigliare che ad una specie di divinità. Aveva da poco finito il pranzo, il suo pranzo veloce, che Giovanni gli imbandiva e gli sparecchiava ubbidendo a' suoi cenni. Era stanco d'una giornata intensa; più che stanchezza, era un senso d'affaticante inerzia che gli pesava nelle vene, mentre per l'aria ferma cominciavano a fluttuare come invisibili sciarpe le calure della vicina estate. — Giovanni, — diss'egli allora, — pòrtami, ti prego, un giornale. Sorse di tavola, entrò in una sala che non era illuminata se non dal riverbero della sera inazzurrata. Un lembo di cielo, con rosse nuvole, chiudeva come uno scenario il quadrato calmo della finestra, e si udiva salir dalla strada lo scalpiccìo della folla sui marciapiedi; si udivan ruote correre, battere ferri di cavalli, freni soffiando stridere, motori, con ánsiti e scoppi, lanciare per l'aria sonora un tremito ronzante, una burrasca di velocità. Lentamente s'affacciò al davanzale, guardando in giù, verso lo sbocco della contrada e verso il quadrangolo della piazza colonnata, che allargava la sua chiara vastità intorno ad una piccola fontana. Allora subitamente si rammentò con maraviglia d'una cosa futile... d'una sera, dell'anno antecedente, o forse d'un tempo ancor più lontano, quand'egli appunto se ne stava così, fermo, a contemplare dalla finestra la bella piazza illuminata, allorchè gli avvenne di riconoscere un uomo che per il mezzo la traversava; un uomo alto, magro, leggermente curvo, che veniva incontro alla sua casa, e camminando guardava se ci fosse ancor lume nelle sue finestre, lassú... Gli parve che il senso della moltitudine, del frastuono, il senso attuale di quella piazza, consistesse appunto nell'uomo che certa sera la traversava, nè ora la traverserebbe mai più, nei giorni tumultuosi ch'eran per nascere su l'infinita vita... Rimase un momento con gli Tag: fatto uomo tutto nome aria strada sera uomini attimo Argomenti: medesimo tempo, rettore magnifico, consiglio accademico, glorioso tempo, consiglio universitario Altri libri consultabili online del sito affini al contenuto della pagina: Diario del primo amore di Giacomo Leopardi Il servitore di due padroni di Carlo Goldoni Le sottilissime astuzie di Bertoldo di Giulio Cesare Croce Corbaccio di Giovanni Boccaccio Decameron di Giovanni Boccaccio Articoli del sito affini al contenuto della pagina: Adottare criceti e roditori domestici Caratteristiche del mixed wrestling Come seccare i petali di rosa L'exotic Shorthair: gatto molto tranquillo e allegro Come fare il profumo in casa
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