La vita comincia domani di Guido da Verona pagina 79

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della terra «A»: la pietra balenante si purificava nel fuoco settemplice dell'arcobaleno. Da quando Giorgio era morto, ella non aveva pregato mai più; teneva ora le mani congiunte, ma il cuore non le suggeriva alcuna parola, ed anzi le pareva ormai che fosser morti anche il senso e l'ideale della preghiera. D'un tratto egli afferrò le sue mani, ch'erano intrecciate, le strinse con una dura forza, e la condusse via. Oh, come cantavano le nidiate in quel mattino di primavera!... Quanto sole, quanto sole a perdita d'occhio, su la magnificenza della vita!... Varcaron il cancello, e, fermi su la proda, guardaron abbacinati nel chiarore della strada maestra. Venivano in su due carri, al passo, levando poca polvere; i carrettieri distesi sulla paglia, cantavano a voce spiegata. Senz'abbandonare la sua mano, egli la trascinò lontano dalla strada, rasente il muro del camposanto, per il viottolo che s'inoltrava nella campagna; ed ella, sentendosi più lieve, si appese felicemente al suo braccio. — Dimmi, — egli domandò convulso: — vuoi ancora essere mia?... Ella non comprese la sua domanda, oppure non volle interamente comprenderla; ma gli si annodò contro la spalla, con un movimento femineo, rovesciando il capo all'indietro per fargli vedere che la sua bocca rideva. — Dimmi, — egli ripetè con forza: — vuoi ancora non abbandonarmi, non odiarmi anche tu?... S'eran fermati nel folto; invece di rispondere gli tendeva la bocca rossa, gli occhi innamorati, la sua turgida gola bianca di cipria, stringendolo così forte nelle sue braccia ch'egli doveva da ogni fibra udirsi rispondere: — Sì! — Allora ódimi — egli disse, pallido in verità come la morte: — bisogna che tu sappia una cosa, perchè non posso più conoscerla io solo. — Raccóntami... — ella rispose, impaurita, lasciando cadere le braccia che a lui si reggevano. Con uno sguardo mortalmente vuoto egli fissò l'amante, la campagna, il mondo... fu sul punto d'incominciare; poi tacque. — Raccóntami... — ella cercava di persuaderlo, carezzandogli la faccia pallida con le sue falangi odorose di fiori. — No, — egli rispose, — non qui. È meglio che non sia qui. C'è troppo sole... XII «Fai la ninna, fai la nanna, fantolino della mamma... . . . . . della mamma...» A poco a poco, nell'alta camera dell'infante, anche la nutrice s'addormentò. Egli rimase ancora per qualche attimo, solo, nel buio. Per le connessure dell'uscio filtrava luce dalla camera di Novella. Voleva sentirsi pronto, come nelle ore di battaglia, davanti a questa ch'era l'ultima e la più inattesa fra tutte. Ma invece la volontà non gli bastava per chiudersi ancora una volta in quell'armatura inflessibile che lo rendeva così padrone di sè. Aveva lottato per uccidere — e di questo era stato capace; aveva lottato per nascondere il suo delitto — e di questo era stato capace; aveva lottato prima di distruggere la sua magnifica vita in un fiero esilio — e di questo era stato capace... ma quello che non poteva comandarsi più, era lo sforzo di suggellare nel perpetuo silenzio il grido che gli prorompeva dall'anima. Bisognava dividere questo peso almeno con un'altra creatura, bisognava consumare il delitto fino all'ultimo, facendo sì che investisse lei pure. Quella tentazione crudele che aveva sentita poche ore dopo l'uccisione, lungi dallo spegnersi, era cresciuta continuamente, in ogni giorno di quel tempestoso anno, ed or gli pareva che ogni ulteriore indugio non fosse che una più lunga viltà. Quante volte la parola rivelatrice gli era venuta su l'orlo della bocca!... e sempre, sempre, nei baci più deliranti, quel desiderio s'infiltrava in lui come la tentazione di una più forte voluttà. Qualche volta era perfino giunto al godimento perverso di trascinare l'amante con parole ambigue su l'orlo del sospetto, come su l'orlo d'un abisso, dove il peso dell'ultima complicità li avrebbe fatti cadere, avvinghiati per sempre. Cercava con tal mezzo d'investigare quale sarebbe stato l'animo suo davanti alla rivelazione. Ma ella non mostrava che un'infinita smemoratezza e il desiderio di non rivolgersi mai verso quell'ora lontana. Anche durante i giorni dell'accusa, ella di ciò non gli aveva parlato, se non quel tanto che fosse indispensabile: ne aveva parlato con fretta, sbadatamente, senza guardarlo negli occhi, attenuando con un sorriso femminile ogni parola inavvertita che paresse nascondere un suo pensiero profondo. Egli aveva talvolta immaginato che, nella sua fragilità, ella fosse tuttavia la più forte. Infatti avviene talora che l'anima femminile ci sembri assai lieve in paragone della nostra e non obbediente a quell'ordine logico dal quale si muove il nostro pensare; ma forse quell'anima è solo diversa dalla nostra, e noi spesso non riusciamo ad intravvederne il fondo. Egli era dunque rimasto, fra le rovine d'ogni altra certezza, davanti al suo grande amore; i culti positivi, che aveva liberalmente professati nella vita, erano insorti con ribellione davanti a quel primo atto di vera libertà; rimaneva una sola cosa che non era distrutta nel mondo: l'amore. Ma quando le avesse detto chiaramente: — «Guárdami negli occhi: sono io che l'uccisi!» — qual mutamento avverrebbe in loro e nella passione che li univa? L'amerebbe ancora? Sarebbe amato ancora da lei? Due mortali domande che gli pesavano, da quella tragica notte, sul cuore. Adesso, nella casa dormente, il silenzio era profondo come la fuga d'un fiume sotterraneo. Egli si provò ripetutamente a sospingere l'uscio che lo divideva dalla camera di Novella, ma sentì che ogni volta il coraggio gli veniva meno. Ed allora, come già un'altra volta, quando il pagliaccio rimase inerte nella poltrona di cuoio, e bisognò sollevarlo, diede a sè stesso il comando che lo irrigidiva: — Ubbidisci! Piegandosi alla propria volontà come al potere d'una forza non sua, comprese di non aver più scampo, e si avvicinò a quella soglia. Filtravano per le connessure spiragli di luce; a tastoni cercò la maniglia, sospinse l'uscio, ed entrò. Ella era seduta sull'orlo del letto, in vestaglia, coi tacchi delle sue pianelle aggrappati al cassone di mogano, i gomiti sulle ginocchia, i polsi congiunti, la faccia raccolta nella cavità dei palmi — e lo aspettava. — Non hai udito, — ella disse, — come piangeva poco fa il bimbo? — Ma ora s'è addormentato, — egli rispose. Poi, dopo un silenzio, le domandò: — Gli vuoi bene? La madre aperse le braccia, si abbandonò all'indietro, sui cuscini, e rispose: — Ora sì, ora per la prima volta lo amo. Egli aveva la sua ruga profonda incisa fra i sopraccigli; era smagrito in viso, e nel guardarlo pareva ch'ella se ne dolesse. Allungò il braccio per chiamarlo a sè, indi soggiunse: — Tanto bene gli voglio, Andrea... ma non come a te! Il braccio nudo si dorava nel chiarore della lampada, il polso dolce si muoveva con una specie di naturale insidia, facendo trasalire i tendini. — Sièditi, — ella disse, battendo la mano su la coltre; — sièditi qui sul letto... Pàrlami, bàciami... ti amo. Come quando il loro bimbo era nato, sul tavolino da notte v'erano tre rose, in un bicchiere. Andrea si chinò su lei, cercando con le mani fredde il suo tepore più vivo e più nascosto. Così la teneva, da sentirne contro la persona tutto il corpo discinto; così la teneva, da immergere la bocca ne' suoi caldi e pesanti seni; così da stordirsi nel profumo del suo respiro. Ella scivolò sotto di lui, si volse, come per adagiarsi nel letto supina, e le venne al sommo della gola quel gonfiore contenuto che in lei pareva quasi uno sforzo per resistere alla voluttà. Ma era uno sforzo debole, tantochè subitamente gli occhi le smorivan di un sonno palpitante; un poco di gengiva umida le appariva tra i labbri fermi. — Dormiamo... — ella disse. Andrea non rispose; la guardava, teso, attento, come per contare i battiti d'ogni sua vena. — Perchè non ti

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Argomenti: braccio nudo,    fuoco settemplice,    fiero esilio,    perpetuo silenzio,    tentazione crudele

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