La vita comincia domani di Guido da Verona pagina 19

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ne aveva; e l'essersi tolto senza necessità quella sua specie di casacca o di giubbone, era il più grande segno di rispetto ch'egli potesse dare ad un uomo. — Se vuole, — disse Andrea Ferento, quasi a termine del suo parlare, — se vuole, dottore, lo esamini. Era un invito, sì, ma detto nel modo con cui si propone ad alcuno di fare una cosa del tutto inutile. Il Paolieri s'appressò al letto; prese macchinalmente il polso del malato, gli toccò la fronte, gli rovesciò un labbro per guardargli le gengive. E questo fece due volte. Poi gli scoverse il petto ed ascoltò il cuore; gli mise una mano sul fianco per esaminare il fegato e gli premette l'intestino. Nel fare quel che faceva da anni, tante volte al giorno, come nel compiere le pratiche d'un mestiere assiduo, dimenticava perfino la sua soggezione e la presenza stessa di quel gran medico. Faceva tutto ciò con coscienza, assumendo nella sua faccia ruvida un non so che di grave, quasi d'intelligente. Poi lo ricoverse con delicatezza: ancora una volta gli guardò le gengive, le membrane interne degli occhi, a lungo, e di tutto quell'esame non fece che dire: — Già... già... — Le pare? — disse Andrea, attentissimo. — Già... come lei diceva, Professore... non si tratta che di un grande prostramento... l'iniezione gioverà. — Sì, facciamola. Fu allora che il malato aperse gli occhi e stupitamente li guardò. Due, tre volte li aperse, non potendoli tener fermi; e li guardava l'un dopo l'altro, attonito, cercando. Mosse le labbra, forse per dire un nome... Quale nome? Certo quello solo che amava, quello inestinguibile, che per lui non moriva nella morte: Novella... Appunto era venuta su la soglia ed aspettava, tutta bianca. VII Il malato si levò ancora dal letto e parve per alcun tempo godere di un benessere nuovo. Siccome i giorni si facevan caldi, sua moglie lo accompagnava durante il pomeriggio sotto un pergolato a riparo dal vento, e là sedevano, rimanendo per lunghe ore insieme. Ogni tanto li venivan a trovare o Maria Dora o gli altri della casa, e la giornata passava quasi rapida, nonostante l'inerzia di quella calda primavera. Talvolta capitava su Maurizio, a parlar della sua caccia o dei campicelli di suo padre, che li aveva laggiù, verso valle, con una piccola cascina. Ed erano allora lunghi discorsi, che il malato ascoltava con un sorriso benevolo, mettendovi qualche parola ogni tanto, sempre con dolcezza. Il Ferento andava, tornava, dalla città in villa, sin tre o quattro volte per settimana. Il malato gli diceva continuamente, con un sorriso calmo: — Perchè mi curi? Tanto è inutile... Ma si sentiva più felice quand'egli era lontano, quando poteva restar solo con lei, senza che nessun estraneo interrompesse con la sua presenza quella specie d'intimità nuova ch'era nata fra loro. Dopo la crisi terribile, pareva che il male volesse dargli una tregua, una di quelle tregue ingannevoli che talvolta precorrono l'agonia. Egli rimaneva lungamente a guardarla, con un sorriso pallido su le labbra, gli occhi un po' velati, come se non fosse mai sazio del suo bel viso e volesse portar seco nella morte la più compiuta immagine di lei. L'anima sua traboccava di dolcezza, e, quasi per comunicarle questo senso d'amore, ogni tanto allungava la mano a carezzar la sua mano; le diceva una timida parola d'affetto, con l'esitazione d'un innamorato che parlasse per la prima volta. Ella era triste, accasciata, stanca; tutti i sintomi della maternità travagliavano il suo corpo; la opprimeva una disperazione taciturna davanti a quel pericolo che ogni giorno si faceva più prossimo. Che sarebbe stato di lei, di loro, se non avesse potuto più nascondere, prima della sua morte, quella vita inconfessabile? La sua morte? Ma chi le aveva mai detto ch'egli dovesse morire? Infatti, per una specie di graduale suggestione, s'era già quasi avvezza a questo pensiero come all'attesa d'un fatto inevitabile, d'un'ora imminente, e per vari giorni, senza volerlo, senza ben sapere cos'attendesse, era vissuta nell'aspettativa da un attimo all'altro di quel grido che la chiamerebbe lassù, nella camera semibuia, presso il letto dov'egli rimarrebbe disteso... Il giorno anzi dell'ultima crisi, udendo il suo rantolo, aveva creduto, senza volerlo, provandone anzi un orrore immenso, che il momento inevitabile fosse venuto, e rimanendo come in croce, là, nel corridoio, attendeva che alcuno, forse Andrea, nell'uscire da quella camera le dicesse con uno sguardo: — Sai... Ma ora lo vedeva sorridere, camminare, parlare... lo spettro funerario s'era di sùbito arretrato, e mentre in addietro quell'avvenimento le pareva lì lì per succedere, ora non lo immaginava neanche più; non aspettava più quel grido. E nell'esame interiore che ognuno suol compiere di sè medesimo, s'accorgeva con terrore di averlo desiderato. La sua morte? Ma chi le aveva mai detto che dovesse morire? «Forse fra poco, forse fra qualche anno...» Vagamente le pareva di aver intese una volta queste parole su la bocca di Andrea. E allora qual'altra possibilità rimaneva per lei — e non per lei sola — davanti a questo nodo inestricabile che nulla poteva troncare? Qual dramma scoppierebbe nella casa il giorno in cui la sua maternità divenisse manifesta? Non era forse uccidere, ma d'una morte più barbara, quell'uomo dolce che l'amava? Ed il suo padre che farebbe? e la sua mamma, e la sua fresca sorella che direbbero di lei? Ecco: la casa, il nome sottomesso allo scorno della gente. Una creatura nata nella tragedia, senza padre, senza diritto a vivere... E Andrea? e il loro amore?... In quelle ore d'ozio, stando seduta presso il marito che non moveva gli occhi da lei, senza tregua ella si rivolgeva nella mente queste domande affannose, lasciandosi cullare da un'inerzia totale delle membra e dello spirito, come una povera creatura che, perduta ogni speranza di salvezza, si lasci travolgere senz'alcuna resistenza verso l'urto che la dissolverà. E tuttavia, nascosto nell'anima, impreciso, indefinibile, aveva quasi un filo di speranza... di speranza in quell'uomo così risoluto e così certo, che le pareva capace di soverchiare tutte le impossibilità; in quell'uomo che le aveva detto una notte, una notte d'amore: — Così ti amo, e più forte. Non dimenticare queste due parole: «Più forte». Ella non ne aveva compreso il senso, non aveva nemmeno cercato di comprenderne il senso; ma era come una sensazione di forza che aleggiasse intorno a lei, una potenza incontrastabile che avesse radici profonde in quel suo petto virile. Non si parlavano più che a rari intervalli, di sfuggita. Egli era più che mai taciturno; quando non doveva tornare in città, passava le giornate chiuso nella sua camera, trasformata in una specie di laboratorio, fra i libri di scienza e le ampolle delle sue misteriose medicine. Soltanto a lunghe distanze di giorni, talvolta, nel cuore della notte, quando la casa era tutta spenta, ella scivolava giù dal letto per andare a lui, per temprare in quell'animo forte il suo stanco dolore. Tutto gli raccontava, tranne, per un pudore involontario, le parole di quel pomeriggio, quand'ella era seduta presso il cembalo ed una striscia di sole feriva obliquamente la stanza, piena di polvere viva. Ma nelle sue reticenze tuttavia si era tradita più di una volta. Finchè, un giorno, egli non fece che prendere le sue mani, poi, senza farle violenza, ma con quella voce che aveva ogni potere su lei e che pareva rimproverarle il silenzio come un disamore, le domandò: — Perchè mi nascondi qualcosa? perchè non mi dici tutto quello che sai? Ella non tacque oltre. A faccia china, gli ridisse tutte le parole, una per una, tutte. Egli notò solo che l'infermo l'amava tuttora d'una passione d'amante, e che dal suo dolore traspariva una orrenda gelosia. — Dimmi, ed hai sentito che ti amava? che ti desiderava... proprio così? Dimmi! Elle ebbe, nel ricordo, una specie d'ira. — Perchè vuoi che

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Argomenti: bel viso,    sorriso pallido,    grande segno,    momento inevitabile,    spettro funerario

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