La vita comincia domani di Guido da Verona pagina 7

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secreto nè diffidenza fra loro, tanto eran certi e fermi nel voler compiere insieme, fra qualsiasi evento, l'intero cammino della vita. Sì, forse il malato sognava... Sognava di lei, quando la vide per la prima volta e la guardò per la prima volta con un pensiero d'amore, così bella che gli parve una cosa inaspettata, nuova nel mondo, benchè sembrasse allora un po' malata, e non d'altro forse che della sua faticosa verginità. Si ricordava d'aver comprato per lei forse il primo, l'unico mazzo di fiori ch'egli mai desse ad una donna, e ricordava la prima volta che ardì stringerle una mano, con paura profondamente soave, per dirle infatti ch'era bella, bella, bella, e che l'amava con un cuore ignoto, con un'anima nuova, nata in quel momento... Si ricordava quella voce di lei, così grave, così lenta, quando chinò la faccia e gli rispose: — Sì, Giorgio, vi sposerei volentieri, se lo voleste... Allora gli si aperse negli occhi un infinito paradiso, e queste parole gli parvero piene d'un immenso amore, perch'egli fino a quel tempo non era stato amato mai. L'aveva poi svestita, una notte, religiosamente, quando ancora fra i suoi capelli sciolti fluttuava l'odor nuziale della corona d'arancio; e nel vederla sua, per sè, per sempre, si sentì naufragare in una gioia troppo grande, che gli soverchiava l'anima, onde gli parve che ogni cosa di quel momento si disperdesse fuori dalla vita, in un colore d'impossibilità. Erano stati felici insieme — o così gli parve — qualche anno, poi... Poi, già nello svestirla quella prima notte, si era sentito ruggire dentro un male sordo, crescente... E infine accadde che una volta fu sorpreso di attonita maraviglia nell'ascoltare la voce di sua moglie che parlava con Andrea... Era un sogno, poteva non essere che un sogno... e l'usignolo, nell'azzurra notte, spietatamente cantava. . . . . . . . Ella s'avvinghiò al suo collo, seminuda, sobbalzando sul letto, e mormorava con voce soffocata: — Ascolta... Tesero l'orecchio, ambedue mortalmente paurosi, verso la parete, verso l'uscio, verso la camera lontana. — No, t'inganni, — egli disse. — Non sento alcun rumore. — Sst... taci! Ascoltava, protesa innanzi nello splendore del raggio lunare, che vestiva d'innocenza la sua lussuriosa nudità; teneva un braccio intorno al collo dell'amante, l'altro puntato su la sponda del letto, con le dita aggrappate nella coltre come bellissimi artigli, tra l'ansia del pericolo, atterrita ma pronta. Il respiro contenuto le gonfiava la gola, palpitante ancora di voluttà; i capelli semisciolti le ingombravano il collo bianchissimo; tra i pizzi della camicia un seno erto le sbocciava come una splendida melagrana. Ma non udiron altro che l'usignuolo infatuato lanciare i suoi fischi melodici nell'odorosa notte, sopra una orchestra lieve che l'accompagnava in sordina, con brividi appena di foglie nei respiri del vento. Racquetata, ella si compresse il cuore con una mano e s'allentò nelle sue braccia. — Se mi chiamasse di nuovo, come la notte scorsa? — mormorò. — Sì, hai ragione. Làsciami. — Ancora un momento... Guarda quante stelle! Ubbriacato, egli le passava le dita fra i capelli, posava la bocca su la sua pura fronte. — Dimmi... — ella fece; — una cosa orribile che finora non ti ho mai domandata... Andrea, tu che sei medico... Per osare una tale domanda ella nascose la faccia contro di lui, affinchè non la vedesse. — Tu che sei medico, dimmi: È grave?... è molto grave il suo male? Egli rispose bruscamente, con una scossa che lo percorse da capo a piedi: — Non so! non so! Ed ella, con un filo di voce appena percettibile: — Può guarire?... — Ah... taci! Ma la strinse così forte a sè, che tuttavia non si sentì odiata. Allora ella cominciò a parlare sommessamente, con una voce cauta, pressochè insidiosa, mettendo lunghe pause fra parola e parola. — Vedi, questa notte, quando ti ho chiamato, ed eravamo curvi, tu da un lato, io dall'altro del suo letto, soli, nel chiarore di quel lume così funereo, io, come in un lampo, involontariamente, ho pensato: Se... se domani... — Se non ci fosse più! — egli disse con una voce tetra. Ed ella non li vide, ma gli occhi di lui splendettero d'una luce quasi micidiale. — Anch'io, — diss'egli lentamente, con uno sguardo atono, — anch'io ho pensato questo. Era quasi un incubo, ed avevo la visione precisa del cadavere, come se dalle sue membra immobili soffiasse già quel freddo che mandano i morti. Rabbrividita, ella si agitò nel letto e si ristrinse contro il tepore dell'amante. Ma egli, senza un tremito, e quasi provando una gioia malvagia nel torturare sè e lei con queste parole, ricominciò: — Era veramente un incubo, e chinandomi sopra il suo cuore fioco, io, medico, io suo amico, sentivo solo dall'altro lato del letto il profumo che veniva dalla tua persona bella e viva, l'odore di te che mi sopraffaceva, quell'odore de' tuoi capelli un po' disfatti, che portavano ancora il segno del guanciale... e l'orrore di sentirmi così colpevole davanti a quella specie d'agonia, accresceva smisuratamente il desiderio, il desiderio fisico, intendi? che avevo di te. Ora fu ella, smarritamente, che supplicò: — Taci!... Ma egli s'inebbriava della sua propria nefandità, si esaltava della sua propria tortura. — Lo sai che ho dato finora tutte le mie forze umane alla difesa della vita? Lo sai che sono un medico? un salvatore? Lo sai che ho fatto rinascere centinaia di uomini, e tanto amore mettevo in quest'opera, che per salvare la più inutile vita serenamente avrei data la mia?... M'intendi? Ebbene, ora per la prima volta concepisco la possibilità astratta di rinnegare la mia missione; e questa morte, questa ingorda morte, che ho combattuto accerrimamente, con il cervello e con le braccia, nelle corsìe degli ospedali, fra i crogiuoli de' miei laboratori, questa morte che fu la mia nemica dappertutto, che odiai fino all'eroismo, la vedo per la prima volta come un'alleata, quasi come una benefattrice... e mentre le mie mani avvezze lottano ancora contro di lei, macchinalmente, su questo corpo che ci divide, il mio cuore, il mio spirito, il mio nascosto essere che vuole te, la chiama, la chiama, e le dice con un'oscura voglia di tradimento: — Sì, che tu sii la più forte... e ch'io non ti sappia vincere mai più! Ella gli pose una mano su la bocca, una sua mano fredda, che aveva il profumo della colpa, e quella buia fossa che andavano scavando al morituro, ancora una volta colmarono di voluttà. III — Un'imprudenza? Ebbene, sì, mi è piaciuto commettere un'imprudenza! — disse Giorgio a Novella ed al Ferento. — Se sapeste con quale delizia un malato, come un bimbo, cerca di fare le cose proibite! Povero me!... non poter muovere un passo, non poter respirare senz'essere ascoltati!... Dio buono, diventa una vera persecuzione! — Sei oggi d'umore a veder tutto in nero, — gli disse Andrea. — Senza volerlo noi finiamo con irritarti. — Fors'anche sono ingiusto, — egli convenne con un sorriso amaro. — Ma dovete avere un poco di pazienza... ancora un poco! Vedi: mi reggo a stento: il fianco mi duole per le punture che mi fai... È doloroso quel tuo siero! Quante ne occorrono ancora? — Circa una decina, — rispose Andrea, rapidamente. — Oh, se poteste lasciarmi un poco di pace! Voi non sapete cosa valga la pace. No!... via questi scialli! — disse a Novella, che intanto lo ricopriva; — basta, basta con tutte le cure inutili, con le inutili medicine! Vedete: io non sono un timido; la morte, se ha da venire, non mi spaventa affatto; ma quello che m'annoia è d'essere trattato già come un moribondo. — Sei di cattivo umore, ti ripeto! — esclamò Andrea con una voce scherzosa. — L'ho già detto a Novella ed agli altri: voi, con l'eccesso delle vostre premure, non fate che esasperarlo; curatevi meno di lui. — Ecco: non datevi di me alcuna pena, e vi prego, vi prego,

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Argomenti: tanto amore,    gioia troppo,    seno erto,    orchestra lieve,    inutile vita

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