La vita comincia domani di Guido da Verona pagina 71

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cloache del mondo. La sua concezione della vita escludeva nel modo più scientifico tutto quanto è miracolo, tutto quanto è rivelazione; escludeva il Dio perpetuo ed immemorabile, che può non nascere nè morir con l'uomo. Un giorno, in mezzo a tanto volo, gli era accaduto quello che accade all'essere più comune: — s'era innamorato, innamorato fino ad uccidere, — e non più d'un pensiero astratto, ma d'una creatura fugace, lieve, bella, transitoria, d'una forma femminile che s'impadroniva del suo mondo, che pareva radunare in sè le ragioni estreme della vita. Il primo giorno che amò, la parola «uomo» gli parve d'improvviso assumere un significato diverso; non peggiore, non migliore: diverso. Gli parve che i confini della vita divenissero più angusti, ma più definitivi, e si accorse di aver esclusi da ogni ammissibilità molti principî dei quali non aveva dimostrata in alcun modo la inconsistenza. L'immenso edificio spirituale, costrutto sul fragile telaio delle sue verità positive, cigolava minacciando rovina per il semplice fatto d'una uccisione e d'un amore. L'ultimo volo del suo pensiero temerario si abbatteva esausto contro una parete insuperabile. Un dubbio interamente soggettivo entrava così nel suo mondo spirituale, poichè infatti, nell'ebbrezza della passione, il piccolo fenomeno della sua propria vita ed il fenomeno parimenti fugace della creatura che amava gli parvero d'un tratto essere divenuti la cosa più vasta, più significante, nell'universo mondo. Non era più così necessario che la materia opaca rivelasse all'indagatore il suo segreto essenziale, poichè la materia possedeva in sè un mezzo per divinizzarsi, per soverchiare con una specie di lirismo i suoi stessi confini, risvegliando nell'uomo che passa tra i fugaci miracoli della terra un senso ulteriore del mondo, il senso della universale divinità, «ciò che veramente è l'anima delle cose, il Dio non creato dagli uomini...» Poteva darsi perciò che il suo delitto medesimo, il suo cánone anarchico, sostenuto con tanta dialettica sottile, non fosse in fondo che un atto barbaro dell'amore, non fosse in lui che un ritorno immemorabile dell'uomo alle sue rapine primitive. Era una mente serena: doveva pur contemplare, senza impaurirsene, anche questa possibilità. E lo fece. Cominciò a ricercare nelle origini, laggiù, dov'era nato l'amore, laggiù, dove per la prima volta, con una tristezza paurosa e crudele, aveva in sogno posseduta la moglie del suo fratello infermo, accorgendosi nel medesimo tempo ch'ella era già ne' suoi sensi, quando ancora con l'animo ne rifuggiva, e l'amicizia era già morta, e la donna era già sua, e la vita subitamente lo assaliva da tutte le parti con un furore incontrastábile... Sì, v'erano parole grandi e sante che il respiro d'una bocca poteva disperdere. Ciò che aveva una meta erano i sensi; erano i sensi cupi, necessari, violenti, che inveivano in lui quasi con un urlo, ed era, oltre i sensi, qualcosa d'indomito che si levava dalle oscure profondità del suo essere per avventarlo con ira, ma pieno insieme d'una convulsa felicità, verso la dedizione di sè stesso nell'amore per un'altra creatura, verso la continuazione di sè stesso nelle vene d'un'altra creatura, nella rigogliosa giovinezza d'un figlio che la perpetui verso il domani, — ciò che rappresenta nel mondo la vera ed unica immortalità dell'uomo. Ecco: ed egli dubitò di aver ucciso per amare la sua donna, per far nascere il suo figlio. Tutto questo che altri compendiano con ubbidienza e con pace intorno ad un intimo focolare, a lui veniva traverso il dramma, dopo ch'era salito in cima alla montagna del mondo, e aveva gridato nel vuoto la sua parola magnifica: — «No!» IX Frattanto, nella casa di Giorgio Fiesco, Novella aveva messo al mondo il figlio di Andrea. Era nato serenamente, verso l'ora dello stellare, in una calma e religiosa camera, dov'entravano a larghe ondate i profumi sfiorenti e grevi del voluttuoso autunno. Ella fu addormentata, perchè non soffrisse, e lo diede al mondo con pace, come se lo avesse portato, non già nel grembo doloroso, ma su le braccia forti. Si svegliò e sorrise, cercando con gli occhi l'amante che dall'ombra la guardava. Piano sollevò dal lenzuolo il braccio seminudo, per chiamarlo, poi volse il capo sovra una guancia e richiuse gli occhi. Davanti a lei, ne' quadrati azzurri delle due finestre, il cielo notturno accendeva migliaia di stelle; non veniva dal quartiere sottostante alcun rumore pur fievole. Questa creatura battezzata con tanta morte aveva cominciato a respirare nel mondo in un'ora di pace. L'aveva raccolta su le fedeli sue braccia la bianca madre di Novella, che non si dimenticava d'aver cullato i suoi tre figli, ad uno ad uno, e che sentiva ella pure qualcosa della sua morta gioventù rivivere in quel vagito indistinto, ch'era già una voce umana. Come poteva ella, ch'era vecchia e stanca, non sorridere a questo verde fiore? Sì, le ombre, le ombre!... Ma per lei, ch'era un'arida esausta madre, la sola cosa che fosse ancor bella nel mondo era il palpito nuovo di quella vena che proveniva da lei. Sebbene fosse stata una casta consorte, s'accorgeva che il peccato della donna contro la fede nuziale si riduce ad essere una ben ridevole cosa davanti alla santità della creatura che nasce; onde le sue braccia senili palpitavan di gioia recando verso la cuna quell'ineffabile peso. La sua figlia peccatrice aveva portato nel grembo un cuore nuovo, e per lei questo l'assolveva da ogni peccato, versava sopra la sua lussuria d'amante la sacra e dolorosa purezza della maternità. Anch'ella inconsciamente scordava l'ombra del morto, per difendere, per amare quelli che facevano continuare la implacabile vita. E Maria Dora, quella medesima biondinetta che aveva guardato in silenzio il feretro risalire dalla profonda fossa, or si chinava sorridente, con una curiosità quasi materna, su la piccola cuna gonfia di pizzi e di cuscini soffici, ove una specie di gomitolo vivo tentava d'aprire le fessure degli occhi, le labbruzze umide, per guardare, per respirare nel mondo. Lo scemo era nella stanza vicina, al buio; stava presso la finestra in attesa di veder piovere le stelle filanti e sghignazzava, con la sua risata stridula, quasi beffarda, ogniqualvolta gli riuscisse d'acchiapparne una. In quel mentre poetava come al solito. «Le stelle filanti filanti son fili di paglia che bruciano. Per prenderle mi metto i guanti... sicuro... ne ho prese già tre!» Il Ferento rimaneva muto ed assorto nella camera di Novella. Guardava il letto ricomposto, le sembianze di lei riassopita, pallida in volto, con qualche ciocca di capelli rappresa intorno alla fronte. Aveva un braccio nudo fuori dal lenzuolo, ed al polso un braccialetto, che nonostante il lutto, ella non lasciava mai. Quel cerchio d'oro luccicava nitidamente in mezzo alla penombra, quasi fosse il centro luminoso della camera e d'una spirale di sciarpe nere che s'avvolgessero intorno alla donna supina. Il suo braccio prendeva un color dorato; la mano era tranquilla, singolarmente pura, quasi diafana. Il respiro dell'addormentata sollevava leggermente il lenzuolo; un bel copripiedi di pizzo, a punto d'Irlanda, con un nastro di raso azzurro, largo un palmo, ch'entrava ed usciva dai fori della merlettatura, facendo agli angoli quattro vaste gale, confondeva la lunghezza del suo corpo in un leggero sollevamento. I suoi capelli dormivano accanto a lei, raccolti a fascio dietro la nuca scintillante; le sue narici, volte verso il lume, parevan tinte di roseo, mentre la bocca era del tutto scolorata. Una calma lampada, nascosta sotto il paralume, fasciata con un velo, addormentava la stanza nel suo morbido chiarore; di lontano batteva una pendola; sul tavolino da notte c'erano tre rose, in un bicchiere. Come l'amava! come l'amava!... che struggimento, che intollerabile tristezza, che voglia malata di piangere... che affettuoso dolore! Adesso avevan un

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Argomenti: medesimo tempo,    cielo notturno,    braccio nudo,    dio perpetuo,    forma femminile

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