La vita comincia domani di Guido da Verona pagina 6

Testo di pubblico dominio

vi fosse qualcosa di funereo in quella veglia che facevano davanti alle stelle. — Che hai? — diss'ella. Il respiro della sua bocca, poichè aveva il sapore medesimo della sua carne, parvegli che fosse un bacio. Sotto quel bacio egli s'irrigidì, chiuse gli occhi, volendone quasi godere una tentazione più prolungata. Ella nervosamente gli posò le mani su le spalle: — Che hai? Perchè mi sfuggi? Allora, d'improvviso, l'attrasse nelle sue braccia, se la strinse al cuore con una specie d'amor convulso, affondando la bocca nel tepore del suo collo, nel principio della sua nudità. Ella era piena d'istinti lascivi, come nella più matura estate un favo è gonfio di miele. Tanto pallore le scorreva nel viso, che di quel solo bacio pareva godesse un estremo piacere. — Perchè mi sfuggi? — domandò ancora, ma contro la sua bocca. — Durante il giorno, appena mi guardi; quando arrivi, quando parti, cerchi sempre di non parlare con me. Egli non rispose; ma sostenendo sul braccio il peso della sua nuca rovesciata, le carezzava gli occhi dalle ciglia quasi d'oro, a lungo e piano, come si fa talvolta per addormentare un bimbo. — Non mi ami più?... — ella disse, mentre invece sentiva la passione dell'amante invaderle ogni vena come una immateriale carezza. — Sì!... sì!... — egli proruppe; — ma sono un vilissimo uomo, Novella, e fra noi ci sono troppe ombre. Allora ella si strinse nelle braccia dell'amante come in forte rifugio. — E adesso, dorme? — domandò Andrea. — Sì, dorme. — Ne sei certa? — Sì. — Ti ha parlato di... noi? — Non ancora, ma ogni momento pare che sia per farlo. Tre stelle filanti, lontane, veloci, caddero insieme. La notte si accendeva di chiarori fantastici, di vampe fatue, per ogni dove, come un rogo. Egli, tenendola nelle sue braccia, le fissava la fronte illuminata, quasi fissasse un punto magnetico, seguendo le bufere de' suoi propri fantasmi. E vedeva su quella fronte le radici dei capelli scintillare minutamente, quasi fossero cosparse d'una invisibile polvere d'oro. — Novella, — esclamò, — che faremo? Egli disse queste parole con un'esausta voce desolata, e le disse, lui così forte, come un bimbo. — Non importa, — ella fece, scuotendo il capo. — Se tu mi ami, non importa! Quello che vuoi... anche uccídimi! Parlava come in un'ebbrezza, piena di lui, sotto il potere del suo fermo sguardo. E rovesciando la gola turgida esclamò di nuovo: — Poichè fra poco saremo scoperti, e poichè il nostro bimbo non può, non deve nascere... poichè non possiamo avere la nostra felicità... uccìdimi, se vuoi, ma con le tue mani... con le tue sole mani, che amo... non mi farai male. Ora la sua passione la transfigurava in una bellezza più che umana, e questa offerta di martirio pareva, su la sua bocca, semplice. Egli s'irrigidì; un lampo sinistro gli splendette negli occhi: tutta la volontà parve gli balzasse d'improvviso al sommo dell'anima, inflessibile. — Era il mio amico e non lo è più, — disse con una tetra lentezza; — era il mio fratello, e non lo è più. Ho creduto ad altre cose false nella vita, e le rinnego; una sola cosa è vera, necessaria, inevitabile: te. Fece una pausa dura e guardò nella notte che brillava; brillava come un incendio di fosforo, su tutte le cime, vertiginosa. Poi affermò, piano con le labbra, ma forte nel cuore: — Sì, è possibile! — Che dici? — Nulla; non voler sapere. Questo solo posso dirti: non ti perderò. Se ho potuto per questo amore giungere alla frode in cui viviamo entrambi, se ho potuto annullare la mia coscienza fino a tradirlo nella sua casa, vicino all'ora forse della sua morte... questo solo posso dirti, Novella: non ti perderò. Ella ebbe un sorriso estatico, che le rideva fin su le ciglia, che le sperdeva gli occhi in una immensa felicità. — Così mi ami? — Così, e più forte. Non dimenticare queste due parole: «più forte». Fiumane, fiumane, quasi d'un sole notturno, invadevano lo spazio, ravvolgendo come di gloria il loro colpevole ma stupendo amore. Sul tetto della casa, forse, o forse nei rami dell'antichissima quercia, un usignuolo cominciò a cantare. Le ghiaie frammiste con frantumi di vetro mandavano sprazzi, simili a quelli che davan i suoi denti nel riso d'ogni bacio, fra i due fili rossi delle labbra. Ella fu sua con tanta disperazione, con tanto delirio, che le sembrò veramente di sentirsi dare la morte, fra vena e vena, per tutto il sangue, fino al cervello, senza patirne, come aveva detto, alcun male. Nello stesso tempo, e solo qualche passo più in là, diviso appena da leggere pareti, un uomo afferrato già dalla morte vera, da quella bieca e putrida che porta indosso un lenzuolo per coprirsi le costole nude, sussultava in un sonno angoscioso, respirando a fatica il lezzo del suo proprio respiro, con la fronte che si bagnava di uno stillar gelido, l'anima che si rompeva in un tormento senza pace: carcame d'uomo incominciato a marcire. Ancora una volta era necessaria quella vicinanza, che non è fortuita ma universale, della voluttà con la disperazione, del nascere con il morire: inestricabile nodo che s'aggroviglia nell'ironia continua della vita. Una casa d'uomini dormiva insensibile nella notte bianca, e da due finestre vicine usciva unitamente a sperdersi nell'aria stellata un respiro voluttuoso d'amanti che s'inebbriavano ed un fioco rantolo d'addormentato, ch'era già quasi un rantolo d'agonia. Sopra questi aliti vicini e dissimili, che sono tuttavia la parola di tanti silenzi notturni, sul tetto della casa, forse, o forse nei rami dell'antichissima quercia, un usignuolo, come per ischerno, s'era messo a fischiare. E forse in quel sopore affannoso, come traverso un velo di lontana irrealità, il malato sognava... Si rivedeva nella piena giovinezza, povero ma risoluto a far molto cammino, senz'altra ricchezza nella vita che il suo forte ingegno ed un amico più forte. Questi era medico ed egli ingegnere di ponti e miniere, sbalzato dalla sorte in ricche terre inospitali, a tutte le temerità risoluto pur di conquistarsi la vita. E si vedeva nei pozzi profondi, ne' corridoi angusti, malsani di miasmi e di gas asfissianti, con le squadre di operai destinati alle galere sotterranee, armati di maschere e di lanterne cieche, non più simiglianti ad uomini ma quasi a rettili tenaci contro i forzieri della terra; si rammentava le tragedie, gli eroismi laggiù, dove il sole non è mai giunto, e riudiva quel sordo rombo della macchina calata nelle viscere della terra, per rovistarla e ferirla come una sonda nell'utero materno, e rammentava le catastrofi repentine, con gli urli delle vedove e dei figli intorno ai cadaveri carbonizzati... Poi le ore di vittoria, quando si era messo con i cercatori d'oro, con gli impavidi pionieri che l'umanità spinge come vessilli a' suoi limiti sconosciuti, e quando, per aprire altri valichi alla potenza temeraria dell'uomo, aveva trionfalmente forato il grembo calcareo delle montagne, gettato ponti leggeri come ghirlande di ferro sopra fiumi turbolenti, e condotta l'acqua ove le terre ardevano di siccità, e deviata la piena delle valli di straripamento... Non amori inutili, non sciocche ambizioni, ma la voglia di vincere, sola e terribile nella sua bellezza, e quest'unico amico del cuore splendente come l'acciaio, che a sua volta vinceva nei dominî liberi della scienza, che scopriva bacilli nefasti, che inventava sieri prodigiosi: questo rinnovatore che le Università si contendevano, questo violento sollevatore d'uomini che lanciava traverso il mondo possa di volumi clamorosi... Certo l'avevano contesa palmo a palmo, fraternamente, la lor terra di conquista, e ciò che aveva spronato l'uno a superare sè stesso era la vittoria del compagno; ciò che li aveva sorretti entrambi nelle ore più tragiche, era soltanto la loro scambievole fraternità. Non mai fra loro un'ombra d'invidia, che non fosse la più generosa emulazione; mai

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Argomenti: lampo sinistro,    sapore medesimo,    tanto pallore,    invisibile polvere,    inestricabile nodo

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