La vita comincia domani di Guido da Verona pagina 64

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sua parte, il portabandiera di sè stesso. La bandiera lo copriva come un manto, lo rendeva intangibile. Il sangue gli batteva nei polsi con quella velocità medesima, con quel tremito stesso, che propaga nell'aria il rullo dei tamburi, e gli pareva libera quant'altra mai quella strada preclusa da una barriera umana. Involontariamente sentiva di raggiare da sè la magnificenza del tribuno; l'atmosfera delle folle ammutinate, che impaurisce anche i più forti, era ciò che gli permetteva di respirare con più vasta libertà. Nel sentire quell'onda umana che gli rinserrava intorno, egli aveva l'impressione gioiosa di sentirsi portare in alto, spingere avanti, e rimaner solo in capo della moltitudine, come l'insorto che guida la sua fazione, alfiere d'ideali e capitano di popolo, quando gli assalitori delle regge, nei mattini di rivolta, per avventarsi al potere, sollevano le città. Cominciava la sua battaglia: era pronto, magnificamente pronto. Lo vedrebbero andare a fronte alta contro l'accusa, muto in mezzo alle contumelie, come se il clamore di una intera città non bastasse a distoglierlo dalla sua via consueta nè ad impedirgli di compiere ancora una volta l'opera sua giornaliera, della quale voleva mostrarsi più degno e più innamorato che mai. Aveva coscienza del suo prestigio fisico e ne godeva come d'un privilegio sovrano, conferitogli dalla natura stessa, nell'impronta, nel calco della sua persona. La folla, che ha per suo destino quello di ubbidire ad uno solo, è veramente femmina davanti a chi la disprezza, davanti a chi, senza riflettere, col suo coraggio la incatena. Egli sapeva che nessuno avrebbe osato affrontarlo a viso aperto, nè si occupava di guardarsi le spalle, perchè, a tutelargli le spalle, bastava la sua medesima tranquillità. Inoltre, nemmeno fra gli avversari Andrea Ferento era un uomo odiato: la sua vita pura come cristallo moveva un senso di stupefazione in coloro stessi ch'erano schierati sotto altre bandiere. Aveva combattuta la sua guerra con un magnifico sdegno, e, davanti alla folla, troppo avvezza a patire le menzogne dei retori, aveva il merito incomparabile di aver detta la verità. Di aver detta la verità sempre, con un coraggio che poteva parere insensato, anche quando le chiese, i governi, le clientele, i partiti, erano in lega solidale contro lui, perchè tacesse. Possedeva le due qualità che maggiormente innamorano le moltitudini: era un ribelle ed era un munifico donatore. Chi mai lo toccherebbe? Non certo quell'eterno ribelle che si chiama il popolo, non certo quella rozza femmina eccitata che si chiama la folla. Ed ecco, intorno a lui, dapprima, un silenzio grande si fece. Camminava; ed alcuni, ammutolendo, gli mossero dietro, quasi per meraviglia della sua temerità, e forse per vedere dove quell'uomo andasse. Nessuno aveva certo supposto di trovarsi viso a viso con lui, nè creduto ch'egli venisse a costituire la sua libertà frammezzo a loro con un gesto così deliberato e così tranquillo. Questa folla, che da un momento all'altro s'aspettava d'essere sgombrata dai gendarmi, o d'azzuffarsi con i partigiani dell'avversario, si vedeva improvvisamente fendere dall'uomo stesso ch'era venuta per provocare. Questo potente camminava tra loro senza guardia nè partigiano, e passava in mezzo ai clamori diretti contro il suo nome, senza corrugare la fronte. Non solo, ma quest'uomo era Andrea Ferento, lo scienziato che dalla cattedra inebbriava i giovani, co' suoi libri commoveva l'opinione del mondo, negli ospedali, come un buono ed umile operaio, curava i malati; quest'uomo era stato tempo innanzi alle soglie del potere, e solo per isdegno volontario ne aveva receduto. Camminava dietro di lui, intorno alla sua ombra, tutta una storia di cose belle, che ognuno rivedeva. Chi lo toccherebbe? Chi seguiterebbe a gridargli sul volto: — Assassino! — se pur questo era l'ordine? Adesso era preso nel mezzo, era in balìa di questa grande folla; camminando la faceva ondeggiare. Il suo nome, più veloce di lui, lo precedeva nel tumulto; una curiosità malsana invadeva l'ammutinamento; era un accorrere da ogni parte verso l'uomo che si faceva strada. Si faceva strada senza parlare, senz'ascoltare, guardando innanzi a sè, diritto, come un uomo sicuro della sua meta; e lentamente la turba lo ingoiava, stringendolo come un nòcciolo nelle sue pareti poderose. Egli cercava di traversar obliquamente la piazza, per dirigersi all'opposto lato, verso lo sbocco d'una contrada; la folla crescente lo accompagnava, rallentando il passo, arenandosi man mano contro la folla sopravveniente, che stringeva quel nucleo camminante in una specie di morsa. Per il vasto rettangolo della piazza crescevan lo strepito ed il clamore; ma già il nome di Andrea Ferento era la più alta parola che dominasse il tumulto. Lo spazio intorno gli divenne così angusto, che dovette fermarsi; — ma egli non impallidì. Era preso negli stessi tentacoli della folla, ed i più vicini facevano sforzi di braccia, di spalle, per non serrarglisi addosso. I più vicini tacevano, guardando l'uomo alto e fermo, con una specie di timore. Si produsse in quella moltitudine un movimento oscillante, simile al flusso ed al riflusso d'una marea, — poi le grida inveirono contro il cielo, facendo risuonare il nome del Ferento, come se dalla turba erompesse la gioia selvaggia e paurosa di tener quella preda. La piazza tiranna lo aveva catturato: era tardi ormai per il soccorso, gli potevan mettere la mano alla gola. Ma nessuno invece lo toccava, e, per una specie di rispetto invincibile, nel cerchio d'uomini più vicini a lui si taceva, come nell'attesa d'un dramma. Stavano fermi, addossati gli uni agli altri, per resistere alle spinte, quasi per difenderlo con una barriera di spalle dal potere altrui. — Signori, — egli disse tranquillamente, levandosi l'orologio di tasca: — da nove anni, tutte le mattine, a quest'ora, esco di casa per recarmi alla mia Clinica, dove so di essere necessario. Se un pazzo od un bruto mi lancia un'accusa che mi rifiuto di discutere, non è questa una ragione perchè i miei medici e i miei malati suppongano ch'io non possa recarmi fra loro. Ho deciso di traversare la città a piedi, contro chiunque mi fermi, e su la mia parola d'uomo vi giuro che passerò! Andrea Ferento si mosse. Un piccolo varco, uno spiraglio tortuoso, tra gente muta, allentò la folla, e con la mano chiusa nella tasca su l'arma caricata, egli vi s'inoltrò. Adesso era pallido estremamente, ma di coraggio e d'ira. I suoi occhi magnetici, striati di ferro, pareva che lampeggiando esercitassero un comando muto. Lento, grave, restìo, come una carena che si disincaglia, il nucleo della folla ricominciava a muoversi, resistendo col suo peso inerte alla spinta esterna, e così lasciandosi portare. Sopra la folla egli ergeva l'alta statura, per guardar oltre: un émpito selvaggio d'orgoglio lo soverchiò, quando vide che la strettoia s'allentava. Si volse a quelli che tacevano, e con la forza di un'invettiva esclamò: — Quanti di voi, che ora venite a sbarrarmi il passo, quanti di voi, o delle vostre famiglie, non hanno benedetta questa mia mano, che ora gridate sia quella d'un assassino? — Avanti! fátemi strada, che ho fretta, e laggiù sono moltissimi vostri figli e fratelli che hanno ancora bisogno di me! Gli ubbidivano muti, senza sapere perchè gli ubbidissero, facendo forza contro la parete umana che ostacolava il passo, penetrando a forza di gomiti nella direzione ch'egli segnava. Per soggiogarli e per stordirli parlava, con l'occhio attento al varco difficile, con un palpito nel cuore di gioconda impazienza. Li odiava in quel momento, ed avrebbe voluto frustarli fino al sangue; si sentiva quasi nelle braccia la forza di poterli percuotere. — Fate com'io faccio questa mattina! Camminate a fronte alta contro chiunque voglia mettervi una mano alla gola! Un giorno forse comprenderete che la bellezza vera del mondo è tutta

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Argomenti: prestigio fisico,    merito incomparabile,    lega solidale,    due qualità,    silenzio grande

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