La vita comincia domani di Guido da Verona pagina 63

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della rovina. Guardò, e vide con occhi limpidi ciò che non aveva sin allora veduto, se non traverso la nebbia della sua concitazione. Non erano ancor le nove del mattino, quando cominciò ad aggrupparsi folla davanti alla casa del Ferento. Giungevano a comitive, per strade opposte, gridando, crescendo, sicchè in breve la strada ne fu assiepata, la piazza ne brulicò. Il portinaio, dopo aver chiuso il portone, venne sopra concitato a supplicare che il Ferento gli concedesse di telefonare in Questura. Ma questi rispose con asprezza che non se ne occupava, e lo lasciassero in pace. Fermo, dietro le cortine d'una finestra, si mise a guardare la folla. Erano scherani del Donadei, mandati a provocarlo; plebaglia chiesaiuola, politicanti delle leghe cattoliche, socialisti e milizie della Camera del Lavoro. Non popolo insorto, ma un'accozzaglia sobillata e prezzolata, che veniva per vilipendere l'uomo contro il quale si voleva, non giustizia, ma vendetta. Qua e là, forse con piccoli gruppi de' suoi partigiani, accadevano zuffe. Un bel sole mattutino dormiva su quella inane piccola gente. Ella, mezzo discinta, stava presso di lui, serrata contro il suo braccio, e paurosa lo guardava. Gli alti vetri luccicavano d'azzurrità; si udiva dalla strada salire un vociferìo crescente; si udiva quel rumore ondoso che la folla produce quando s'aggruppa in tumulto. Andrea fece qualche passo indietro, serrando i pugni convulsi, reprimendo la sua fredda ira. Ella pure, d'un tratto, si staccò dalla finestra, chiudendosi con i palmi gli orecchi, perchè quegli urli troppo la ferivano, troppo la battevano, e le pareva d'essere assalita insieme con lui dal furore della piazza. S'annidò nelle sue forti braccia e lacrimosamente lo baciava. — Andrea!... Andrea, che faremo? Egli senza rispondere, appoggiò la bocca su la sua fronte; e sopra la fronte di lei, curvata, i suoi occhi splendevano di tanta luce, di tanto coraggio, ch'egli parve, nella sua bianca tranquillità, più forte che la moltitudine. Ora, per tutte le strade, sopravvenivan turbe di popolo minaccioso; la piazza, tra il suo porticato quadrangolo, nereggiava di assembramenti; i gridi e le contumelie battevano contro i vetri come sassi lanciati con la fromba. Allora la sua bella fronte si cerchiò d'una rossa ira e gli parve indegno starsene dietro una finestra chiusa mentre gli avversari lo insultavano. Che si voleva da lui? Vederlo? Con impeto si sciolse dalle braccia dell'amante, s'avventò alla finestra, volle aprire. — No, no, Andrea! séntimi, ascóltami... — gridò la donna, avvincendosi a lui. Forte gli teneva le mani, forte lo respingeva; poi s'interpose fra lui e la vetrata quasi per fargli schermo, ed aperse le braccia. Grosse lacrime le cadevano dagli occhi, il suo gonfio petto ansava; egli rimase un istante a guardarla, muto, poi si ritrasse. — Perchè piangi? Hai forse paura per me? Si mise a ridere d'un riso beffardo e cominciò a camminare per la stanza. Ella restava con le braccia aperte, la gola riversa, le spalle contro l'invetriata; il sole mattutino mandava lampi nello splendore de' suoi capelli spettinati; pareva in croce, davanti a quella finestra piena d'azzurrità. — Hai paura per me? — diss'egli con più forza. — Non io di loro! Rovesciò indietro la fronte con quella mossa rapida che gli faceva ondeggiare la capigliatura e splendere il volto: — Cosa vuole da me questa masnada di chierici e di bruti? Vedermi?... Vengo! — Andrea!... — ella gridò sbigottita, — che vuoi fare?... Andrea!... — Nulla di strano: essere alla mia Clinica per le nove e mezzo, come faccio ogni giorno. Con la sua poca forza ella s'avvinghiò a lui per trattenerlo, e balbettando lo supplicava: — No, non andare... — Io?!... — diss'egli con un riso. — Allora forse non mi conosci bene. — Ma non vedi quanti sono, Andrea?... Non senti come urlano?... — Appunto perchè urlano, e son molti, appunto per questo è necessario andare. Allora ella si mise a piangere, a piangere con disperazione; la qual cosa era la sola ch'egli davvero temesse. — No, non piangere... — le diceva con dolcezza. — Ascóltami, ascóltami, Novella. Comincia per me in questo momento una di quelle tragiche avventure nelle quali un uomo ha bisogno di tutte le sue forze per affrontare la vigliaccheria degli altri e decidere se debba rimanere un padrone od essere un vinto. Non mi disarmare, ti supplico, non aver paura; poichè devi essere tu, anzi, la mia compagna. Saranno giorni terribili, di guerra senza mercede, a colpi di coltello. Ma voglio vincere, capisci?... voglio vincere, perchè ti amo. E non essere tu la catena! Dicendo quest'ultima frase, la respinse con un atto quasi violento, come se per un attimo l'avesse odiata. Ella comprese ch'era necessario ubbidirgli, e solamente lo fissò con gli occhi pieni di terrore. — Ma... ti faranno male... — Che male! — Andrea gridò. — Al primo che osi toccarmi spiano la rivoltella su la faccia; se non retrocede, sparo. E dove un uomo ha il coraggio di ammazzare per primo, è la folla che ha paura di lui. Del resto la folla non mi odia. Chi mi odia è altrove. Ma s'accorgeranno bene che Andrea Ferento non è uomo da lasciarsi ammanettare! Fece una pausa e guardò l'amante, la donna curva, disfatta, che l'ascoltava. Il suo sorriso beffardo si spense in un sorriso di tristezza, e piegando su lei con dolore il volto pallido, la baciò fra i capelli, come se quell'atto gli fosse necessario, prima di scendere nella strada e camminare a fronte alta contro la folla de' suoi bestemmiatori. — Atténdimi qui, — le disse. — Per nessuna ragione al mondo non uscir di casa. Dietro me s'allontaneranno. Sii tranquilla: dalla Clinica ti telefonerò. Prese da un cassetto la rivoltella, già carica, si chiuse la giacca, rovesciò indietro la fronte con quell'atto leonino che gli scuoteva tutta la capigliatura, baciò in silenzio le mani dell'amante, e uscì. Ella non ebbe che la forza di chiamare fievolmente: — Andrea... — ma quand'era già lontano. Poi si precipitò alla finestra. Egli scendeva le scale con un passo misurato, allacciandosi i guanti. Sui pianerottoli v'eran persone ferme, ch'egli non guardò; a pianterreno, sotto il porticato, un gruppo di gente che si ritrasse bisbigliando. Il portinaio aveva sprangato il portone; stava dietro l'usciuolo con la chiave in mano. — Aprite, — gli disse il Ferento. — Non è possibile... — Aprite, vi dico... — Professore, non faccia questa pazzia!... Allora gli tolse la chiave di mano, aprì egli stesso, chinò il capo sotto il portello, e, quando fu sul marciapiede, si volse tranquillamente, lanciò dentro la chiave, dicendo al portinaio che s'affacciava: — Chiudete in fretta. L'impassibilità del suo volto era così grande, che i più vicini credettero d'ingannarsi nel riconoscere Andrea Ferento in quell'uomo che usciva. Egli non guardò nessuno; la strada formicolava di gente ferma, ed alcuni tuttavia, per la meraviglia, si scostarono. Alto, solo, con le mani entro le tasche della giacchetta, l'occhio vigile davanti a sè, il passo veloce ma tranquillo, quasi che tutto ciò non lo interessasse affatto, Andrea Ferento si diresse verso la piazza, come un uomo che debba tuttavia fendere per mezzo ad una strada ingombra. In verità non pensava che una cosa: «Novella s'è affacciata e mi guarda.» Il pensiero di quegli occhi amati che dall'alto vigilavano la sua persona lo ringagliardì come una spronata nei fianchi d'un animale generoso, e gli piacque di sentir vibrare intorno a sè la potenza elettrica della folla, gli piacque avventarsi nel pericolo immediato con una spavalderia che lo inorgogliva. Quel senso eroico della vita che dorme nel cuore di tutti gli uomini audaci si ridestava in lui d'improvviso e cantava nel suo spirito come una fanfara; gli pareva d'essere un soldato sopra il terreno di combattimento, e, più che un soldato, l'alfiere della

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Argomenti: sorriso beffardo,    sole mattutino,    rumore ondoso,    gonfio petto,    riso beffardo

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