La vita comincia domani di Guido da Verona pagina 11

Testo di pubblico dominio

E così dicendo pensava a quello ch'egli le avrebbe domandato poi. — Bada, — egli l'ammonì, — non rispondere con le labbra soltanto. — No, no... Egli le aveva presa una mano e la teneva serrata, quasi per comunicare con le vene del suo polso, con i battiti del suo cuore. — O Andrea ti ha pure insegnato il suo gelido ateismo? — egli mormorò, curvandosi. Ma ella scosse il capo, il braccio, con ira. — Basta! — gli comandò; — basta! — Allora, se un poco di fede non ti manca, — egli disse, tutto acceso dalla febbre della sua religiosità, — se veramente hai nell'anima Dio, non mi potrai mentire... bada! — Che vuoi?... — Sapere! sapere! — gridò il malato con forza convulsa. — Io, che finisco la strada, io, che non ti ho mai fatto alcun male, io ti domando: «Sei stata sua? In verità, in verità, sei stata sua?» Ella scosse il capo con rabbia, come per prepararsi allo sforzo di rispondere: No! — poi si fece bianca d'un pallore quasi livido, e, scandendo le sillabe, disse con una voce che pur lenta sibilava: — Non sono stata sua; non lo sarò mai! Ma sentendo irrompere dall'anima in ribellione, più forte che il suo medesimo cuore il bisogno di gridare la verità, si tese tutta interiormente in una acerrima ira, e per costringersi alla menzogna disse ancora più volte: — Mai! Mai! Esausto, egli si lasciò ricadere nella poltrona, premendosi le due mani sul petto, e la guardò perdutamente, con un senso d'inanità, di vergogna, stremato come un fanciullo che avesse voluto scagliarsi contro una porta di bronzo. E nelle sue membra malate sentì quasi una paura fisica di quella forte creatura, che aveva diritto a vivere, a ridere, a godere, a mentire, a far tutto ciò che fanno i vivi, mentr'egli non era più che un morto ancora barcollante, un travolto su cui la vita degli altri passava come un torrente infrenabile... Perchè la voleva contendere ad un altro amore, se questo amore nasceva in lei, necessario e spontaneo come il suo profumato respiro? Perchè voleva dilungare la sua squallida ombra nel loro invisibile sole? A queste riflessioni, un riso amaro di sarcasmo gli echeggiò dentro l'anima, senza salirgli fino alle labbra, mentre i suoi occhi smorti fissavano con una specie d'incantamento la bella creatura femminile, avviluppata in quel manto di sole che la ingloriava, che pareva splendere da lei, essere il colore della sua bellezza, il raggio della sua tutta ingemmata carne. Gli sembrò che un rumore lontano, come di sonagliere su la strada, come di campanelli infuriati nell'alte camere della casa, gli stormisse dentro l'orecchie ronzanti, gli scrosciasse nel cervello vuoto, fra vena e vena, doloroso, incessante. Quel sole!... che macchia faceva quel sole! che barbaglio insostenibile, che incendio giallo su tutte le cose circostanti!... Ella era là, così vicina e pure inaccessibile, avvampata di quella fiamma come un gioiello d'oro. E quel rumore continuo, come di sonagliere su la strada, come di campanelli infuriati, gli cresceva dentro senza posa, lo stordiva, lo accasciava, suscitando nelle sue pupille dilatate una continuità velocissima di bagliori e di vampe. Cos'erano? Forse quelle grandi rose gialle, cáriche di profumo e di pólline, che parevano d'un tratto roteare nella striscia di sole, incendiarsi, ardere? Le rose, o i suoi capelli scintillanti, o il braccialetto d'oro che le balenava al polso, o tutta la sua materia giovine e viva, cárica di profumo anch'essa, di pólline e di voluttà?... Vampe, vampe, sonagliere, in una ridda confusa, in una specie di vertigine gialla... Accecato, chiuse le palpebre e sognò. Sognò di lei, paurosamente, voluttuosamente, quasi per un bacio ch'ella gli desse, non più su la fronte, come soleva, ma con le calde labbra su le sue labbra ardenti, — un bacio snervante, lungo, lento, che gli assorbiva dalla gola turgida il respiro, che gli scorreva sui nervi non placati come una molteplice carezza. Un bacio carnale di amante, com'ella saprebbe dare se volesse, un bacio lascivo come la nudità, voluttuoso come la colpa... E in quella specie di torpore, mentre vedeva dietro il velo delle palpebre quel polverìo luminoso del sole, risentì, quasi per una evocazione fisica, sotto le narici un poco ansanti fluttuare l'odor femineo di lei, quell'odore soave che l'accerchiava come un malefizio, che intorbidava un poco l'aria come la fragranza eccessiva d'un fiore, che l'ubbriacava talvolta, nella sua debolezza di malato, come una droga troppo forte. Ora egli la vedeva, non più nel mezzo della stanza, ma come l'aveva sorpresa una volta, all'uscir dal bagno, tutta nuda e gocciolante, cosparsa di oscurità furtive il suo corpo voluttuoso. Quella volta ell'aveva gridato, per il pudore subitaneo, con un piccolo grido acuto e quasi ridente; poi s'era in fretta raggomitolata nell'accappatoio tepido, schermendosi dall'esser veduta e chiudendo gli occhi quasi per timore. Così la rivedeva ora, nell'abbaglio, e risentiva sotto le narici ansanti quell'odor fresco di carne bagnata, di cipria e di lavanda, quell'odore buono e colpevole del suo corpo che incitava all'amore. ...ed egli era sopra di lei, curvo, e la baciava; metteva le dita un po' tremanti nel gran volume de' suoi capelli raccolti su la nuca, aspersi qua e là di gocciole iridate; le strofinava il dorso pianamente, le spalle pianamente, per rasciugarla; sentiva traverso la stoffa spugnosa il tepore umido della sua pelle, s'inginocchiava dinanzi a lei, l'avvolgeva con le braccia, la serrava contro di sè, più forte, più forte... Ella si rannicchiava, freddolosa e vogliosa, dentro l'accappatoio caldo: le uscivano dal basso i piedi rosati, le sue ginocchia tonde gli urtavano contro il petto, stando ella tutta raccolta in sè, tutta piegata come per ischermirsi... Ma non si schermiva interamente; forse non era che un'arte leggiadra, un amabile gioco; ed egli, tenendola per la cintura come una preda non riottosa, piano piano addentrava una mano cauta nella scollatura dell'accappatoio, prolungando la sua carezza per la gola turgida, e giù, più giù, lentamente, con soste, come un ladro, nella dovizia calda, rigogliosa del seno... Vampe, vampe, sonagliere... Cos'erano? le rose gialle? i suoi capelli?... Vampe. Oh, come suonavano! che urlìo! che scampanìo forte, lacerante!... Che male! che male! Barbagli, guizzi, come di grandi rose gialle, infuriate, che roteassero... Una ridda... il sole... troppo sole... Ah, che male!... Sonagliere, vampe. Cos'era? Una specie di schianto nel cuore fioco; una specie di rimbombo fragoroso entro le arterie stanche; una pietra infitta nel cervello, così greve, così greve... Rose, vampe, sonagliere. Cos'era? Una lussuria di moribondo, che non di rado lo tormentava, la notte, nelle lunghe insonnie, mentr'ella se ne stava presso di lui, a piè del letto, assonnata sopra una pagina interrotta. Talvolta egli chiudeva gli occhi, fingeva d'essere addormentato, per poterla desiderare senza tradirsi; gli entrava nel sangue un'accensione dolorosa; la sua tenebra interiore s'illuminava di rosso, ed in quella specie di febbre, come se le giacesse accanto, l'avvolgeva in più modi nella sua lussuria inane. Quand'era sano ancora, non l'aveva mai desiderata così; quando le dormiva ogni notte accanto, non le aveva mai conosciuto questo irritante calore di femmina e di posseditrice, che ora tentava sino allo spasimo il suo desiderio spossato. Quando per la prima volta l'aveva baciata nel talamo nuziale, gli era solamente sembrata una inquieta e sperduta fanciulla, stanca forse della sua verginità, e per lungo tempo non aveva nemmeno sospettato in lei quella tentatrice ch'ella era, così turgida e sparsa di peccato in ogni piega del suo corpo, dalla fronte al piede. Sì, forse aveva sin d'allora, nel cavo degli occhi, negli angoli della bocca, nella forma de' suoi labbri, quand'era in silenzio e pensava, o forse nella medesima sua voce, che talvolta si velava di

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Argomenti: lungo tempo,    due mani,    grido acuto,    riso amaro,    medesimo cuore

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