La vita comincia domani di Guido da Verona pagina 24

Testo di pubblico dominio

allora? Un cerchio di rossore accese la fronte dell'avversario; ne' suoi occhi una vampa splendette. — Il medesimo sono, e più forte! — disse con ira; — poichè le più disperate battaglie sono certo quelle che dobbiamo soffocare in noi. Camminava per la camera nervosamente, come un uomo da tutte le parti accerchiato, il quale voglia fendere nella calca a fronte bassa per aprirsi un varco. Poi disse con impeto: — Senti: non mi giustificherò. Il nostro patto è rotto. Se vieni per interrogarmi, rifiuto, — se vieni per accusarmi, rifiuto, — se anche vieni per perdonarmi, rifiuto. È inutile tradurre in parole oziose quello che l'anima di due uomini risoluti non può nè tollerare nè mutare. Giorgio volle interromperlo, ma egli con un gesto lo trattenne: — Lasciami dire: nè tollerare nè mutare. Mi hai rammentata un'ora temeraria della mia vita, quando, per ambizione o per ingenuità, credevo si potesse far del bene alla folla trascinandosela dietro con la magìa della parola, come un branco imbrigliato, ed avevo in me difatti questo genio demagogico, questa potenza istrionica della quale ora mi rido. Più tardi compresi che il bene si fa nell'ombra, da soli, piegando la fronte sui libri, o con le braccia nude fino al gomito, medicando l'anima dell'uomo e la sua carne piena di contaminazioni. Ho lasciato gli altri urlare; ho camminato più in alto, per la mia strada. Ora, ti ho detto, sono il medesimo e più forte. Ora sono riuscito a comprendere che nel nostro vincolo, nel nostro patto d'amicizia umana mancava tuttavia una possibilità: quella di sentir nascere in noi l'odio, l'odio fraterno, il più terribile che vi sia. Mi hai posta una domanda poco fa: se ho paura di te e se ti odio. Io fui debole un momento e risposi: Nè una cosa nè l'altra. Ma ho mentito. E poichè mi rammenti le ore di coraggio ch'ebbi nella mia vita, con quel medesimo coraggio ti rispondo: — Sì, ti odio! Ne' suoi occhi metallici brillava una sinistra luce; la sua bocca rise, paga d'aver esclamata la verità. — Ora ti preferisco, ora che non menti più! — Giorgio rispose, con un orgoglio pacato. — Vorrei essere ad un altro tempo della mia vita per accettare le tue parole come una bella sfida. Andrea scosse il capo: — Forse non mi hai compreso. — Sì, ti ho compreso. Volevi dire che tra uomo ed uomo tutto è caduco e distruttibile, tutto può mutare improvvisamente, per un caso fortuito, perchè appunto noi siamo esseri caduchi e mutevoli, schiavi anzi tutto del senso che ci dómina con vera tirannia. Ma l'altro non cessava dallo scuotere il capo duramente, finchè l'interruppe: — Volevo dire che il mio odio per te, Giorgio, è una specie di rimorso taciturno, è una specie di lealtà ultima, che nascondo a me stesso, e nella quale mi rifugio, dopo aver lottato inutilmente, con ogni mia forza, contro il destino che ci separava. È un odio, sì; ma tale che se potessi, dando la mia vita, redimermi dinanzi a te, o farti un bene qualsiasi, anche minimo... senza esitare, senza riflettere, la darei! — Allora perchè nasconderti fra queste parole? Smàscherati! Dà un nome a tutto questo: il suo vero nome! — No, no! — rispose Andrea con forza; — parliamo di noi, solo di noi. Come ho rispettata sempre la tua fede, che non potevo dividere, tu rispetta la mia volontà, perch'essa è la sola coscienza degli uomini senza fede. E pensa che il confessarmi a te mi sarebbe forse dolce, come per voi è dolce confessare le vostre colpe ad uno che vi assolverà. Io non voglio il tuo perdono. Ma invece ti dirò apertamente: Sì, l'ho amata!... Era nel mio destino d'uomo... l'ho amata. Queste parole parvero gravi, come l'affermazione d'un reo che dicesse al suo giudice: — «Sì, ho ucciso.» E Giorgio, sopraffatto, come se al di là da quelle parole non vi fosse che l'immenso nulla, chinò la fronte in silenzio. Una lunga pausa durò fra loro, nella quale permaneva un'eco diuturna, ch'entrambi udivano risuonare nella loro vastità interiore. Poi Andrea riprese: — Vedi, e ho lottato! Con tutta la forza che ben mi conosci, ho lottato per estirpare da me questa ubbriachezza. Ma non mi fu possibile. Tutto si riesce a stritolare nella tanaglia della nostra volontà, non questo amore che imbeve la carne, lo spirito, e ci vieta persino quell'atto estremo di ribellione che tronca tutto: la morte. — Lo so, — rispose Giorgio profondamente. Poi, levatosi con fatica dalla poltrona, s'avanzò verso di lui, fin quasi a toccarlo: — Lo so. Dal primo giorno che l'hai guardata con amore lo seppi. Era... vuoi che te lo rammenti? — A che serve, Giorgio? È lontano... — Infatti. E già sarebbe stata una grande sciagura che l'amassi tu solo, — proseguì Giorgio, scandendo lentamente le sillabe. — Ma lei pure ti amava... e questo era l'irreparabile! Ti amava in silenzio ancor prima che tu lo sapessi. Andrea scosse il capo in segno d'incredulità. — Prima, assai prima... perchè forse non è mai stata veramente mia. Ma per me bastava che non fosse d'altri; e guai se avessi creduto, in un modo qualsiasi, di poterla ricuperare! Perchè allora, vedi, il mio odio sarebbe andato oltre il tuo, e per quell'istinto che ogni essere ha, di voler difendere il proprio bene anche fino al delitto, io, credente, mi sarei dannato, ma avrei messo il mio amore, poich'era grande, più in là che Dio. Senonchè ti amava troppo... ed era inutile tentare. — Tu avresti fatto questo?... anche questo? — mormorò Andrea. — Sì! e puoi non dubitarne se ripensi alla mia vita. Eppure io credo in Dio; anzi questa fede, che tu in fondo schernivi col tuo silenzio, mi ha salvato dalla recita e dalla colpa inutile. Perchè, sai, vi può essere altrettanta bellezza in un delitto grande come in un grande perdono. Io vi ho perdonati; non con la bocca, non con le parole che tu alteramente mi rifiutavi or ora, ma col mio spirito, con la mia fede, con tutta quella estrema vita che si àgita in me. Bada: non cristianamente, ma umanamente vi ho perdonato: non per misericordia, ma per riflessione, non per comprarmi il paradiso dei preti ma per la vostra felicità. — Per la nostra felicità?... — disse Andrea, con maraviglia, con sospetto. — Sì; e non mi credere un santo per questo: non lo sono. Uomo, avrei voluto vivere, e per vivere mi sarebbe stato necessario difendermi da te. Ma che sono ormai? Una macchina disfatta... neppure: un pugno di materia logora che fra poco si dissolverà. Davanti a me finisce quella striscia di sole che si chiama la vita, e se i deboli, se gli avari, se i timidi, appunto verso la fine s'abbrancano con maggior disperazione ai beni che lasciano quaggiù, io, poichè sono stato un forte come te, un orgoglioso come te, ne faccio abbandono senza odiare quelli che possono vivere ancora, ed umanamente, con pace, dico loro: Il diritto è vostro... continuate. Dopo aver velocemente riflettuto, Andrea esclamò: — Le tue parole sono troppo grandi per un uomo: io non le credo. — Le parole sono grandi forse, non la verità che nascondono, — gli rispose con lentezza il suo fratello d'una volta. — Le più serene filosofie, le rinunzie più sante, celano spesso nel fondo un acerbo rancore contro la vita. Così di me. Allora sarò più piccino, mi denuderò, guarda: È un corpo questo che mi rimane? Ho forse una speranza di risanarmi, di ricominciare? No! Il mio martirio non può essere che più lungo o più breve, ma non altro che un martirio; e la scienza non inganna quel presentimento della morte che penetra tutte le vene, quand'essa già si trascina carponi nella nostra ombra. Si levi e mi prenda! Che serve il vivere in una poltrona, coperto di scialli, nutrito di medicine, soffrendo torture fisiche e morali, facendo ribrezzo agli altri ed a me? Poi, compréndimi bene, io amo una donna come tu l'ami, sapendo invece che la spavento. E la desidero qualche volta, io sfinito, come la desideri tu, vivo e forte. Ma tu la puoi baciare...

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Argomenti: grande sciagura,    medesimo coraggio,    delitto grande,    acerbo rancore

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