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La vita comincia domani di Guido da Verona pagina 69sua parte, trascinarlo giù dall'altare, mettere alla gogna la sua storia d'amore. Quell'uomo era stato il fantasma nero della sua vita. Salvatore Donadei credeva di combattere per un'idea sua propria, mentre in verità non faceva che combattere contro le idee dell'altro; supponeva di avere un'ambizione sua propria, la quale non era nata invece che dal desiderio di misurarsi con la potenza dell'altro; e sopra tutto l'odiava, perchè il Ferento, invece di raccogliere la sua sfida, non si era mai curato d'altro che di squassarlo da sè come un piccolo avversario importuno. Con l'andar degli anni quest'odio aveva preso in lui così profonde radici, che avrebbe dato la sua fede, il suo giornale, il suo denaro, e perfino i suoi figli, per il piacere di calpestarlo senza remissione con la sua fredda ira, come si tenta spegnere coi piedi la fiamma di una lampada rovesciata. Giunta l'ora in cui tutto ciò gli parve possibile, questo uomo cauto e pieno d'insidie si lasciò quasi ubbriacare dalla sua crudele speranza. Dal giorno in cui Tancredo ed il Metello eran venuti a proporgli quel terribile mercato, egli non si era più concesso un attimo di pace. Aveva tramato, congiurato, subornati o fatti subornare testimoni, s'era accaparrato a forza di denaro una parte della stampa ed aveva messa in opera tutta la sua potenza d'uomo politico, di giornalista, di capo d'un numeroso partito, finchè suonata gli parve l'ora di dar fuoco alle polveri e scatenare nella piazza la congiura tessuta nell'ombra. E, se Andrea Ferento non fosse stato che un platonico banditore d'idee od un eroico cercatore di verità, esiliatosi fuor dal mondo, costoro, senza dubbio, per il lor numero e la potenza grande che ancora il pregiudizio esercita sopra la terra, costoro lo avrebber vinto con facilità. Ma in Andrea Ferento v'era un uomo altresì che amava la potenza per sè stessa, v'era il partigiano accanito che sapeva l'arte imperatoria del guidar le fazioni, e sapeva che al di sopra di tutte le forze radunate in mano dei poteri sociali, v'è sempre stata e sempre dominerà la violenza d'un uomo solo. Oh, quanto nel suo spirito beffardo egli derideva coloro che si aspettavano di veder lui, Andrea Ferento, semiconfesso e pavido sui banchi d'una Corte d'Assise! Credevano dunque che per tanti anni egli avesse investigata la materia invano? che per tanti anni avesse dalla sua cattedra bandita l'ultima parola delle scienze positive, per doversi ridurre, quando gli fosse mestieri sopprimere, ad iniettare nelle vene della sua vittima qualcosa che tre chimici dozzinali potessero poi raccogliere nei loro suggellati specilli? Ma no! ma no!... egli aveva disciplinato il suo delitto come si disciplina un esperimento scientifico, e la natura è ben più vasta che non suppongano gli sbadati farmacisti o gli avvelenatori da suburbio che solo confidano sopra il silenzio delle tombe. Non lui, che si chiamava Andrea Ferento, ch'era il più dotto e prodigioso fra gli scienziati d'Europa, non lui che aveva per giorni e settimane fatto progredire il suo delitto, a grado a grado, indisturbatamente, col pieno potere che gli veniva dalla sua coraggiosa libertà. Per un istante infatti egli aveva temuta, non la giustizia degli uomini, ma l'onnipotenza dei partiti che si collegavano contro lui, capaci senza dubbio di subornare un giudice, di dettare ai periti un responso dubbioso e per tal modo trascinarlo in Corte d'Assise, od anche mandarlo assolto per non provata reità. Era quello che tuttavia bastava per distruggere in un sol giorno la sua magnifica vita. Ma davanti al pericolo egli aveva ritrovato con una prontezza meravigliosa il suo posto di battaglia e la memoria strategica dell'uomo che in altri tempi aveva camminato alla conquista del potere. Ormai, se da una parte operavan sul giudice istigazioni potenti, egli ne faceva esercitare altre più incontrastabili; se poteva esservi nella designazione dei periti un intento recondito, egli era giunto a far cadere questa scelta su persone che avrebbero dovuto resistere a qualsiasi adescamento; se una parte della stampa lo aveva nei primi giorni assalito con furia, man mano egli era giunto a far piovere dall'alto certi minacciosi avvertimenti, che persuadevano i Direttori ad imbrigliare i più focosi retori; e frattanto egli allestiva con una pazienza, con una minuzia da certosino, la querela di diffamazione che avrebbe chiaramente dimostrato i pericoli del firmarsi «Ergo» alla dolce pecorella cristiana che si chiamava Salvatore Donadei. Egli sapeva bene che per le grandi cause occorrono grandi avvocati, e giornalmente passava un paio d'ore nello studio del senatore Ippolito Sandonato, l'oratore che piegava sotto il suo potere le Corti di Giustizia, soggiogava l'alte Assemblee con la speciosa eloquenza del suo discutere, il patrono che nonostante la tarda canizie rimaneva un uomo di toga intrepido e focoso come un esordiente. Incominciata la battaglia, non bisognava nè perdere nè vincere a metà; nella tensione di nervi che il combattimento gli dava, la storia verace del suo delitto aveva esulato lontano da lui, s'era quasi affondata senza memoria nella buia tempesta del suo spirito. Ora egli camminava leggermente, esagitando fra sè stesso le più remote conseguenze di tutto quello che stava per accadere, ed anzi era particolarmente gaio, per aver avuta in quel giorno un'idea felice, che Ippolito Sandonato si accingeva per l'appunto a mettere in opera. «Quel buon Tancredo Salvi... che aveva senza dubbio uno sviscerato amore per la Giustizia, e doveva certo essere incorruttibile come un santo monaco francescano...» Camminava tra questi pensieri, e frattanto era giunto vicino alla sua casa, quando, all'uscir dal vicolo nella diritta contrada, un clamore confuso di voci, un accorrere di persone, subitamente lo fermarono. Pochi passi lontano era la sua casa, l'ultima su l'angolo; più oltre, la piazza con il porticato, che nereggiava di gente ferma, dalla quale provenivano i clamori. Egli non poteva ben discernere nè udire, ma erano i giornalai che gridavano a squarciagola una notizia inattesa e vendevano a centinaia le copie de' giornali, che la folla spiegava concitatamente. Quasi nello stesso tempo, alle sue spalle, si levò un simile clamore, e, vóltosi, vide accorrere cinque o sei strilloni, rossi, rauchi, affannati, sotto il peso dei fasci che portavano, inseguiti da una folla che li spogliava man mano del supplemento stampato a grandi lettere. Gli passaron davanti come un'ondata, ed allora udì. Egli divenne orribilmente pallido, non volle credere a sè stesso, volse in giro gli occhi ed aguzzò l'udito come per riafferrar quel grido. — «L'assassinio di Salvatore Donadei!... Supplemento all' Epoca !... Supplemento al Nuovo Giornale !... L'assassinio di Salvatore Donadei!...» Non vide, non udì più nulla; un cerchio rosso, che si partiva dalle sue stesse pupille, occupò la vuota órbita che gli roteava tutto all'intorno... E sentì che il cuore gli batteva nel petto fino allo schianto, ma non seppe se di gioia, d'ansia o di terrore, tanto gli pareva che nel vortice improvviso del mondo si disperdesse come polvere il senso di tutte le cose. Poi si calmò. D'un tratto gli parve che la gente lo guardasse, anzi guardasse lui solo, quasi già sospettandolo di questo nuovo delitto. La morte gli si allacciava intorno come una compagna necessaria; ebbe istintivamente voglia di volgersi, di fuggire... poi di cacciarsi avanti, frammezzo a quella moltitudine e di gridare con tutto il suo fiato: — Non io! non io!... Sopravvenivano altri giornalai; la strada fino al termine biancheggiava di pagine spiegate. Macchinalmente anch'egli si cercò nelle tasche una moneta, comprò il giornale, poi, quasi correndo, percorse la distanza che lo separava dal suo portone, entrò difilato in mezzo alla gente che l'ingombrava: si trovò nella corte. Un lampione ad acetilene rischiarava il porticato facendo splendere la porta a vetri che Tag: uomo tutto salvatore delitto potenza parte supplemento anni corte Argomenti: passi lontano, nuovo giornale, fantasma nero, uomo cauto, platonico banditore Altri libri consultabili online del sito affini al contenuto della pagina: Le sottilissime astuzie di Bertoldo di Giulio Cesare Croce Il servitore di due padroni di Carlo Goldoni Confessioni di un Italiano di Ippolito Nievo Corbaccio di Giovanni Boccaccio Fermo e Lucia di Alessandro Manzoni Articoli del sito affini al contenuto della pagina: Caratteristiche del mixed wrestling Lisbona, città da vedere e da sentire L'innesto della rosa Fuerteventura tra Oceano e deserto Antibes Juan les Pins, tra musica e arte
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