Piccolo mondo moderno di Antonio Fogazzaro pagina 65

Testo di pubblico dominio

volontà santa. Andò all'albergo e ritornò con don Giuseppe. Questi entrò dall'inferma; la marchesa e la suora vennero ad attendere nel salottino, con Piero, che il colloquio finisse. La suora cercava stentatamente qualche parola buona; la signora aveva preso bene questo, aveva preso bene quello, aveva la sua fisionomia solita. Si stancava col continuo pregare, poveretta. Dopo che ci era stato il signore, non aveva fatto che pregare. Mentalmente, magari; ma si vedeva lo sforzo, povera creatura. La marchesa osservò che in complesso la notte non era stata cattiva. Avrebbe voluto poter pigliare una messa, la mattina. La chiesa del villaggio era a due passi. A che ora si diceva la prima messa? Meglio non andare a quella di don Giuseppe, per non trovarsi fuori nello stesso tempo. La prima messa si diceva alle quattro e mezzo. Nessuno trovava parole più, e si fece un silenzio penoso perchè ciascuno sentiva che il colloquio dell'inferma con don Giuseppe pareva lungo a tutti. La finestra, mal chiusa, si aperse a un soffio di vento, furono uditi i gridii confusi. In quel momento il vecchio prete rientrò. Subito la suora si avviò a ripigliare il suo posto e la marchesa non potè trattenere un "dunque, don Giuseppe?", non potè interamente dissimulare, sul suo povero vecchio viso stanco, l'ansia dell'aspettazione. Don Giuseppe rispose tranquillo: "Niente, poveretta. Cose di pietà." "E che Le pare?" "Oh, nessun cambiamento. Forse forse un po' di maggiore debolezza. Vorrebbe avere l'Estrema Unzione fra le sei e le sette, dice, perchè a quell'ora si sente sempre meglio. Questo non può che giovare, le ho detto di sì." La marchesa fece sommessamente "sì". Nei grandi occhi gravi si dipinsero la riverenza del sacramento e la rassegnazione. Non disse più nulla, rimase per qualche momento immobile, accasciata; poi, per la prima volta, si asciugò gli occhi. Mosse in pari tempo verso quell'uscio e le sue spalle curve, il suo capo basso esprimevano il piegar mansueto di un dolore immenso ai voleri di Dio. Rimasto solo con Piero, don Giuseppe lo fissò silenziosamente in volto. Piero non se ne accorse, prima; quindi credette che gli si volesse leggere nel pensiero. Poi nel vederlo mutato, più triste, più solenne, gli balenò che, parlando alla marchesa, le avesse taciuto qualche cosa. Lo interrogò ansioso con gli occhi. "Ha il presentimento" disse piano don Giuseppe "di morire stasera; indica persino l'ora." Piero chinò il viso. "Lo so" diss'egli. "Lo sa? Ma poi c'è un'altra cosa." Silenzio. Parve che il vecchio non osasse dire, che il giovine non osasse chiedere. Finalmente don Giuseppe si fece animo. "Prega" diss'egli "di venir sepolta in Valsolda." Piero giunse le mani, sbalordito. "In Valsolda? In Valsolda?" "In Valsolda, per due ragioni. Per il rimorso di non aver secondato il Suo affetto a quel paese, di aver mancato, in certo modo, anche verso la memoria de' Suoi genitori che sono sepolti là; e poi perchè dice di sentirsi ora tanto unita ad essi nel domandare al Signore una grande grazia. Sì, sì — m'ha detto — preghi Piero che mi lasci andar con loro..." La voce del vecchio discese a un soffio, a un lieve alito. "... come una figlia." Piero lo abbracciò stretto singhiozzando. "Credo... che la grazia..." E più non potè dire. Rimasero così abbracciati, a lungo. Finalmente il giovane rialzò il viso, mormorò: "E mia suocera, poveretta? Cosa dirà? Non sarà un altro dolore?" "Ne ho detto una parola anch'io alla Sua signora. Mi ha risposto: "Oh, la mamma è una santa". E adesso zitto che non ci sentano." Le campane della chiesetta vicina suonano l'Ave Maria dell'alba, l'inferma chiede che ore sono, chiede di vedere il cielo, dice alla sua mamma che ha dormito, che ha sognato di stare in paradiso con il suo Piero, con lei, con il suo papà, e anche, soggiunge sorridendo alla suora, con suor Eletta; che la mamma e suor Eletta erano tanto luminose ma Piero molto più ancora. La mamma dice "va là, va là" con bonaria placidezza. Essa le risponde di prepararsi e che sarà presto presto e che n'è tanto contenta. La mamma tace, le campane suonano, suor Eletta apre un poco le imposte, l'inferma vede l'oriente imbiancarsi per lei l'ultima volta. V Don Giuseppe celebrò la messa verso le cinque e mezzo. Il parroco del luogo raccontò poi, tutto edificato, che non aveva veduto alcuno celebrare con tanto fervore nella voce, con tanta pietà nel volto, con tanto profondi sospiri e aneliti, come quel vecchio prete forestiero. Pareva, diss'egli, che avesse la visione di Cristo! Dopo la messa, come lo ebbe aiutato a spogliarsi, lo lasciò. Immerso nelle preghiere di ringraziamento, don Giuseppe non s'accorse che alcuno entrasse in sagrestia. Alzandosi dall'inginocchiatoio restò sbalordito e sgomento; Piero gli stava davanti, tanto acceso nel volto di ansia e di supplica, tanto visibilmente tremante le mani congiunte, ch'egli subito pensò: "è morta!" e i suoi occhi atterriti lo dissero. "No, no, no, devo parlare!" fu l'affannosa risposta. Don Giuseppe mandò fuori dalla sagrestia il chierichetto, che aspettava. Intanto Piero si buttò sull'inginocchiatoio e, copertisi con una mano gli occhi, batteva e ribatteva con l'altra la logora poltrona disposta lì accanto per le confessioni. Don Giuseppe, non sapendo cosa fosse per succedere, fra proclive e renitente, dopo un momento di esitazione, obbedì. "Non posso parlar che qui, non posso parlar che qui" singhiozzò Piero, raccoltesi ambo le mani sul viso. "Ero già scosso... quando Lei stanotte, mi parlava della grazia... ma dopo... ma dopo..." Non poteva proseguire. Don Giuseppe gli passò e ripassò una mano sui capelli, dolcemente... "Aspetti, aspetti, si sfoghi, si calmi." Ma Piero neppur poteva tacere e la sua voce, poco a poco, si rinfrancò. "Dopo... appena Lei era uscito per venir qua... mi son sentito prendere a un tratto da un'inquietudine, da un'aspettazione ansiosa senza saper di che, da uno struggimento interno, da un desiderio di piangere senza poter piangere. A un tratto mi vidi dentro la fronte, o dentro il petto, non lo so, per un momento, per un solo momento, queste parole: "perchè mi resisti?". Me ne sgomentai, ma poi mi son detto subito: sarà un caso, una reminiscenza involontaria, niente altro. Mia suocera, rientrando dalla prima messa, aveva posato sul tavolino del salotto il suo libro di preghiere. Lo apro. Era una Imitazione. Gli occhi mi cadono sul principio del libro quarto dove sono le parole di Cristo: Venite ad me omnes qui laboratis et onerati estis et ego reficiam vos". A don Giuseppe sfuggì una esclamazione sommessa. Piero lo interrogò, avido. Niente, niente; don Giuseppe non aveva niente a dire. Il giovine continuò: "Mi prese un tremito, un gran tremito, come se avessi udito il Signore chiamarmi. Venni diritto in chiesa. Per la strada mi pareva di camminare dentro un'aria piena di Dio. Mettere il piede sulla soglia della chiesa, veder Lei all'altare e sentire un risveglio di tutta la mia fede di fanciullo, un dolore acuto del mio allontanamento da Dio, delle mie ripulse ai suoi richiami, una tenerissima gratitudine della sua paziente bontà, è stato un punto solo. "La messa era al Sanctus. Mi sono inginocchiato. Alla consacrazione mi copersi il viso con le mani e mi vidi, veramente mi vidi scritte nel palmo delle mani cinque parole, proprio le parole che da giovinetto, nei miei fervori mistici, quando mi figuravo di morire, avrei desiderato leggere sulla parete in faccia al mio letto: MAGISTER ADEST ET VOCAT TE. "Le vedevo grandi, bianche sopra un fondo nero. Poi, verso la fine della messa, stando sempre inginocchiato e con gli occhi coperti, mi successe questa cosa terribile: ebbi la visione istantanea, fulminea della mia vita nel futuro e della mia morte. Se chiudo gli occhi la vedo ancora! O mi dica, mi dica, don Giuseppe, ho sete di darmi tutto a Dio, ma debbo proprio credere che la visione mi viene da Lui, che significa la sua volontà? Perchè se credo è

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Argomenti: vecchio prete,    capo basso,    pari tempo,    tanto fervore,    dolore immenso

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