Piccolo mondo moderno di Antonio Fogazzaro pagina 43

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no?" pensò Jeanne con un intimo sorriso amaro. Mentre nella sala dell'Eneide il giardiniere disponeva le rose, secondo i cenni di Jeanne, nel grande vaso antico sulla consolle in faccia a Didone in trono, intorno all'erma di Virgilio nell'angolo fra le due finestre di ponente e di mezzogiorno, nei cristalli opachi, negli argenti bruniti, sulla stessa tovaglia cenerognola della mensa onde Carlino voleva bandito ogni candore vivo, ella confessò a se stessa che non avrebbe volentieri scambiato spine con la Pape. No, era un soffrire caldo e caro, il suo. Era come un fuoco di febbre senza dolore che assopisce i sensi e travaglia lo spirito in un lavoro d'immaginazioni intense e vane. Se la pungeva una vera e propria spina, era l'idea di non poter più avere sino a tarda notte un momento di solitudine o almeno di doverlo rubare. Benedetto Carlino che non poteva vivere senza società, senz'aver gente a colazione, gente a pranzo, gente alla sera! Adesso gli era venuto in mente d'invitare una brigata di conoscenti fiorentini avviati al Garda. Erano giunti alla mattina da Venezia, egli aveva mostrata loro la città, li aveva ricondotti all'albergo e li aspettava a pranzo. La società indigena era invitata per le nove e mezzo, molto largamente, a udire della musica e una conferenza di Carlino stesso sul tema misterioso Numina, non nomina, con proiezioni. Carlino aveva pensato questa conferenza per il Circolo cittadino di letture, ma poi aveva smesso l'idea di tenerla in quel posto, sia per certo carattere personale della conferenza, sia perchè la sala del Circolo gli era parsa tanto umida da fare ammuffire le fiamme del gas, sia perchè ci era andato una volta con sua sorella e una graziosa brunetta dell'uditorio, vedendo passare Jeanne col mantello guarnito di chinchilla, aveva udibilmente sussurrato a una graziosa biondina: "Gnao, ciò!". "Come li metti a posto, questa gente?" diss'egli a Jeanne. "Bada che io non vorrei vicina quella iettatrice terribile di Bertha." Jeanne gli rimproverò la sua ingratitudine verso la signorina Bertha Rothenbaum, l'antica istitutrice di Jeanne, adesso traduttrice di romanzi italiani e corrispondente di giornali tedeschi, ch'era sempre stata buonissima per Carlino. "Non sarebbe neanche possibile!" diss'ella. A destra e a sinistra di Carlino ci dovevano stare le due dame della compagnia che i Dessalle chiamavano familiarmente Laura e Bice. "Non ci mettere Destemps accanto a Bice" disse Carlino, "altrimenti addio Bice, io dovrò prendermi un torcicollo e un torcicuore con Laura che mi parlerà tutto il tempo di bouchées de pain o di crèches o di asili per tifosi o di ospizi per catarrosi o di altre porcheriole pie, se non sarà invece del voto plurimo e della riforma del Senato, o di qualche uomo celebre, esquimese o cafro, che avrà pranzato da lei." Era pure facile non mettere Destemps accanto a Bice. La comitiva forestiera si componeva delle due nobili dame e dell'antica istitutrice, sempre chiamate dai Dessalle con il solo nome, d'una damigella e di quattro cavalieri borghesi, sempre designati con il solo cognome. Oltre a quella turbolenta mouche du coche di Laura, danzante sulle ruote, sul timone, sulle briglie dello Stato e qualche volta intorno agli automedonti impassibili della Chiesa; oltre alla sventata, bonaria Bice, molto franca e audace nella sua maturità ufficiale di suocera e di nonna, maturità proclamata con le labbra tanto più volentieri quanto più la rinnegava il cuore fidente in una tenace bellezza; oltre al terribile Destemps dai capelli di biondo antico, dagli azzurri occhi mistici e sarcastici, v'era il fiorentino professor Gonnelli, l'Yorick delle allegre brigate a cui si concedeva ogni libertà di parola, v'era la sua figliuola, una Gonnellina di diciassette anni, con la lingua legata e i vivacissimi occhi sciolti, con un'ardente sete di vivere, la qual sete, tuttavia nel primo stadio, le bruciava il cervello in forma di entusiasmo per i libri che rispecchiavan la vita e per coloro che li scrivono. V'era la signorina Bertha, piccola magra, senza sopracciglia, con un nasetto vermiglio e due occhietti grigi, con un sorriso fine pieno di bontà. V'era il grande, grosso, barbuto e occhialuto Bessanesi, il paesista sempre intento a cogliere le finezze recondite negli aspetti volgari delle cose ossia quella bellezza che gli eletti sono sicuramente, felicemente, soli a sentire; Bessanesi, l'uomo curioso di ogni arte e di ogni scienza, il parlatore arguto, proclive alla freddura ma correttissimo nel gusto. V'era finalmente il professore Dane della Università di Dublino, il celebre professore Dane, dagli abiti mezzo mondani e mezzo ecclesiastici, sempre ben ravvolto e chiuso, per cura di molte fini mani femminili, nella bambagia di un'adorazione perpetua, squisito alla sua volta con le signore, e con cinque o sei delle più intellettuali fra i trenta o i quarant'anni addirittura petrarchesco, storico illustre, conoscitore profondo di pittura e di musica. Dane figurava il sacro e venerabile stendardo della comitiva. Convalescente in Fiesole di una colica epatica, aveva espresso a donna Laura il desiderio di un viaggetto al Garda e molto ribrezzo di andarvi solo. "Solo?" rispose donna Laura. "Mai!" La turbinosa dama cui non sarebbe garbato affatto un lunghetto passo a due con il prezioso invalido, saettò per ogni verso biglietti e bigliettini invitando mezzo mondo a pigliar posto nel corteo del professore. Donna Bice e Bertha acconsentirono in omaggio a Dane, Destemps accettò perchè accettava donna Bice, Bessanesi per una curiosità estetica della compagnia, Gonnelli per far divertire la sua Eleonora e anche per pigliarsi spasso dell'idolo e delle svaporate adoratrici. Alla Gonnellina poi l'idea di viaggiare con Destemps aveva messo la febbre addirittura, benchè il biondo genio fosse sdegnoso dei palpiti immaturi d'un Backfisch come lei. II In principio del pranzo, siccome i fratelli Dessalle, le dame, la signorina Bertha e il professore avevano avviato la conversazione in inglese, Gonnelli, un Yorick che non sapeva l'inglese, apostrofò così a mezza voce il magnifico Enea di Tiepolo: "Eheu, Troiae fili, nonne tibi quoque..." esprimendo il suo fastidio dell'inglese con un latino gonnelliano che nè le dame potevano intendere nè i cavalieri tradurre. Donna Laura e donna Bice, vedendo Destemps e Bessanesi ridere, Carlino Dessalle arricciare il naso, capirono benissimo che non era latino spiegabile. Invece Bertha, punta, curiosa e ingenua, si volse per aiuto all'onnisciente Dane il quale non aveva raccapezzato niente dell'apostrofe maccheronica e disse a Gonnelli col suo sottile sorriso e col suo italiano grosso: "Questa era forse lingua troica, signor?" — "Sì, sì, latino troico" fece Gonnelli. "Troicissimo. E giuro per quella sperlungona di Didone, scusami, Carlino, non l'hai dipinta tu, che Destemps, Bessanesi e io si parlerà e mia figlia tacerà troico tutto il pranzo, vivaddio, se non la smettete con l'anglico! C'è qui la signorina Bertha che parla lungarnico come il Baccelli di Palazzo Vecchio o come una Bertuccia di Mercato, c'è il nostro veneratissimo professore Dane che si arrabatta per benino in un fiesolaico un poco suo proprio, diciamola, in un dannato di fiesolaico, che però insomma è toscanico. Eh dunque!" Rise anche il professore e la conversazione continuò in italiano, vivacissima. Le due dame, che nei convegni aristocratici portavano con dignità cosciente l'uniforme ideale, per così dire, prescritta dal luogo e dal grado, se ne scioglievano qui assai volentieri nella società preferita degl'intellettuali. Tra loro e Jeanne non correva troppa simpatia, ma di Carlino andavano pazze apertamente come tutte le signore, forse perchè con un uomo come lui, di maniere squisite, musicista eccellente, intelligente di ogni arte, paradossale nelle idee e pieno di vita nella parola ma gelido nel fondo e schivo della passione, non v'era pericolo di andar oltre un piacevole vellicamento

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Argomenti: grande vaso,    intimo sorriso,    celebre professore,    grande vaso antico,    piacevole vellicamento

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