Piccolo mondo moderno di Antonio Fogazzaro pagina 46

Testo di pubblico dominio

ebbe un tocco del suo riso argentino e guardò Dessalle. III Gl'invitati della città, un nuvolo, perchè Carlino voleva riempire per la sua conferenza la sala grandissima della Foresteria, cominciarono a venire dopo le nove e mezzo, a piedi e in carrozza. Venivano per le due stradicciuole che mettono a villa Diedo, così atrocemente selciate che la nobile signora Colomba Raselli, palpitante di timidezza e di orgoglio, come un vero piccione, nella sua toeletta cenere guernita di pizzi neri, scendendo di carrozza presso la scuderia e affacciandosi al ciottolato che sale, sospirò, disse a due signorine di cui teneva faticosamente la tutela: "Oh Dio, tose, gavìo cali? Mi sì, savìo". E alla sua volta l'uomo acido, nel mettere il piede col maestro di musica Bragozzo sul ciottolato che scende dal colle, storse incredibilmente la bocca, il naso, le sopracciglia e dolendosi di non possedere le estremità marmoree di certo illustre uomo grandeggiante nel mezzo di una piazza della città, brontolò contro la buaggine propria di venire a rompersi i piedi per avere poi il piacere di rompersi anche le tasche. Le carrozze salivano cariche di dame sfarzose, di nereggianti e biancheggianti cavalieri. La contessa De Altis ne aveva tre nel suo landau. Due di costoro in abito nero e cravatta bianca, torturavano il terzo per il suo smoking e la sua cravatta nera. Non sapeva egli che la sera prima, al caffè, si era deciso di andare tutti in frac? Il disgraziato, uso venerare nonchè le sacre sentenze anche le auguste opinioni del caffè, si difendeva tra umilmente, allegramente e dispettosamente, descriveva con brio la scena della sua "vestizione" in casa, le apostrofi delle figliuole: "Papà, la velada, sètu!". "No, papà, che la xe onta!"; i consigli della moglie: "El veladon ch'el te stà tanto ben!" e finalmente i bisbigli della cameriera: "El se meta el smochi, conte!". "E mi aseno" conchiudeva il narratore "meteme el smochi." In tutte le carrozze si criticavano i Dessalle per non aver indicato l'ora in cui sarebbe finito il trattenimento e per gl'inviti troppo larghi. Il cavalier faceto supponeva di aver a star in cucina. Nelle carrozze di soli uomini si passavano in rassegna i relativi abiti neri, se ne pubblicavano l'età, le origini e i fasti e non mancò chi vi andasse fiutando la carbolina. Ma tutti, cavalieri e dame, erano curiosissimi della conferenza e delle proiezioni, perchè si diceva che la conferenza fosse in parte un madrigale all'indirizzo di parecchie belle, amabili e spiritose signore della città, delle quali si sarebbero visti i ritratti, e in parte una pittura innocentemente scherzosa di parecchi signori che pure sarebbero comparsi in effigie. Si pretendeva di conoscere i nomi delle signore, si parlava di peccati mortali di ommissione e di indiscrezione, di miscele inopportune, di certe signorine molto leggiadre, molto mondane, fieramente impermalite per la risaputa esclusione di tutte le signorine, tranne una, dalle proiezioni e dalla conferenza. Si commentava l'assenza di Maironi, si discuteva di una possibile rottura, con accenni agli Scremin e a un miglioramento della Demente. Il cavalier faceto prometteva raccontare cose graziosissime durante la musica noiosa del maestro Bragozzo. Si rideva della signora che la sera dell'eclissi andava giurando di non rimetter piede a villa Diedo e che, ricevuto l'invito, aveva telegrafato a Venezia per una toilette. Si rideva degli infruttuosi sforzi della contessa Importanza per appioppare a Carlino la contessina Importanzèta, sforzi caritatevolmente secondati da certa benigna dama senza figliuole. La Raselli entrò ultima con le due signorine nella villa perchè, giunta al cancello, si avvide di avere smarrita la nappina del ventaglio, e con grandissima rabbia delle compagne volle a ogni costo, malgrado le confessate imperfezioni delle piante, rifare la via sino al fondo: "Via, tose, tasì, ch'el gera tanto un bel fiocheto. Tasì, çerchè, disì el si quaeris anca vualtre", che fu poi tutto invano. Villa Diedo, il bel dado a trafori dal diadema di statue, saliva biancastro, con i trafori tutti accesi, sopra le due terrazze brune di gente, verso un caos fosco di nuvole senza luna, simile nel suo culminare a un alto, enorme fiore del poggio. E nel fiore e intorno al fiore animato di fiamme era un fervore di piccoli viventi, accorsi al lume e all'odore di godimento. Molte farfallucce vane, qualche fatua falena, molti moscerini curiosi, qualche maligna zanzara, non pochi scarabei di pregio, non poche nobili api vi facevano un ronzìo continuo, molesto, forse, alle cose immobili, adoranti, nella notte augusta, come ai devoti nelle cattedrali un pertinace battibecco di sagrestani e di femminucce. Solo i rosai abbracciati ai balaustri della terrazza di ponente avevano fremiti e moti come se la domesticità lunga avesse loro propagato il senso del piacere umano. Così osservò passeggiando sulla terrazza un poeta indigeno alla dama pure indigena cui dava il braccio. "Ma Lei" diss'ella "trova che c'è tanto piacere umano, qui? Tranne io, in questo momento" soggiunse con una voce strascicata e ridente che attenuava la dolcezza delle parole "tranne forse un pochino anche Lei, più o meno si seccan tutti. Non ha visto che mutrie? Pare gente che aspetti il suo turno nella sala di un dentista. Per fortuna c'è quel signore color carota che si diverte!" Quel signore color carota, l'uomo acido, errava soletto per le sale, in abito di mattina, fra le code di rondine e le toilettes chiare, scollate, fiutando i mobili a uno a uno, regalando a ciascuno una particolare smorfia, e non pareva infatti il ritratto del piacere umano; ma convien dire che la bella, nobile dama, squisitamente aristocratica nell'intelletto e nel gusto, non molto ricca, soffriva un pochino del lusso sfoggiato da questi Dessalle, sangue di banchieri, e del prosternarsi, come diceva lei, di una città intera ai loro milioni. Perciò il suo giudizio che tutti si seccassero era volontariamente malignetto e fece sorridere il poeta nel proprio non meno maligno cuore. La folla degli invitati, alcuni dei quali non erano mai entrati nella villa e moltissimi non l'avevano visitata dopo che n'era stato rinnovato l'arredamento, fluiva, finite le presentazioni, per le cinque sale tiepolesche e si divertiva di se stessa, del magnifico ambiente, dove la signora malignetta non faceva grazia che a Tiepolo, giudicava piuttosto pretenzioso che ricco il mobilio, vedeva punte borghesi in ogni eleganza. Giovava a lei e a qualche altro, per malignare, che certo borghesuccio vanitosetto, per aver conosciuto i Dessalle da qualche settimana e aver veduta la villa minutamente, si affannasse a gittar qua e là rapidi bisbigli: "Tutte stoffe tessute apposta perchè armonizzassero con le decorazioni di Tiepolo — qui tutto è antico, preso a Roma — qui tutto è copiato da una sala del palazzo X di Venezia — qui tutto è lavorato su disegni del pittore Fusarin. — L'erma di Omero, nella sala da musica, è antica. — L'erma di Virgilio, nella sala da pranzo, è di uno scultore russo — quelle dell'Ariosto e del Tasso sono di... di... di... adesso lo domando a Carlino". Subito il cavalier faceto lo battezzò per queste sue ambiziose familiarità ridicole "el fiolo de la balia de Carleto" e per tutta quella sera il nomignolo gli rimase. C'eran bene alcuni buoni conoscitori e alcune fini conoscitrici, che gustavano le armonie squisite degli arredi e delle pitture e sostavano a considerare i fregi dorati sul cuoio bianco degli usci antichi, nè attraversavano il corridoio fra la sala di Virgilio e la sala del Tasso senz'ammirare alle pareti il ricchissimo soprariccio di Venezia. Ma i più si compiacevano di altre cose, della folla elegante, della gran luce, della grande ricchezza, di trovarcisi come invitati; benchè quest'ultimo godimento fosse molto attenuato dalla copia degli inviti, non fosse condito di esclusioni saporose. Molti signori si compiacevano inoltre,

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Argomenti: abito nero,    riso argentino,    cuoio bianco,    nobile signora,    illustre uomo

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