Piccolo mondo moderno di Antonio Fogazzaro pagina 28

Testo di pubblico dominio

compiaciuta di molte ammirazioni, non sempre aveva sdegnato le dolcezze d'una lieve civetteria, ma soltanto nel primo incontro con Maironi aveva sentito l'improvviso impero d'un destino. Era in quel punto divenuta schiava dell'Ineluttabile. Ineluttabile l'amore, ineluttabili erano i dolori che esso avrebbe recato ad altre creature umane e che non le ispiravano, quindi, rimorso ma solamente pietà. Sotto l'ebbrezza di Maironi che scendeva col bacio di lei sulle labbra si veniva raccogliendo silenziosamente, non avvertito, un lievito amaro. Sotto l'ebbrezza di Jeanne vi era il recondito, freddo nucleo del suo scetticismo, la sua chiara visione del vortice eterno nel quale il suo amore e la sua coscienza, come tutti gli altri amori, come tutte le altre coscienze, si dissolverebbero in breve. Questo era l'Ineluttabile supremo e non la turbava, le rendeva più intenso il piacere dell'ora presente. Ella non credeva di poter più dormire, quella notte: e le gradiva di godersi il tramonto della luna, la fragranza delle rose, pensando a lui. Come mai l'aveva lasciato partire senza domandargli quando sarebbe ritornato? Non poteva, non poteva stare in questa incertezza! Vide i suoi guanti, dimenticati sopra una sedia. Oh, se ora venisse a riprenderli! Si rizzò sulla persona, stette in ascolto. Che follia! Si propose di rimandar i guanti l'indomani mattina con una lettera. E li prese, contenta. Si struggeva di baciarli, sorrise di se stessa. Non li baciò, mise la mano in uno di essi, sorrise ancora, sorrise di sentirsi mortificata che fossero così grandi mentre avrebbe giurato che le mani di Piero fossero piccole. Uno stridere del cancello! Lui? Non era Maironi, era Carlino arrivato in carrozza con quattro amici, l'elegante deputato Berardini, il grande violoncellista Lazzaro Chieco, l'allegro pittore veneziano Fusarin e un tal Fanelli, senese, critico d'arte e di letteratura, giovanissimo, libertino, sfacciato come un monello di Firenze. Eran partiti da Venezia col treno e l'avevan lasciato per fare una scarrozzata di trenta chilometri godendosi appieno la calda notte di maggio e l'eclissi. Seguiva il vetturale portando il violoncello di Chieco. Furono meravigliatissimi di trovare Jeanne, a quell'ora, sulla terrazza. Ella non conosceva che Fusarin, il suo adoratore pazzo di una volta. Chi si fece avanti il primo con il cappello in mano e a braccia aperte fu Chieco. "Divina signora, non badate a questi grattaformaggi che non sono degni della vostra attenzione. Io solo, Lazzaro Chieco, violoncellista di camera, anzi di anticamera del Padre Eterno, lo sono!" "Carlino!" esclamò Jeanne ridendo mentre gli altri la supplicavano comicamente di compatire il maestro rimbambito. "Non presenti? Che fai?" Carlino saliva lo scalone della terrazza a ritroso, pian piano. "Scusate, scusate!" diss'egli. "Aspettate! Mi hanno insegnato a Venezia questa cosa magnifica, che fa bene ai polmoni di salire le scale così. È delizioso!" Fusarin e Fanelli lo afferrarono, lo portarono su di peso, strillando egli: "Meglio! Meglio!". Intanto Berardini pregava Jeanne di non confonderlo con quei farabutti: egli non aveva bevuto, a cena, che acqua; essi...! E fece il gesto ipocrita della simulata ignoranza. Intanto Carlino, rassettatisi i solini, la cravatta e il bavero della giacca, si accinse alle presentazioni. "Lasciamo queste volgarità, per amor del cielo!" esclamò l'onorevole deputato. "Signora, io La ho veduta nei miei sogni e confido che anche Lei abbia veduto me. Lasciamo che costoro mi chiamino Berardini. Suo fratello che mi disprezza, dice: «Il deputato Berardini»; Fusarin che mi odia, dice: «Il commendatore Berardini»." "Fiol d'un can!" brontolò Fusarin. "Intanto el ghe le ga spiferae tute." "Non ce ne curiamo" proseguì l'onorevole. "Lei è Lei, e io sono io." "Signora" disse Fanelli, "io, come il più educato di questi quattro amici di Suo fratello, che non è gran lode! , mi lascerò presentare." Ma poi Jeanne guardò Carlino, imbarazzata. Aveva carissima questa visita, ma... Chieco precorse le parole che venivano. "Niente, signora mia! Noi non siamo genterella come questi grattaformaggi di questa vostra cittaduzza, che russano laggiù nei pantani. Voi non avete a incaricarvi di farci dormire. Siete voi, bella mia, che dormite e noi siamo il vostro sogno di stanotte. Io sono venuto perchè vostro fratello mi ha detto che tiene un clavecin antico, bonissimo; e perchè voglio vedere se io posso innamorarmi di Voi e se Voi potete non innamorarvi di me. Questi altri straccioni sono del mio seguito. Ebbene, adesso si fa musica, si prendono, bella mia, se è possibile, tre o quattro tazze di tè, non tanto forte, con latte, Fusarin e Vostro fratello si consigliano sul ballo tiepolesco che darete, il mio compaesano Berardini dice un altro sacco di asinate, io faccio un poco il grazioso e sull'aurora tutto il sogno sfuma in landau verso l'oriente." I domestici vi perdettero il sonno ma parve un sogno veramente. Le fiamme della luce elettrica brillarono nella sala grande e nelle quattro minori che la inquadrano, pure dipinte a buon fresco dal Tiepolo in onore di Omero, di Virgilio, dell'Ariosto e del Tasso. Apparvero per le pareti i grandi corpi viventi degli eroi, superbi nelle armonie del moto e del riposo; apparvero facce plebee di principi dai manti pomposi, nudità carnose e calde di principesse villane, i colonnati di Aulide, le logge di Cartagine, le tende achee, gli scogli dell'isola di Calipso e delle Ebude, sfondi nebulosi di cielo e di mare. Successe uno strepito perchè Berardini e Chieco erano pazzi di ammirazione per gli affreschi mentre Fanelli sentenziava, freddo e sarcastico, dietro la caramella, faceva il difficile, notava le scorrezioni scandalose del disegno, tanto che Chieco gli diede del "brutto macaco" e Fusarin gli saltò addosso con furore. "Cossa galo, El diga, sor piavolo? El me lassa star sto poro vecio che a fato sti spegassi, sala! El se contenta de scrivar settessento articoli a la setimana, co quele game sugestive, in malora, co quel maledeto color che canta e co sete oto "vibrante di modernità", El diga! Ti ti la ga co Tiepolo perchè el fasea i zenoci grossi e mi la go co Domenedio che te ga fato el muso roto!" Trlin! Trlin! Trlin! Carlino chiama col clavecin alla sala di Omero, Jeanne richiama con la voce: "Musica, musica!". Si risponde: "Musica, musica! Basta, basta!". Tutti corrono alla sala di Omero meno Chieco che cava il violoncello dalla cassa. Poichè stanno per entrare un certo signor Bach, un certo signor Haydn, un certo signor Marcello e altri personaggi in parrucca, spadino, calze di seta e fibbie di brillanti, sia l'accoglienza gaia! Champagne! Fanelli brinda spiritosamente alla più vibrante di modernità fra le dee di villa Diedo. Berardini improvvisa una tirata barocca sulla dea Diana e beve al fratello suo divino, ad Apollo Dessalle. Chieco, alzando il bicchiere verso l'affresco di Ulisse pensoso in riva al mare, si offre consolatore alla dolce, triste, bellissima Calipso che vi emerge dall'onda con le spalle e col seno ignudi, brinda a lei e alla sua sarta. Fusarin brinda "ai veci Diedo, poarini, che a fato su sto casoto!" E Carlino, poichè Jeanne vorrebbe proibirgli di aprire troppe bottiglie di Champagne, brinda a lei come gendarme: "Pas à Jeanne d'Arc mais à Jeanne d'armes!". Ed entra Bach, il dio Bach, dice Chieco, che dà dello straccione a Carlino perchè in una tale villa, con tali affreschi, con tale clavecin, regnando insieme Tiepolo e Bach, non tiene parrucche, spadini, giubbe ricamate, calzoni corti, calze di seta per tutti i suoi ospiti. "Giuriamo" grida Berardini "di venire al vostro ballo così!" Si giura e Bach incomincia il suo discorsino sereno. A una cristallina, tintinnante vocina puerile s'intreccia una voce di vecchio nonno scherzoso, tenero e nasuto. Chieco suona il violoncello come un semidio e Carlino fa meraviglie sul clavecin tanto che il collega gli dice spesso: bravo! Il delizioso profumo

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Argomenti: pittore veneziano,    sala grande,    freddo nucleo,    vortice eterno,    grande violoncellista

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