Piccolo mondo moderno di Antonio Fogazzaro pagina 58

Testo di pubblico dominio

e nei macigni di Vena aveva trovato sempre, quando parlava a voce alta, nei suoi vagabondaggi solitari, un'attenzione piena di stima e di simpatia. Egli disse che realmente quest'odor di putrido l'aria cittadina lo aveva ma ch'era un odore gradito al suo naso e non per le considerazioni estetiche dell'amico Dessalle. Gli era gradito come l'annuncio ufficiale che tante cose odiose e fastidiose marcivano e che una salutare fase della evoluzione nuova era prossima; perchè il poeta era un trasformista fanatico e non sapeva, quasi, ordinarsi il pranzo senz'arringare il cameriere con l'evoluzione. Puzzava di putrido nel paese degli abiti neri l'accattonaggio universale, quello lurido delle strade, quello poco pulito delle anticamere, quello schifoso dei gabinetti. Il puzzo annunciava che gli attuali ordini economici, gli ordini amministrativi, gli ordini parlamentari erano marci e si sarebbero presto sfasciati. Puzzavano i partiti politici; il partito socialista con le sue camicie sporche plebee e i suoi capi unti di grasso borghese; il partito liberale con la sua rettorica ammuffita della bocca e la sua feccia scettica, egoista, del cuore (qui il notaio fece invano "a pian!"), il partito clericale con la sua religione guasta, mal conservata nell'aceto. Il triplice puzzo annunciava una prossima trasformazione pure di questi organismi. Puzzavano di putrido le classi ricche con i loro titoli morti, con i loro fumi di vanità, con le loro corruzioni eleganti del corpo e dello spirito. Il poeta aveva tartassato i socialisti ma in fondo parlava come un socialista e la conversazione passò dai malanni sociali alle medicine socialiste. Anche il buon maestro volle dire la sua: se tutte le note musicali volessero essere il la perchè il la comanda, addio musica! La signora batteva il chiodo della giustizia, dei torti che le sono pur fatti nella società del nostro tempo; e Carlino, dopo avere rimbeccato il poeta mettendo avanti che praticamente l'avvenire non esiste ma esiste soltanto una serie di presenti, sostenendo quindi che vera scienza della vita è il godimento e la interpretazione ottimista del presente, uscì a dire che in fin de' conti esistono infiniti concetti individuali della giustizia, ma proprio la giustizia non esiste. "A pian!" fece il giureconsulto. Era destino ch'egli non potesse mai passare oltre il suo consueto esordio. Jeanne si affacciò all'entrata del Covile con Maironi. La signora Cerri arrossì. Ella non sapeva che Maironi fosse a Vena. Non vedendolo comparire aveva sperato e osservato Jeanne. Jeanne assisteva, ogni domenica, alla messa parrocchiale e vi teneva un'attitudine perfetta. Veniva quasi tutti i giorni da lei, le mostrava tale simpatia da potersi dire affezione, e ne ricercava la confidenza, si era amicata i bambini, s'intratteneva volentieri col signor Cerri di agricoltura e di politica, si compiaceva visibilmente di un ambiente nuovo per lei, semplice nella larghezza degli agi, gaio dentro le frontiere severamente custodite della morale e dell'ortodossia cattolica, cristiano e moderno. La giovine signora non intendeva quanto potesse ella stessa sull'animo di Jeanne Dessalle con il suo alto candore rilucente nella dolcezza dell'aspetto, con la sua religiosità penetrante in tutti gli atti della vita, pura di piccinerie ascetiche e di piccinerie morali. Era lieta e quasi sorpresa della serietà, delle buone inclinazioni, dei sentimenti elevati che veniva scoprendo in lei. Non le pareva possibile, nella sua rettitudine, nella sua inesperienza delle cose umane, che una persona impigliata in relazioni colpevoli mostrasse tanta bontà; e fantasticava di un pentimento dell'amica, di una rottura già successa. Perciò quando vide Maironi alle spalle di Jeanne non potè nascondere il proprio turbamento doloroso. Jeanne aveva negli occhi quella luce indicibile che la presenza dell'amato vi metteva sempre. "Certo" diss'ella, prima di mettere il piede sull'entrata del Covile "certo che la giustizia è un'opinione! Chi è l'avversario di mio fratello?" "Io" rispose la signora Cerri con voce fredda di celato rimprovero. Jeanne non l'aveva veduta e la intese sino al fondo. Appena scambiati i saluti, si dolse di Carlino che non l'avesse avvertita prima di uscire, si dolse di non aver saputo dove raggiungere la comitiva e vantò la propria intuizione. Al fremente Bassanelli sfuggì un ironico "famosa!". Carlino, seccato della parte di distratto affibbiatagli dalla sorella per coprire l'ottenuto suo intento di restar sola con Maironi, mise il broncio. La Cerri si alzò, ricordò al maestro ch'era vicina l'ora della lezione alle bambine e prese commiato. Il buon Bragozzo, scandalizzato dalle tesi di Carlino, dalla simpatia di Bassanelli per i pasticci, dal discorso del poeta sui clericali e dalla comparsa di Piero in quella compagnia, si sfogò, appena passata la Pentola degli Stregoni, con la signora e le confessò che a lui quel così detto Covile del Cinghiale era parso un bel porcile: "El staloto del mas'cio". Intanto Jeanne cercava di riaccendere la discussione. Bassanelli dichiarò ruvidamente che se altri voleva la giustizia non assoluta, a lui bastavano i carabinieri assoluti e che intendeva ritornare all'albergo col notaio per bere un'assoluta porcheria qualsiasi che gli facesse digerire la metafisica. Zoppicò giù per il sentiero con tanta sdegnosa fretta che il povero notaio, non potendo tenergli dietro e volendo pure comunicargli una sua riflessione, frutto prezioso del silenzio, lo richiamò. "A pian! La diga! A pian! Per quela signora xe relativi anca i marii." E spruzzate sull'arguzia due risate grosse e corte, descrisse con un cipiglio severissimo lo scandalo dato da "quela signora", che all'arrivo di Maironi, la sera precedente, si era tradita per modo davanti alla gente dell'albergo da imbarazzare visibilmente il suo stesso amante. "Che amante!" fece Bassanelli. L'altro si scusò. Aveva detto quello che tutti dicevano. Maironi non desiderando, nel suo stato d'animo, nè parlare nè udir parlare accademicamente di giustizia quasi per passatempo, lasciò in asso il poeta, che combatteva i fratelli Dessalle guardando spesso lui come uno sperato sostegno, e uscì a considerare la Pentola. Jeanne lo raggiunse. "Ripigliamo il nostro discorso" diss'ella sottovoce, movendo un passo di tacito invito ad allontanarsi di lì. "Se ciascuno di noi andasse a ricercare le origini del proprio avere, non crede che si troverebbe tutti della roba mal venuta? Scusi, non vi sarebbe qui un po' di romanticismo? Può far tanto più bene Lei, colla Sua ricchezza, che l'Ospitale Maggiore di Milano!" Invece di rispondere, Piero la interrogò fremente: "Come si può dire che la giustizia è un'opinione?" "Eh, sicuro!" diss'ella, pure concitata. "Ed è proprio questo il caso! A Lei pare giustizia spogliarsi del Suo contro una sentenza di giudici e a me pare giustizia di non sostituirmi ai giudici. Opinione la Sua, opinione la mia, opinione quella dei giudici!" Appena detto questo si raumiliò al solito, chiese perdono con tenerezza affannata. "Non so pensarla povero" diss'ella, "non so pensare che Le manchino gli agi cui è abituato, sarei contenta di vivere miserabilmente io in uno di questi abituri purchè a Lei non mancasse la pienezza della vita e il mezzo di essere generoso secondo il Suo cuore e la Sua mente!" Volle sapere come proprio si fosse espresso l'avvocato. Piero le rispose freddo, col tono di chi non è più disposto a discutere. Secondo l'avvocato, l'Ospitale Maggiore aveva perduto la lite contro i Maironi per un puro vizio di forma nel testamento di un marchese Reyna, cugino di Alessandro Maironi, bisavolo di Piero. "Nessun socialista" diss'ella, piano, "farebbe quello che vuol fare Lei e come socialista..." Non si arrischiò a compiere la frase, a dire che un socialista avrebbe ragione, come tale, di non agire secondo un religioso rispetto dell'idea di proprietà, del diritto di testare, che avrebbe ragione di non favorire Opere pie,

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Argomenti: messa parrocchiale,    salutare fase,    triplice puzzo,    alto candore,    luce indicibile

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