Piccolo mondo moderno di Antonio Fogazzaro pagina 33

Testo di pubblico dominio

pubbliche gli garbava meno, alieno com'era dall'affrontare certe rigidezze inflessibili anche fuori di quei convincimenti sostanziali nei quali era egli pure inflessibilmente rigido. "Vado poi anche a Roma oggi" diss'egli rasserenandosi nella speranza che una lunga necessaria dilazione del colloquio lo facesse sfumare. Allora il bibliotecario lo pregò di non partire senz'aver parlato con uno degli assistenti distributori; suonò il campanello per farlo venire e sussurrò, ridendo, fregandosi le mani: "Una balia!" mentre l'assistente s'inoltrava timidetto, rispettosetto. "Scusi, signor Commendatore, Lei è presidente della Giunta di vigilanza dell'Istituto tecnico." "Sì." "Ho udito dire che viene un professore nuovo." "Sì." "Ecco, perchè avrei una camera da affittare, se volesse dirgli una parolina!..." Il Commendatore se la cavò come potè e l'altro annunciò al bibliotecario che il marchese Scremin chiedeva di parlargli quando fosse libero. "Parlarmi! Non vorrà mica soldi, spero!" Il Commendatore trasalì. Quattrini? Perchè? Andavano male gli affari di casa Scremin? Male, male; proprio adesso che sua figlia guarisce. Guarisce? Ma! La notizia del giorno, nella sagrestia del Duomo, era questa. Guarisce, viene a casa fra pochi dì. Il povero Commendatore che aveva, nella sua grande bontà, viscere particolarmente affettuose per tutti i nati dentro la cerchia delle mura cittadine e anche nei borghi e anche oltre il selciato, in quelle terre suburbane del Comune dove non era giunto l'affetto di antichi pubblici benefattori, se ne andò tutto rannuvolato per l'intravvista rovina di una illustre famiglia della sua patria e crucciato nella coscienza di rattristarsi troppo della rovina e di rallegrarsi troppo poco della guarigione annunciata. Forse non era vero, ma se fosse vero, altro che Senato, altro che Senato! Presso a casa lo raggiunse arrancando un ometto in occhiali, un acuto e onesto dottor di leggi, sempre febbricitante per nobili emozioni politiche o amministrative, del tutto platoniche. "Dunque, Commendatore, il Prefetto se ne va?" "Non lo so." "Ma se la gente dice che lo fa traslocare Lei?" "Io?" "Sissignore, perchè il Prefetto vorrebbe arrivare allo scioglimento del Consiglio comunale e Lei no." E l'ometto rise d'un grosso riso per dare all'aspetto del proprio dire quel gaio e quel morbido che serve a far inghiottire altrui parole piuttosto durette e amarognole nella midolla. "Sa cosa?" replicò il Commendatore, molto seccato. "Io faccio come la luna: mi eclisso!" E sparì nel suo atrio. II Don Giuseppe Flores pregava nella chiesina della sua villa, solo, immerso in una doppia visione. Gli avveniva spesso, sui sentieri del suo colle, di sostare meditando le profondità di Dio e insieme contemplando la bellezza magnifica e pia delle cose. Così adesso il suo pensiero si affisava nell'eternità santa, imminente, alta, oscura sopra la visione distesa della sua lunga vita arrovesciata per modo da mostrare la faccia interiore come la sola che valesse. Non ne vedeva il gran bene irradiato a tante anime per vie nascoste alla sua stessa coscienza, senza opere, senza espresse parole di consiglio e di ammaestramento, solo con l'aura dell'essere suo puro, umile, pieno di Dio. Ci vedeva infiniti torpori, miserie, inerzie e persino mollezze, egli, austero a sè circa i desideri del corpo quanto mite agli altri. Ci vedeva tracce di morti affetti inutilmente dati a fantasmi d'illusione e svaniti con essi, e di altri affetti dati con troppo ardore a cose terrene, persino alla casa dove stava pregando, agli alberi del colle, ai fiori del giardino. Ci vedeva, come ombre di tristi vuoti, le perdute occasioni di opere buone e sminuite le opere buone dall'assenza del sacrificio, dall'obbedir fiacco al divino impulso, da compiacenze caduche del bene operato, se non viziose neppur virtuose. Vedeva tale la intera sua vita e non gliene veniva tristezza nella preghiera, ma tenero fervore. Segreto premio di quel suo riferire a Dio tutto il bene fattosi manifesto in lui e invece a sè tutte le lacune del bene, era una intima gioia di affidarsi povero alla Misericordia Infinita, di sentire Iddio con tanto maggior tenerezza di amore quanto più si riconosceva indegno. Quando per effetto della naturale, comune debolezza umana gli si allentava la tensione dello spirito e altri pensieri lo traevano inconscio con sè, erano pensieri della famiglia sua che intera lo aveva preceduto nel mistero, parte per manifeste leggi di natura, parte per occulte leggi di sventura. Anime austere, anime gaie, anime tranquille, anime ardenti, erano tutte passate sulla terra con la fiaccola della fede, tutte partite con il presidio soave di Cristo; e nella semplice chiesina modeste lapidi ne ricordavano i nomi. Don Giuseppe aveva amato i suoi del più vivido amore, li aveva pianti appena con qualche rara lagrima tutta santa di affetto alla Divina Volontà. Ora la sua mente si perdeva dietro care figure use tener sempre nella chiesina lo stesso posto. Si perdeva nella memoria del viso, degli abiti, delle attitudini, dei saluti sommessi nel luogo santo. Allora il senso del silenzio, del vuoto presente lo richiamava alla triste realtà e alla preghiera. Quindi gli s'infondeva nella preghiera un'aura delle persone nascoste ai viventi, un vago rimpianto di non averle forse appagate in qualche loro desiderio innocente nè ben taciuto, nè ben detto, di non avere sufficientemente aperto loro le vie a qualche confidenza difficile, di non esservi ritornato il primo quando, aperta la via, ciò sarebbe stato bene. E da quest'ultimo ricordo trapassò senz'avvedersene, mentre la bocca pregava e pregava, all'altro del colloquio con Piero Maironi, del quale aveva udito poi cose tristi senza tentare alcuna mossa di soccorso. Il trotto di due cavalli e ruote correnti suonarono sulla via davanti alla porta maggiore, chiusa, della cappella. Don Giuseppe udì trotto e ruote svoltare nel cortile della villa. Poco dopo il domestico venne ad annunziargli la marchesa Scremin. Egli uscì a incontrar la marchesa sulla gradinata che sale dal cortile alla villa. La vecchia signora, nobilmente vestita di nero, un po' più magra, un po' più rugosa e cerea del solito, si affrettava sugli scalini faticosi per ossequio al vecchio prete che alla sua volta, per ossequio a lei, si affrettava sulla discesa malfida. Don Giuseppe non osava nè ringraziare nè mostrar letizia per una visita ch'era presuntuoso attribuire a semplice cortesia e non temerario, pur troppo, attribuire a qualche cagione poco lieta. La marchesa gli aveva parlato, in città, di certa iscrizione da far incidere in una medaglia, l'aveva pregato di dettarla, di commetterne il lavoro all'artefice; ma non era possibile che fosse venuta per questo. Dal canto suo la marchesa pareva infervorata a coprire il fine della sua venuta con un arruffìo di frasi mozze e incongrue, di complimenti sull'aspetto florido del vecchio, del suo giardino, sulla bellezza del laghetto giallognolo, ingrossato dalle piogge recenti, e di certe oche, sue tronfie navigatrici; le quali la condussero a parlare delle anitre che teneva lei e dei taglierini al brodo di anitre e dei gusti di Zaneto cui non piaceva l'oca. Don Giuseppe sorrideva, non sapendo che dire, secondava con qualche blando monosillabo quella parlantina disordinata e nervosa che finalmente, quando la povera signora sedette stanca sul canapè della sala, si spense. Allora toccò a don Giuseppe di parlare, di chieder notizie del marchese, e poi, con voce sommessa, esitante, anche dell'altra persona per la quale aveva celebrato pochi giorni prima, in Duomo. Una tristezza quieta comparve sul viso squallido della povera vecchia. "Ma!..." diss'ella. "Ecco!..." Non soggiunse parola e, durante il silenzio lungo che seguì, due lagrime le spuntarono negli occhi. Don Giuseppe sospirò accorato e chinò il viso riverente davanti alla grandezza recondita di quella creatura umile dalle parole incomposte, che celava il suo

Tag: don    commendatore    bene    casa    troppo    marchesa    male    cose    preghiera    

Argomenti: vecchio prete,    consiglio comunale,    povero commendatore,    illustre famiglia,    semplice cortesia

Altri libri consultabili online del sito affini al contenuto della pagina:

Il benefattore di Luigi Capuana
L'Olimpia di Giambattista Della Porta
Mastro don Gesualdo di Giovanni Verga
Confessioni di un Italiano di Ippolito Nievo
Decameron di Giovanni Boccaccio

Articoli del sito affini al contenuto della pagina:

Capodanno in Polonia
Come scegliere le scarpe da sera
Come smettere di essere innamorati
Le vacanze insieme per salvare la vita di coppia
Adozione e acquisto di pesci sul Web


<- precedente 1   |    2   |    3   |    4   |    5   |    6   |    7   |    8   |    9   |    10   |    11   |    12   |    13   |    14   |    15   |    16   |    17   |    18   |    19   |    20   |    21   |    22   |    23   |    24   |    25   |    26   |    27   |    28   |    29   |    30   |    31   |    32   |    33   |    34   |    35   |    36   |    37   |    38   |    39   |    40   |    41   |    42   |    43   |    44   |    45   |    46   |    47   |    48   |    49   |    50   |    51   |    52   |    53   |    54   |    55   |    56   |    57   |    58   |    59   |    60   |    61   |    62   |    63   |    64   |    65   |    66   |    67   |    68   |    69   |    70 successiva ->