Piccolo mondo moderno di Antonio Fogazzaro pagina 14

Testo di pubblico dominio

manifestatasi poi a misura che ne veniva meditando le parole disgiunte dal suono dolce e grave della voce, dall'aspetto del viso pio, dall'aura dello spirito immacolato. Sospettava, in fondo, di non essere stato compreso nè conosciuto bene, sospettava che il consiglio di fuggire in una solitudine e di viverci partisse da un concetto inesatto della sua natura e fosse stato suggerito dal desiderio di sostituire al monastero, impossibile, uno stato simile allo stato monastico. Ora egli aveva sognato i sacrifici, le aspre penitenze; si sgomentava della vita inerte in una casa piacevole. Ah però, se Iddio lo aiutasse! Se la coincidenza strana del consiglio di don Giuseppe con la lettera di Valsolda significasse un disegno della Provvidenza! Quando si vide a fronte la fosca cintura e la torre merlata di Praglia pensò che forse, chi sa, nel silenzio dell'antico monastero la voce divina gli si farebbe udire. Lo urtò improvvisamente fuori de' suoi pensieri un fracasso di cavalli al gran trotto e di ruote sulla ghiaia. Una victoria che veniva dal monastero gli passò accanto, una voce nota gridò: "Maironi, Maironi! Ferma, ferma!". La carrozzella si fermò, un giovanotto elegante, saltato dalla victoria, corse allo sportello. "Finalmente" diss'egli con uno spiccato accento toscano. "Vede, signor sindaco, che improvvisata! Si è saputo che il nostro signore e padrone veniva a Praglia e noi che siamo i fedeli tra i fedeli, dietro! Ma si credeva di trovarlo qui ed eravamo un poco puzzled. Jeanne è al monastero. Io vado a occuparmi dell'igiene delle mie bestie, e ritorno subito. Mi dica un po': Lei non ha ombrello e tiene anche abbassato il mantice della carrozza. Si piglierà un malanno con questa pioggerella fredda che in aprile dev'essere poi anche infetta di fermenti, credo!" Maironi non s'era accorto affatto della pioggia. Al vedere Carlino Dessalle, sentì, prima di udirlo, che sua sorella era a Praglia, ch'era venuta per lui, che tornar indietro era impossibile. Una fiamma gli divampò in cuore. Così, così Dio lo aiutava? Non era un irridere lui che si era proposto d'interrogare la volontà nella pace del monastero e anche un irridere al suo ministro, povero santo vecchio, che lo aveva consigliato di venirci? Impose silenzio alla ribellione interna, con impeto, salutò Dessalle non senza imbarazzo. Partito Dessalle, ordinò al vetturino di andare al passo. Dio, come comportarsi nel primo incontro! Lasciar comprendere lo stato dell'animo suo, la risoluzione di allontanarsi, o coprirla, dissimulare? Sì, sì, dissimulare. Ma troppo no, sarebbe un tradimento! Restar poco? Un pretesto, un pretesto di restar poco! Dio, quale? Gli zoccoli del cavallo suonarono sulle pietre della soglia, Maironi si compose, palpitante, un viso freddo, la carrozzella entrò nel portico del cortile rustico. Lì non c'era nessuno. Piero stette un pezzo a guardar il tremolare della pioggia fitta e minuta fuori del portico, sull'erba folta, sul pozzo elegante del Cinquecento, sull'alto fianco del monastero imminente a sinistra con le sue piccole finestre archiacute, con i finestroni dello scalone interno del Settecento, con gli archettini trilobati delle cornici di terracotta. Stette a guardare, a origliare. Nessun passo, nessuna voce. Richiamò al cuore tutti i suoi propositi buoni e si avviò a sinistra verso una porta socchiusa. L'aperse, ebbe una visione di svelte arcate, il senso di un pio, ammonitore pensiero antico, di una severa bellezza casta. Entrò e nulla più vide, nulla più sentì di quel gentile Quattrocento. A dieci passi da lui, la signora Dessalle, stretta in un lungo mantello verde scuro, foderato di pelliccia, in un collare di skunk, col bavero rialzato intorno al viso pallido, lo guardava immobile. Ella lo guardava con lo stesso sguardo serio che gli aveva fermato in viso nel treno, dopo molti altri sguardi fugaci, dopo un batter incerto delle palpebre, un'apparente lotta con se stessa. I grandi occhi di lei, dama in ogni movimento dell'alta e fine persona, in ogni linea della toeletta ricca e severa, lo avevano allora fatto palpitare con la loro fissa profondità, dove oscura passione e oscura ironia componevano un indistinto colore di maturità voluttuosa. Ella li aveva ritolti per la prima da quelli del giovane. Apertasi quindi il lungo mantello verde scuro foderato di pelliccia con un atto lento, negligente delle mani, guardando il finestrino, aveva lasciato intravvedere lo squisito disegno del busto. La figura e le movenze erano così nobilmente signorili, il viso così serio, che il solo dubbio d'una pensata cagione di quell'atto aveva dato a Maironi il più mordente piacere. I begli occhi, ripresi da inquietudine, dopo guardato a caso qua e là, si eran fermati ancora nei suoi, gli avean fatto doler di dolcezza tutta la persona. E adesso, dopo alquanti mesi di familiarità, ella lo guardava con lo stesso sguardo, muta, immobile, stretta nello stesso mantello, nel collare di skunk, col bavero rialzato intorno al viso pallido e serio. I begli occhi bruni dicevano: "Eccomi, son venuta per Lei, ho fatto male? Aspetto una parola". Il giovane salutò sorridendo con un sorriso forzato e le stese la mano ch'ella non prese. "Lei desiderava di star solo, qui? Debbo andar via?" diss'ella con la sua bella voce rapida, col suo purissimo accento. E lentamente, quasi timidamente, una mano inguantata di bianco uscì dal mantello dischiuso, mentre lo sguardo fisso cercava la risposta in fondo agli occhi di lui. Maironi strinse la mano che si offriva, disse un "grazie" inteso a evitar una risposta diretta senza scortesia: caldo, perciò. E subito, al sorriso felice di lei, n'ebbe una stretta di rimorso. "Le piace la mia toilette?" diss'ella. "La ricorda?" E sorridendo ancora dischiuse un poco il mantello, mostrò lo squisito disegno del busto. Egli impallidì e rispose freddo che la ricordava. "Lo so, che la ricorda. Sono anche freddolosa, ma l'ho messa per questo. Dica, forse non Le sono mai tanto piaciuta, dopo, come quel giorno, nel treno." "Sa" diss'egli scherzando, "quando viaggio ho il cuore molto sensibile." La giovane signora aggrottò le sopracciglia, mormorò: "Brutto!" e soggiunse subito: "Però mi trova bella? Molto bella, non è vero? Anche adesso?". Il giovine fece "oh, moltissimo!" con un inchino profondo. Ella si sdegnò di quel tono. "Se non fossi tanto vile con Lei" disse, "dovrei voltarle le spalle! Mi fa una rabbia! Lei è tanto padrone di sè, e io, appena ho cominciato a sentire, mi sono tradita subito. Io non so nascondere e non me ne importa niente, del resto. Senta! Lei mi ha giudicato leggera quel giorno, in viaggio? Mi ha giudicato civetta?" "No, avrei giudicato leggera e civetta un'altra; Lei, con quella sincerità negli occhi, no." "Me l'ha detto, però, dopo!" "Sì, ma per giuoco." "E adesso mi giudica male perchè sono venuta?" Maironi esitò un attimo prima di rispondere: "No". "Perchè ci ha pensato? Ecco che mi giudica male. Cosa voleva dire? Ha risposto "no" per compassione. Mi giudica anche Lei come certi suoi cari concittadini!" Egli sapeva le calunnie infami sparse da qualche sciocco, da qualche spensierato sul conto di Jeanne Dessalle, e protestò con tanto sdegno, con tanto ardore che gli occhi di lei ebbero un sorriso dolcissimo. "Non sono cattiva, sa, sono molto buona" diss'ella facendosi un viso contrito, una boccuccia di bambina imbronciata, una voce dolente. "Solamente non so nascondere quello che sento. Non ho potuto nascondere la mia simpatia neppure quel primo giorno. E faccio male, ho sempre fatto male a tradirmi così, perchè Lei è un superbo che vorrebbe conquistare per forza l'amore di una donna superba. Io invece sono umile e non Le piaccio." Non era la prima volta che la signora Dessalle si mostrava tanto audace con Piero Maironi. La prima volta ella gli si era mostrata così a villa Diedo, nel boschetto appartato che pende dal colle ai silenzi di una valletta deserta. Gli aveva detto che lo trovava tanto

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Argomenti: sguardo fisso,    dieci passi,    giovane signora,    tanto padrone,    tanto ardore

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