Piccolo mondo moderno di Antonio Fogazzaro pagina 11

Testo di pubblico dominio

"Intanto mi spieghi perchè sta così male, ora." "Ecco: perchè, prima di tutto, la mia fede va molto peggio. Le ho parlato di dubbi, poco fa. Glielo dico subito, i miei sono sopra tutto dubbi di sentimento, dubbi d'istinto, e in fondo, lo capisco bene, vengono da un insieme di impressioni piuttosto che dal raziocinio. Fin da quando ero tentato nei sensi ed ero tentato di accusar Dio che m'imponeva una legge terribile, una legge contro la natura del mio corpo e non mi aiutava a obbedire, sin d'allora, questa è una coincidenza che forse mi condanna ma insomma è la verità, io cominciai a sentire fastidio di quella specie di religione che vedevo intorno a me; fastidio degli scrupoli di mio suocero che parla sempre di umiltà cristiana, che piega il ginocchio davanti al Vescovo e farebbe a quattro gambe gli scalini di tutti i ministeri per esser nominato senatore; fastidio persino qualche volta delle pratiche devote di mia suocera che con tutta la sua santità e bontà suggerisce al marito grettezze, in materie d'affari, dell'altro mondo; fastidio di certe persone pie che venivano a seccarsi ogni sera in casa Scremin per mangiarvi a due palmenti una volta la settimana; fastidio di tante altre pie persone o avare o malediche, piene di livore contro tutto e tutti o feroci contro le povere creature che hanno ceduto a una passione illecita; fastidio di certi formalismi farisaici, di certe idolatrie superstiziose, di certi incensi pagani profusi a uomini. Li cacciavo allora, questi fastidi, come tentazioni contro la carità e l'umiltà. Ah, don Giuseppe, quanto sono cresciuti dopo un anno che sto in mezzo, come sindaco, alla parte attiva e politicante di un partito il quale diffida già di me perchè indovina qualche cosa del mio interno! Non Le dico tutte le meschinità, tutte le piccole ambizioni, tutti i piccoli rancori che fermentano intorno a me! Non immagini, sa, che io ammiri gli altri, quelli che mi trovo a fronte più spesso nel Consiglio comunale, gente pronta sempre a bravate contro persone che non schiaffeggiano nè si battono, gente prodiga di frasi sentimentali e avara di quattrini, gente che ha paura dell'acqua santa quando vive e del diavolo quando muore, sempre a cavallo su Roma e la monarchia liberale, di cui giurerei che almeno a tre su quattro di loro non importa niente! Non li ammiro, ma quelli non si fanno avanti nel nome di Dio! Di essi non mi curo. Ecco invece il mio pensiero terribile: come mai è quest'altra gente gretta, questa gente piccina, questa gente maligna, questa gente sciocca che possiede, proprio lei sola, la verità, il segreto di tutto l'Essere, il segreto dell'anima umana, il segreto della nostra sorte futura? Per un pezzo mi sono rifugiato nelle ragioni di credere che avevo nel mio proprio cervello, nel mio proprio cuore; adesso non mi sento più sicuro neppure lì. Mi risponda: posso io dire che la mia fede venga proprio, originariamente, dal raziocinio mio, dal sentimento mio? Posso io dire che non vi è stata seminata e coltivata dai miei educatori? Posso io dire — mi perdoni, don Giuseppe! — ch'essi non mi abbiano storpiato il cervello e il cuore per farne dei vasi di questa loro cultura artificiale, così che in fin dei conti è forse la loro fede e non la mia che vive in me, perchè io non ho mai avuto la libertà di credere o di non credere e vado acquistandola solamente adesso? La loro fede! Forse la fede che anche ad essi quand'erano teneri fu cacciata nell'intelletto per forza, storpiandolo! Capisce che dubbio spaventoso! È anche per questo che vorrei seppellirmi in un convento di Trappisti, fra uomini religiosi che non abbiano tenuto niente per sè, che abbiano dato a Dio tutto, che dovrei quindi ammirare, fra uomini che avranno presa la fede anche dai loro educatori, ma che però l'hanno grandemente accresciuta in sè, per forza propria. Non si può, don Giuseppe, non si può?" "Ma no!" fece don Giuseppe, quasi bruscamente. Il viso era freddo e grave; era il viso di un medico che uditi i lamenti del suo infermo poco se n'è commosso, ma poi, ascoltatone il cuore, vi ha udito nel profondo il passo zoppicante della Morte. Credette che Maironi avesse finito e come cercando il suo esordio, con parlante moto inquieto di tutti i muscoli del viso e delle mani raccolte davanti al petto, incominciò: "Ecco." Maironi sussurrò angosciosamente, in fretta: "Non ho finito, don Giuseppe, non ho finito." "Ah, bene bene, dica." L'altro non parlò subito. Era venuto il momento delle parole più difficili, forse. Gli facevano groppo alla gola, non venivano. "Se crede bene di parlare" disse don Giuseppe dolcemente, "si faccia coraggio." "Sì, caro don Giuseppe, mi farò coraggio. Lei ricorda che Le ho parlato di una signora? Di una signora che incontrai un giorno in ferrovia, e che poi mi scrisse un biglietto al quale risposi in iscritto per togliermi alla tentazione di andare da lei? Bene..." "Ah!" fece don Giuseppe, sottovoce, involontariamente. "Aspetti!" esclamò il giovine. "Forse Lei pensa cose peggiori di quelle che adesso Le dirò. Senta, non so perchè farei misteri con Lei in un momento come questo. La signora è la Dessalle di villa Diedo. Ne avrà sentito parlare. Male? Molto male?" "Ecco, sì, non tanto bene" rispose don Giuseppe imbarazzato, masticando le parole: "non tanto bene. Però mi parve che in fin dei conti se ne parlasse vagamente, che fossero dicerie, supposizioni..." Qui, nel voler intravvedere la possibile falsità della maldicenza, i begli occhi del vecchio diedero un lume lieto. Maironi, alla vista di quel lume benevolo, al pensiero che don Giuseppe fosse mitemente disposto verso la persona di cui gli stava parlando come di un pericolo, riprese e strinse la mano del vecchio, lo interrogò con lo sguardo, inconsciamente, quasi sperando una parola indulgente al suo sentimento. Don Giuseppe non capì. "Cosa?" diss'egli. La benigna luce era già sparita dagli occhi suoi. Maironi riprese triste: "Niente. Cosa dicevo? Credo che l'abbiano calunniata e che se in principio si son raccontate delle storie odiose, adesso non se ne raccontino più. La credo pura. Lei sa ch'è divisa dal marito? Ha chiesto la separazione, perchè suo marito si ubbriacava e la batteva. Pura per fierezza, sa, per orgoglio, forse anche per disgusto e per un sentimento morale forte; per sentimento religioso, no. Dio mio, e adesso come Le posso raccontare ciò che vi è stato fra lei e me se di atti non c'è stato niente, se dovrei raccontare dei movimenti d'anima che sono in me, che sento in lei, che vogliono dire tutto? Sì, vedo anche nell'anima sua, perchè è molto appassionata e si tradisce molto persino quando si difende contro se stessa, quando lotta, forse per orgoglio, contro la sua inclinazione ed è aggressiva con me. Ho capito che la prima impressione risale per lei come per me all'incontro in ferrovia. La prima volta mi portò da lei il consigliere delegato Bassanelli, amico di casa Dessalle, compagno d'armi di mio padre, che zoppica per una ferita riportata a Palestro. Bassanelli voleva mostrarmi la stradicciuola comunale che conduce a villa Diedo, e che il Municipio dovrebbe riattare. Abbiamo incontrato il signor Dessalle e bisognò entrare nella villa. Me ne venni via solo. Lei conosce villa Diedo, naturalmente? L'avrà visitata per i Tiepolo, almeno. Nell'uscire per la terrazza di ponente, fra quell'ondeggiar di rose sulle balaustrate, nello scender la gradinata in faccia a uno splendore di tramonto, io avevo addosso, direi, la ubbriacatura di un sogno strano, e avevo insieme un dolore muto, fisso, proprio nel centro del mio essere. Avevo inteso che la signora voleva farsi amare da me, mi sentivo attratto non per i sensi che tacevano, non per l'anima che aveva paura, ma per una specie di fascino magnetico. Ora, e questo non l'ho capito, non lo capirò mai se Lei non mi aiuta, l'idea di un legame spirituale, anche solo spirituale, con la signora mi atterriva molto più che l'idea di un vero e proprio

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Argomenti: caro don,    moto inquieto,    possibile falsità,    sentimento morale

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