Piccolo mondo moderno di Antonio Fogazzaro pagina 54

Testo di pubblico dominio

che lei e il prossimo incontro. A Rovato, passeggiando in attesa del treno di Milano, il cuore gli batteva forte. Al primo vederla si sentì più tranquillo. Gli fu gradito di non trovarla sola. Il mormorato "pietà di me", benchè giungesse previsto in quella o in una simile forma, gli strinse il cuore. Ella era bellissima nel suo abito di crêpe crème, guernito di velluto nero, col suo cappello Rembrandt a piume nere, con i guanti neri e due larghi cerchi d'oro liscio ai polsi. L'umido fuoco dolce de' grandi occhi aveva una mestizia implorante, e se il braccio si scostava timido da un lieve contatto col braccio di lui, era con un visibile palpito del seno, con un commento di soavità infinita. Quando ella, nelle tenebre, gli prese e gli baciò il polso, se ne sfiorò gli occhi umidi, egli non ne provò alcuna dolcezza voluttuosa, ma piuttosto una tenerezza riverente. Chi lo avrebbe amato di un amore tanto umile e grande? Non era esso degno di riverenza quanto ogni altra cosa al mondo? E che succederebbe s'ella ora gli dicesse: "Non sono più scettica, mi sono convertita agli ideali tuoi, ne ardo come te, e, nonchè impedirti nell'azione, ti resisterei se tu posponessi il tuo dovere all'amore"? Alla stazione di... che precede di pochi minuti quella dove Piero aveva dato convegno al medico, il viaggiatore seduto dirimpetto a Jeanne discese e Piero si alzò per chiudere lo sportello. Il medico era lì, lo vide, salì nella carrozza, sedette a fianco di lui che, per non parere accompagnar la signora, aveva preso il posto rimasto libero. Subito venne in mente a Piero che forse il dottore, pensando essere tra sconosciuti, entrerebbe in argomento senza riguardi e fu per presentarlo a Jeanne o per rivolgerle la parola; ma poi non lo fece. Il dottore, non udendosi interrogare, si guardò attorno e solo quando il treno si mosse, disse sottovoce: "Qualche piccola novità; non buona." Piero rispose, pure sottovoce: "Parleremo." Gli occhi suoi e quelli di Jeanne s'incontrarono, s'interrogarono, si sfuggirono. Alla prossima stazione il medico e Maironi scesero, si perdettero nel viavai della gente. Maironi ritornò alla carrozza cinque minuti prima che il treno ripartisse. Jeanne era sola ora. Aveva mutato posto, si era seduta nell'angolo di destra, con le spalle alla locomotiva, per la stessa ragione che le aveva consigliato di prolungare il suo viaggio fino a Venezia, per non essere veduta, possibilmente, quando egli, forse atteso da qualcuno, discenderebbe a sinistra. Era un riguardo per lui, nuovo, tristemente nuovo. "Venga venga venga" diss'ella, piano. E quando Piero le sedette accanto gli piegò la fronte sur una spalla, gli prese una mano, se la strinse al petto, dimenticando adesso, secondo la propria natura, ogni cautela, rispondendo alle prudenti rimostranze di lui con voce piena d'affanno e di lagrime: "Non importa, non importa, non abbandonarmi, non abbandonarmi, quanto male mi hai fatto, Dio, quanto male! Non senti che cosa diversa è, non senti che il tuo matrimonio, la tua unione non è, non ha mai potuto essere come quella di tuo padre e di tua madre, li amo tanto anch'io, sai, caro, i tuoi morti, tanto tanto, ma perchè devono desiderare la mia disperazione, non importa, non c'è nessuno, lasciami dire, perchè, perchè? Cosa ho fatto io a loro, povera creatura? È mia colpa se loro sono morti e se io sono una povera creatura viva che ti ama tanto, non ama che te, non pensa che te, non vive che di te, caro amore mio, amore amore amore?..." S'interruppe, rialzò il capo un momento, stava per cingere con un braccio il collo dell'amato, ma egli lo impedì; qualcuno entrava. Jeanne si ricompose, il treno partì. Ella tacque, con gli occhi lagrimosi, fino alla prima stazione. Allora mormorò: "Quello era il medico?" "Sì." "E cosa c'è di nuovo?" "Qualche leggero, fugace segno di intelligenza da capo e lagrime, molte lagrime, mentre in passato non ha mai pianto; ma un grave deperimento fisico, progrediente." La sommessa voce di Piero suonò accorata. "Vorrei che guarisse, sa?" disse Jeanne. "Non mi creda cattiva!" Egli le strinse la mano così forte ch'ella ne fremè di gioia. Per lungo tempo nessuna parola fu più scambiata fra loro. Jeanne ruppe la prima il silenzio. "Verrà bene a Vena?" "Ma..." "Sì sì sì sì!" Ella aveva preso coraggio e insistette. "Me lo prometta! Che progetti ha, Lei, per l'estate?" "Io? Un viaggio, ma non per l'estate solo. Il viaggio ch'Ella sa." Jeanne fece una boccuccia fra crucciata e sdegnosa. "Ancora quell'idea?" diss'ella in uno de' suoi accessi inesplicabili di malignità contro gli altri e contro se stessa, non sospettando fino a qual segno fosse disgraziata la sua uscita. Piero si accese in viso, guardò l'altro viaggiatore, tenne deliberatamente, ostinatamente volto il capo a quella parte mentre lei, pentita, si accusava, chiedeva perdono, supplicava, scongiurava con una rapidità febbrile di parole sommesse, concitate, tanto ch'egli alfine aperse rumorosamente un giornale e le intimò: "Basta!". Jeanne obbedì sull'atto e Piero sentì di essere stato troppo aspro, n'ebbe rimorso. "Non mi parli più così" diss'egli con dolcezza. Ella non rispose; volto il viso al finestrino, piangeva. Piero mormorò dietro il giornale: "Mi perdoni Lei adesso". Jeanne rispose quasi inintelligibilmente "grazie" senza togliere il viso dal finestrino. Egli riprese con dolcezza maggiore ancora: "Se può, non pensi più così". La risposta fu: "Vorrei morire". Egli non osò replicar parola. Parvero assorti l'una e l'altro nel ritmico battito che durante il loro silenzio mortale misurava precipitosamente la fuga degli angosciosi momenti. Quando il treno rallentò e Piero si alzò a raccogliere il proprio bagaglio, Jeanne trovò modo di chiedergli sottovoce, a mani giunte, la promessa di salire a Vena. Lo guardò, perchè egli esitava, con una inesprimibile supplica negli occhi, ebbe la promessa, la volle ripetuta, solenne, baciò con soavità umile di gratitudine la mano amata. Si lasciarono così. II Piero recò subito alla suocera le notizie della figliuola, un po' attenuate nella parte più triste. Ella lo accolse affettuosamente, serena come sempre, ascoltò il suo racconto, e poi, placida, quasi sorridente, disse una parola di fede: "Mi digo che el Signor ne fa la grazia", come se avesse udito solamente le parole più gradite e non le altre. Negli occhi le tremavano due lagrime: due lagrime dolci per la consolazione di quell'atto di suo genero, di quella gravità commossa ch'egli aveva mostrato parlando: due lagrime anche pregne di affanno per le parole cui pareva non avere udite. Lo pregò di restare a pranzo, ma egli si scusò non garbandogli la compagnia del suocero che avrebbe tirato in campo le elezioni di Brescia e provando un gran desiderio di solitudine. Allora la marchesa volle chiamare il marito perchè udisse le notizie dell'Elisa dalla viva voce di Piero. Il suo studio, parlando col genero, era sempre stato di guidarlo, con un roseo lumicino in mano, nelle viscere di Zaneto, indicandogli una per una le finezze, le squisitezze di pensiero e d'intenzione cui la gente non poteva vedere in certi atti, in certe parole di lui, cui vi scorgeva lei e che in fatto erano molto spesso infuse al vetro della lanterna. "Tuto el resto" soggiunse nel suo linguaggio ellittico, intendendo chi sa che, forse anche il lavoro per il Senato, "no xe che per distrarse." Zaneto venne, fece a suo genero molte dimostrazioni affettuose e, udite le notizie, si mise a singhiozzare rumorosamente. Quando Piero se n'andò, lo accompagnò fuori e sul pianerottolo della scala, gli domandò, con voce ancora lagrimosa, se avesse ricevuto una lettera dell'avvocato Marchiaro. Piero non l'aveva ricevuta. Allora Zaneto si diede a masticare, a masticare, tentennando fra il desiderio di parlare della lettera e il senso del momento inopportuno. "Bene" diss'egli troncando il masticare. "Insomma, l'avrai." E passò all'argomento Brescia. Aveva Piero fatto

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Argomenti: lungo tempo,    amore tanto,    dolcezza maggiore,    fuoco dolce,    lieve contatto

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