Piccolo mondo moderno di Antonio Fogazzaro pagina 18

Testo di pubblico dominio

idealmente convertita in veleno gli fece ancora, per un attimo, rotear le cose intorno. "Lei?" diss'egli ridendo. "Un mondano come Lei?" "Io non sono un mondano, caro Maironi. Io prendo interesse a osservare le vanità mondane e non sono mondano come un astronomo non è celeste." Jeanne, che in quel momento stava guardando da vicino i fregi del lavabo, i pesci marini, le tarsie di verde antico e di porfido, chiamò a sè Maironi, con un gesto. "Non so mai come chiamarla" diss'ella, piano. E soggiunse forte: "Cosa è scritto qui? Mi spieghi". Piero le tradusse il motto latino scolpito dentro l'arco, al di sopra del vaso marmoreo: OMNES VELUT AQUA DILABIMUR E chinandosi come per guardare lo squisito marmo, sussurrò: "Chiamami amore." Ella non rispose; egli rimase chino celando il fuoco del viso. "Poveri fratucci!" esclamò Dessalle alle loro spalle. "Son passati tutti davvero, eh? Ma ditemi un po': quel motto lì come va preso? Dev'essere epicureo, dentro quella gioia di fregi, quel sorriso dello scettico Cinquecento! Mangiamo, beviamo e godiamo fin che ci è tempo, eh?" Entrarono nel refettorio. Jeanne, assorta nella sua beatitudine, guardava distrattamente i motti immaginosi, attorti a sculture simboliche, sopra ciascuno degli stalli di legno che il secolo XVIII schierò alle pareti maggiori della sala rettangolare, da capo a fondo, sotto certi quadroni male ingombri di corpi enormi. Dessalle, ammirato delle imprese scolpite sugli stalli, dei motti arguti e profondi, si staccò da Jeanne, prese con sè Maironi, lo trasse da uno stallo all'altro, leggendo, commentando, ammirando a gran voce. "Aiuti me, signor Maironi!" disse Jeanne. "Carlo sa il latino." Mentre Maironi veniva bevendo nei begli occhi fissi un dolcissimo richiamo, ella, che stava presso lo stallo dov'è figurata una falce di luna, gli disse con voce oscillante: "Cosa significa completur cursu?" e quando fu a due passi, gli gittò con un lieve, rapido porger del viso la trepida parola: "Amore!". E sorrise. Maironi non potè parlare subito. Ella rise allora due sottili, brevi getti di riso, come getti di una vena ferita sfuggenti al pollice. "Significa..." ricominciò il giovine e voleva dire: "l'anima mia che si volge a te e tutta s'illumina, si compie nella luce tua". Ma Jeanne lo interruppe alla prima parola: "Non importa; mi dica che mi ama! Sì? Proprio? Combini di ritornare in città con noi. C'è posto!". "Udite questo, come è bello per un pozzo!" gridò Carlino dall'altro capo della sala. "Exercita purior!" "Che vuol dire?" domandò Jeanne a Maironi, perchè il custode s'era piantato lì accosto. E udita la spiegazione osservò: "Non avrà pensato qualche frate che esercitando fuori di qui la mente, il cuore, tutte le attività buone, sarebbe diventato più puro, più sano?" "E questa, e questa?" gridò Dessalle. "Una sirena. Dulcedine perdit!" "Se la capisco bene, non è peregrina!" esclamò Jeanne, vivacemente. Maironi tacque. Dessalle chiamò il custode, gli chiese di chi fosse l'affresco della Crocifissione. "Di Bartolomeo Montagna, pittore vicentino." Dessalle volle che sua sorella e Maironi venissero ad ammirare il grande affresco. Vennero, lodarono assai scarsamente, con sorpresa e sdegno di Carlino. Il Cristo non piaceva loro affatto; nelle altre figure si vedeva l'epoca buona e non più. "Ma guardate Maria, dunque! Per me ve lo dico subito, un'altra sola Maria in tutta l'arte che conosco mi ha commosso più di questa, la Maria di Van Dyck al museo di Anversa, che ha in grembo il Cristo morto e spande le braccia con quel viso al cielo, ti ricordi, Jeanne? , con quel viso lagrimoso e amaro che dice: "perchè?". Questa, religiosamente, è superiore. È piena di coraggio, crede nella resurrezione di suo figlio. Qui arrischio, caro Maironi, di pigliarmi una febbriciattola di fede anch'io. Lei poi mi prende nel suo Municipio per assessore delle Belle Arti, eh?" Maironi sorrise a fior di labbro e rispose solo: "Va bene". III Partirono al tramonto, nella stessa carrozza. Prima di uscire dal recinto, passando lungo il nero bastione che porta la chiesa, Dessalle esclamò: "E la chiesa? Non abbiamo veduta la chiesa!". Uscendo dal refettorio, il custode aveva chiesto due volte a Jeanne e a Maironi se desiderassero visitare la chiesa e poichè non era venuta la risposta, aveva lasciato andare. Anche adesso nè Maironi nè Jeanne parlarono, la carrozza correva già forte, il momento passò. Dessalle aveva la fantasia piena del monastero taciturno, della solitudine ove posa, di cipressi, di ulivi, di archetti trilobati, di stemmi, di motti, di monaci antichi, del custode dalle chiavi tintinnanti nel deserto lo stridulo inno trionfale dello spirito moderno. E rievocava ogni cosa nel suo linguaggio colorito e fine, cercando similitudini bizzarre che gli atteggiassero a modo suo dentro la mente le cose vedute sì che s'incarnassero nella sua persona e gli appartenessero meglio. Poi si mise ad abbozzare il piano d'un romanzo dove Praglia, venduta dal Governo, era comperata da un mistico polacco che vi raccoglieva delle dame isteriche per fondarvi, nella meditazione e nella preghiera, una religione nuova. "Quale?" chiese Maironi. "Non importa. Una religione nuova! Poniamo, se vuole, la religione mia, ch'è la religione del dubbio, una religione che invece di obbligarci a credere quello che non si può sapere, ci proibisce di negarlo e c'impone il dubbio, il quale è infinitamente più sapiente e utile della fede, perchè ci dispone a tutte le possibilità! Ed è anche più poetico!" Maironi scattò con una violenza strana. "No, no, sia tutto per o sia tutto contro! Neghi piuttosto! Dica che l'uomo creò Iddio perchè gli fece comodo! Oppure dica che il Dio della religione è una maschera del Dio vero e che Lei non vuole adorare le maschere! Oppure si ribelli, dica che Lei non si è obbligato a niente per avere il Suo corpo e il Suo intelletto, che i Suoi desideri di vita e di libertà non se li è dati Lei, che Lei vuole l'una e l'altra! Dica questo se Le piace, ma non quello che ha detto!" "Ecco, i cattolici, come sono" ribattè Dessalle, sorridendo. "Ci vogliono addirittura empi. Più ci avviciniamo a voi, meno ci sopportate. Si potrebbe sostenere benissimo che la vostra religione insegna l'odio del prossimo. Guardate come trattate i protestanti e quei poveri liberali che vorrebbero dirsi cattolici anche loro! Odio del prossimo!" "Però..." fece Jeanne rivolgendosi a Maironi come per rispondere a lui al di fuori e al di sopra delle parole di suo fratello. E s'interruppe subito. "Però?" ripetè Maironi, aspettando. "Niente" diss'ella. Il giovane raccolse la bianca pelliccia di lupo di Russia che scivolava dalle ginocchia di Jeanne e dalle sue, l'accomodò, v'incontrò sotto una mano che prima si offerse inerte e poi attanagliò la sua come un morso, mentre una bella bocca lasciava neghittosamente cadere queste due paroline di pace: "Fa fresco". Nessuno parlò più per un pezzo. Jeanne accomodò alla sua volta la pelliccia, meglio assai. Parve a Maironi che il greve mantello bianco di fiera piegasse ai lievi tocchi delle mani abili con intelletto del comando. Egli guardava la mano desiderata, non osando, in faccia a Dessalle, guardare Jeanne negli occhi senza parole, e non trovandone alcuna; guardava la mano che indugiandosi sulla pelliccia gli rispondeva, come pure un mal celato sorriso della bocca: strette segrete, basta. L'odore del mantello di Jeanne, chiuso sulla squisita persona, della pelliccia, dei guanti lievemente profumati, forse dei capelli, saliva in un tepido indistinto al cervello del giovine, alternandosi, secondo il vento e il passo dei cavalli, con l'odor fresco dei campi e della strada umida. Gli pareva che una scura, dolce aura di lei lo avvolgesse, donandosi; che fosse già questo un principio di segreto delizioso possesso. Passarono davanti alla villa di don Giuseppe, bianca nell'ultimo chiarore del ponente, sopra il giardino pieno d'ombra. Dessalle credette

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Argomenti: motto latino,    mantello bianco,    giardino pieno,    nero bastione,    stridulo inno

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