Piccolo mondo moderno di Antonio Fogazzaro pagina 32

Testo di pubblico dominio

di parole pronte, esclamò che adesso il Commendatore aveva faccende e "servitor suo, servitor suo" lo piantò malgrado i richiami ufficiosi dello Scremin. Anche il marchese accattava un colloquio per accattare altre gravissime cose, ma il Commendatore non lo potè accordare lì per lì e lo rimandò alle cinque di quel famoso lunedì. Colui parve un po' seccato dell'indugio, avrebbe voluto parlare all'omino prima ch'egli partisse per Roma e non dopo. Intanto i due, passo passo, erano giunti al palazzo del Commendatore. Un vecchio domestico stava sull'entrata confabulando con un fattorino postale che subito mosse incontro all'umile onnipotente e gli porse, sberrettandosi, una carta. "Il pro-memoria per mio figlio, Commendatore. Mille grazie." Mentre il Commendatore pigliava la carta col solito sorriso benigno, il domestico gli annunciò che lo aspettava nell'anticamera del suo studio il signor Ricciotti Çeóla; e perchè il padrone, non conoscendo il soprannome del Pomato, pareva non raccapezzarsi, soggiunse: "Pomato, quel de la Biblioteca, ghe dirò". All'udire il minaccioso nome, il Commendatore ritirò il capo fra le spalle, chiuse gli occhi, arricciò il naso e soffiò "pff!" come se avesse immaginato la puntura di un ago rovente nella parte più delicata del proprio individuo. Pensò un poco e poi commise al domestico di riferire al signor Pomato che adesso il padrone doveva recarsi in Biblioteca e poi partire per Roma. "E se il signor Çeóla" insistette il domestico "volesse sapere..." Ma intanto il padrone trottò via senz'altro verso la Biblioteca. Trottò via con la segreta speranza di liberarsi anche dal marchese al quale non poteva promettere alcun balsamo per il suo ulcus senatorium. Lo Scremin, tagliato presso a poco sulla misura del Commendatore, però alquanto più vecchio, allegando di aversi a recare in Biblioteca egli pure, pigliò lo stesso trotto e parve una pariglia sconnessa mostrata in fiera. "Avrei tante cose a dirti" cominciò il ronzino arrembato di sinistra, ansando, sulla scala della Biblioteca. "Sarà per lunedì. Intanto ti raccomando..." Qui, usando il linguaggio insolitamente ellittico e rotto cui lo costringevano la trottata e la scala faticosa, nominò il ministro formidabile al quale avrebbe voluto invece venire raccomandato lui. "Anche l'affare Dessalle" soggiunse prima di entrare nella stanza del bibliotecario. Il Commendatore fece un impercettibile segno di sorpresa. I Dessalle avevano ereditato dal padre certa lite con un piccolo Stato americano e ottenuto due sentenze favorevoli, ma non erano ancora riusciti a farsi liquidare il credito. La faccenda era entrata nelle vie diplomatiche e occorreva che alla Consulta non dormissero. Tempo addietro, prima dell'incontro di Praglia, Carlino ne aveva fatto parlare al Commendatore dal marchese Scremin, e il Commendatore s'era adoperato a favore dei Dessalle in Roma con il solito caritatevole zelo a cui ogni specie di prossimo più lontano traeva elemosinando. Divulgatesi poi le voci scandalose su Maironi e la signora Dessalle, la marchesa Nene, pur tacendo con tutti le proprie angoscie, aveva opposto un tale contegno alle effusioni affettuose, alle pressanti cortesie di Jeanne, che Jeanne non aveva osato insistervi; e il Commendatore, un grande silenzioso cinto d'informatori minuti, sapeva tutto ciò. Adesso, all'udire la nuova raccomandazione del marchese per l'affare Dessalle, ebbe un sorriso interno di spettatore savio delle debolezze umane; perchè sapeva pure che a favore di Zaneto erano in giuoco presso il ministero influenze mosse da casa Dessalle. Zaneto divinò e parò la frecciata invisibile. "In verità" diss'egli, "nell'interesse della città non dovrei farti questa raccomandazione, perchè se i Dessalle ottengono quello che domandano, si tratta di milioni, non mi pare possibile che abbiano a restare qui e per la città sarebbe una perdita." Pareva un capolavoro di finezza questa risposta, e lo era, ma sincero; era il capolavoro di una coscienza industriosa e non d'industriose labbra. A furia di ragionare col marchese scrupoloso del lobo cerebrale destro, il marchese dottor sottile del lobo cerebrale sinistro lo aveva persuaso che facendo al Commendatore la raccomandazione Dessalle in ordine al meditato fine principale di allontanare Jeanne da suo genero, si potevano accettare in pace i benefizi accessori che ne venissero naturalmente, come l'appoggio dei Dessalle per ottenere al modesto panino Zaneto un posto sulla pala ministeriale delle infornate. "Bene bene, addio addio" fece il Commendatore, lottando asceticamente dentro di sè con il proprio buon giudizio, non riconoscendolo, scambiandolo, causa l'andatura affrettata, per un giudizio temerario. Egli si recava in Biblioteca per sollecitarvi certe ricerche nell'interesse di certe persone pratiche e di altre persone poetiche: di persone che gli avevano chiesto aiuto per comprovare il possesso legittimo di qualche decima e di persone che gli avevano chiesto aiuto per comprovare il possesso legittimo di qualche titolo nobiliare. "Mi dica la santa verità" esclamò il bibliotecario mezzo infastidito, "vengono anche le balie a spasso da Lei, per raccomandarsi?" "Anche anche anche! Sissignore sissignore sissignore!" E il Commendatore raccontò che proprio allora era venuto a casa sua il signor Ricciotti Pomato. "Lei vuol dire Çeóla?" fece il bibliotecario. No, il Commendatore non chiamava mai la gente con nomignoli, specie se ridicoli. Pomato usque ad finem. Come andava quella faccenda di Pomato, dunque? "Uh, l'affare si fa grosso" rispose il bibliotecario. "Finiremo prima noi di rimettere in piedi un esercito di decime cadute in deliquio e di fabbricare un altro esercito di conti e di contesse, che il Municipio di allestire un paio di brache miracolose che vadano egualmente bene a un Prefetto, a un deputato, a un senatore, a Quaiotto e a Ciotti Çeóla." E proseguì narrando che quella stessa mattina, molto per tempo, gli era pervenuta in casa una Nota municipale, sottoscritta dal dottor Zàupa, con l'ordine di non ammettere il Pomato all'esercizio delle sue funzioni fino a che non si presentasse in uniforme. Çeóla era venuto all'ora solita, aveva fatto una scenata e annunciato che si sarebbe immediatamente rivolto al Prefetto per far mettere a Zàupa e Comp. il capo a partito. La Giunta si doveva riunire alle tre per deliberare ufficialmente circa le dimissioni del sindaco. Qualcuno andava dicendo che la crisi municipale sarebbe terminata come la crisi della luna, ma il bibliotecario, considerato l'ordine draconiano "o brache o morte" che tagliava i ponti fra sindaco e colleghi, non lo credeva. Del resto alcuni pezzi grossi della maggioranza, alcuni Cai, come venezianamente diceva il bibliotecario, si erano raccolti la sera prima, forse per contemplare l'eclissi, forse per altre ragioni, e avevano chiamato a sè il giornalista Soldini. Siccome il Soldini è temperatissimo e in relazione col sindaco, si è creduto da taluno che i Cai volessero aprire trattative di pace. "Ma se il sindaco torna pregato" ragionò l'acuto bibliotecario, "vuole che ceda sull'affare delle brache? E se non cede, che figura ci fa il buon Zàupa? Mo!" Qui il bibliotecario sorrise, fissò il suo interlocutore con un reiterato sobbalzare della persona che significava il complicato garbuglio di problemi da sciogliere, e conchiuse: "Vedrà che Soldini verrà da Lei". Il Commendatore osservò ch'egli non c'entrava. Pensò in pari tempo, con un visibile malumore, al colloquio chiestogli dalla signora Soldini per suo marito. Aveva sperato, sulle prime, che il Soldini desiderasse parlargli per interessi suoi personali. Lo conosceva per un logico acuto, per un politico fine, per un carattere rigido, dissimulato sotto maniere squisite e sotto molta tolleranza non delle opinioni avverse, ma delle persone che le professavano. Gli avrebbe reso assai volentieri un servigio personale che sarebbe stato il primo; trattare con lui di cose

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Argomenti: fine principale,    solito sorriso,    lobo cerebrale,    possesso legittimo,    fattorino postale

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