Piccolo mondo moderno di Antonio Fogazzaro pagina 22

Testo di pubblico dominio

rumoreggiando quel gruppo inquieto, e avendovi l'uomo acido, pensoso della minestra, gittato il suo fiammifero acceso "O dentro o fora!", Quaiotto scattò: "Domando la parola!". Parlò con l'onda di grossa facondia che la Provvidenza versa nelle teste più vuote di ciascun partito politico estremo per cavarne salutare frutto di spropositi. Disse che nel Consiglio Comunale si poteva rappresentare una commedia ma che in una riunione privata ciò gli pareva fuor di luogo. Soggiunse, chiedendone scusa all'egregio dottor Zàupa, che neppure la scena della commedia gli pareva scelta bene. Dimostrò che respingere con un voto di massima tutte le istanze per aumento di stipendi era impolitico e che sarebbe minor errore, in fin dei conti, aumentar lo stipendio anche al segretario capo. "Pulito!" brontolò l'uomo acido, mentre altri esclamava: "E il bilancio? E il bilancio?". Quaiotto raccolse, per disgrazia, l'interruzione. Cos'erano cinque, sei, ottomila lire per un bilancio di milioni? Fino a che il pallone della sua rettorica aveva navigato le nubi i colleghi erano stati a guardarlo col naso all'aria, ma quando toccò terra, e s'impigliò fra le cifre, gli corsero, come avviene agli aeronauti, tutti addosso. In fondo la maggioranza della maggioranza, gente pacifica, più penetrata di un malinteso dovere religioso che di passione politica, fedele anche nell'azione pubblica alle vecchie tradizioni delle buone creanze private, subiva il demagogo Quaiotto ma non lo amava. Fu un subisso di proteste. Che cinque! Che sei! Che otto! Quaiotto si voltò inferocito sfidando l'assemblea. Due o tre colleghi, i finanzieri del partito, gli tennero testa. Gli altri si sfogarono fra loro contro le violenze di colui che minacciava di guastar le uova tanto bene accomodate nel paniere del dottor Zàupa. E poichè Quaiotto e i suoi contraddittori disputavano in piedi con un baccano del diavolo, si fecero essi pure addosso allo smarrito presidente, gli predicarono di tener duro, duro, duro, di non permettere che si parlasse di scandali privati. L'uomo acido porse un orecchio nel gruppo. "Benon!" diss'egli, ritraendosi. "Il sindaco rompe e i pori cani dei impiegati paga." Intanto Quaiotto e i suoi avversari si gittavano manciate di cifre negli occhi. "Carta e penna!" gridò uno dei contendenti. "Dottor Zàupa, carta e penna, La prego!" Zàupa, attorniato, intontito dagli altri, non udiva. Il demagogo esclamò: "Qua mi! Qua mi!". E diede senz'altro una strappata di campanello. "Un foglio di carta, un calamaio e una penna!", diss'egli al donnone appena comparve. Ma il donnone si fece avanti rosso rosso, recando sulle mani sporte come un vassoio le brache piegate in quattro, cercando il padrone cogli occhi attoniti. "Signori! Signori!" gridò Quaiotto trionfalmente. "Zitti tutti! La provvidenza! Adesso c'intendiamo subito! Domando la parola!" E intanto pigliò le brache. Tutti si voltarono a lui, porsero il naso verso l'oggetto misterioso. "Cossa? Braghe? un par de braghe?" I più non sapevano, non intendevano, guardavano le brache, sbalorditi. Qualcuno che sapeva, sorrise, crollando il capo. L'uomo acido domandò sottovoce al suo vicino: "Xele le braghe de la vecia Zàupa?". Quaiotto, spiegata e scossa la sua preda con manifesta compiacenza insisteva: "Domando la parola! Domando la parola! Domando la parola!" mentre Zàupa faceva dei gesti severi al donnone, il quale rispondeva con gesti apologetici, mostrando il campanello. Finalmente la serva se n'andò e Quaiotto ebbe la parola. "Signori" diss'egli, "se la comparsa di queste... di questi... di questo, dirò così, indumento vi pare strana e ridicola, sappiate che il colpevole sono io. L'ho mandato io al nostro egregio presidente e me ne felicito, signori. Quando si tratta del bene pubblico e del trionfo dei nostri principii, delle nostre opinioni, non vi sono argomenti ridicoli. Questo oggetto di vestiario ha una storia incredibile ma vera. Ha una storia dico: e questa storia..." "E dài!" sussurrò l'uomo acido. "... questa storia io la racconterò adesso per vostra edificazione e perchè, siccome capisco che voi, egregi colleghi, per un sentimento di squisita delicatezza..." L'uomo acido borbottò più forte: "A proposito de comedie!". L'oratore, seccato, lo apostrofò. "Cossa gala, Ela? La faccia la grazia de tasere, La faccia." L'uomo acido storse la bocca, gli occhi, le sopracciglia, le rughe gialle delle guance e della fronte nelle più contraddittorie e assurde direzioni, ma non ribattè sillaba. "Siccome capisco" riprese Quaiotto "che voi, egregi colleghi, siete alieni, per un sentimento di squisita delicatezza, dall'occuparvi di spinose faccende private, il mio racconto vi suggerirà un modo di uscire dalle presenti difficoltà senza toccare quelle faccende, e anche senza sacrificar gl'interessi di tanti fedeli e miseri servitori del nostro Comune." Qui molti esclamarono: "A pian! A pian! A pian!". L'oratore non se ne diede per inteso e continuò: "Voi sapete che recentemente fu nominato inserviente della Biblioteca il figlio di quel Pomato detto Çeóla, socialista, forse anarchico, ch'è giardiniere di una certa casa dove l'illustrissimo signor sindaco pratica molto." Il dottor Zàupa diventò rosso e tossì. "Non abbia paura, signor presidente! Mi fermo a tempo. La Giunta avrà nominato il signor Ricciotti Çeóla per far piacere all'illustrissimo signor sindaco, ma ha fatto male, diciamola. Bastava il nome Ricciotti per capirlo. Dunque il signor Ricciotti, appena nominato, si presenta al bibliotecario, e il bibliotecario lo manda dall'economo municipale per il vestito. Il signor Ricciotti va dall'economo e si fa mostrare il vestito. Appena veduti i calzoni filettati di rosso, protesta che non vuole uniformi. L'economo, invece di fare il proprio dovere e mandarlo al diavolo..." Alcuni consiglieri pii grugnirono. "Bene, dirò così: invece di mandarlo da suo padre, l'economo gli dice che parlerà coll'assessore. L'assessore, ch'è il nostro egregio presidente qui, persona gentile, persona benigna quanto mai, propone alla Giunta di cambiare la filettatura rossa in una filettatura blù. I calzoni sono neri. La Giunta approva." Matìo assentì del capo, sorridendo modestamente. "Adesso vi prego, signori, di guardare la filettatura e di giudicare." Quaiotto posò i calzoni sul tavolo, davanti a sè. "Vi prego di dirmi se il filo potrebbe essere più invisibile, se il blù scuro non si confonde col nero!" Zàupa sorrise ancora e crollò il capo come scotendo da sè un alloro ideale che il collega gli avesse offerto per la sua fine trovata. "Invece" proseguì Quaiotto, "il signor Çeóla, richiamato dall'economo, gli dichiarò che i suoi principii gli vietavano di accettare il blù come il rosso e fece poi la stessa dichiarazione anche al bibliotecario..." "Il quale" interruppe un consigliere informato, pescando con due dita nella tabacchiera e sorridendo al tabacco, "ga risposto: «E Lu el se dimeta». «Mi no« dise el toso. «Ben» dise el bibliotecario «e Lu el vegna senza braghe.»" "Benissimo!" rispose Quaiotto. "Il signor bibliotecario, persona intelligente, persona dotta, persona pratica del mondo, avrà risposto come avrà creduto meglio. Adesso state attenti. Il signor Çeóla va da un consigliere liberale, liberalissimo, che lo protegge. Non faccio nomi ma la cosa è certa. Il nostro collega liberale, appena udito il suo racconto, lo abbraccia, gli fa gran complimenti sulla sua nobiltà e fierezza, lo incoraggia a tener duro, va dal bibliotecario, lo investe, gli tira fuori il Medio Evo, gl'ideali moderni, il filo blù che poi diventerà rosso per la vergogna e persino l'uguaglianza cristiana. Lo dico perchè stavo leggendo nella stanza vicina" ("Cossa!" mormorò l'uomo acido. "La vita de Bertoldo?") "... e ho udito colle mie orecchie." Qualcuno domandò che avesse risposto il bibliotecario al collega liberale. "Il bibliotecario? Prima ha risposto: a me la conta? Vada al Municipio. E poi ha detto: li ha

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Argomenti: consiglio comunale,    egregio presidente,    salutare frutto,    storia incredibile,    alloro ideale

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