Piccolo mondo moderno di Antonio Fogazzaro pagina 41

Testo di pubblico dominio

marchese Scremin e quel tale ch'era venuto a raccomandarsi un'altra volta per l'appalto dei pozzi neri delle caserme di Verona. Ella li aveva licenziati ambedue. La fedele cameriera stette a guardare con materna compiacenza il padrone che sorbiva pian piano i meritati conforti della bevanda spirituale. Gli propose di aprire le finestre; c'era un tale odore! Di che? Il Commendatore non sentiva niente. Altro che odore! Odore "de siori e de poareti, del mistrà de Çeóla e della tintura del Prefeto". Il padrone non credeva a questa tintura del consigliere Bassanelli e Rosina rise arditamente della ingenuità di lui. E non meno arditamente gli domandò cosa gli avesse raccontato "quel dalla Biblioteca". Intanto gli avrà raccomandata la sua sorella Artemide. Rosina sapeva che quest'Artemide, cameriera pur lei, avrebbe dovuto venire col fratello ma che la sua signora l'aveva fatta stare a letto perchè il medico condotto le ordinasse l'olio di ricino. L'Artemide, nella sua qualità di povera, aveva diritto alle medicine gratuite e l'olio di ricino ordinato a lei lo avrebbe invece preso il padroncino che s'era rimpinzato di paste. "Ohi ohi ohi!" fece il Commendatore, ridendo. Rosina cantò poi le lodi dei Soldini. Clericali ma però brave persone, tanto di buone maniere, tanto nobili. E quel Quaiotto che voleva farli andar via! "Un vilan, madre mia!" E il Commendatore: "Zitto, zitto, zitto!". E il signor Maironi? Aveva egli raccontato che sua moglie stava molto meglio ma per causa di quella brutta... E il Commendatore da capo: "Zitto, zitto, basta, basta!". Rosina si meravigliò. Che male c'era? "L'è tropo santo, Elo." E quell'altro povero zoppo, con la sua cuoca che gli rubava fin le camicie per regalarle al suo amoroso vecchio! "Basta insomma! Porta via!" Il Commendatore diede una spinta al vassoio del caffè, intendendo spingere così anche Rosina fuori dell'uscio. Rosina si difese. Non era meglio di saperle le cose? "Saperle sì; dirle no." E come avrebbe fatto lui a saperle se nessuno gliele diceva? "Ma! , figlia mia, c'è molti modi di venire a sapere le cose. Ascolta, del resto." Qui il Commendatore mostrò a Rosina un libriccino legato in pelle nera. "C'è più sapienza in una paginetta di questo libro che in tutte le teste di tutti i commendatori e di tutte le loro cameriere. E se tu potessi capire il latino ti darei da leggere qui de evitatione curiosae..." "Sì signore" saltò su a dire la Rosina, pronta, "ma mi no son curiosa!" "Va va va!" Quando Rosina, mogia mogia, si fu incamminata verso l'uscio brontolando "mi no che no son curiosa", il padrone la richiamò. "Senti, Rosina. Chi ti ha detto che la signora Maironi sta tanto meglio?" Trionfo dell'ancella. "Vèdelo vèdelo vèdelo che l'è curioso anca Lu?" E la impertinente creatura trottò via senz'altra risposta con il vassoio del caffè. CAPITOLO QUINTO
NUMINA, NON NOMINA I "Cara" disse Carlino Dessalle, "e i fiori? Sono quasi le cinque, sai!" Jeanne stava scrivendo nella sala dell'Ariosto, in faccia all'affresco dove la bella, tenera Angelica, legata le gambe ignude allo scoglio, spasima fra la mostruosa Orca, la ghiottona del mare, che sale, e il mostruoso ippogrifo con Ruggero, il ghiottone del cielo, che scende. "Non si pranza alle sette?" diss'ella, senz'alzare il capo. "Sta bene, ma ti hai poi anche a vestire, eh?" Jeanne non rispose e non si mosse. "Senti, Jeanne" fece suo fratello un po' stizzito. "Io non te li ho imposti, questi ospiti. Ti ho domandato s'eri contenta di averli, tu mi hai detto di sì, dunque..." "Ma sì, ma sì, son contenta, ecco, vado" rispose Jeanne, nervosa. Si alzò di botto, piegò il foglio scritto, lo pose in una busta frettolosamente, vibrando d'impazienza. Carlino la guardò; aveva gli occhi rossi. "Oh santo cielo!" diss'egli sottovoce, seccato. "Bella disposizione per un pranzo!" "Ma che? Ma cosa? Ma se non ho niente! Se sono contenta, contentissima! Se sono allegra! Adesso vado a far cogliere i fiori. Dimmi che fiori vuoi." Ella protestava così, pentita, quasi atterrita di avergli dato segno del suo soffrire interno, tenendogli le mani alle spalle, fissandolo negli occhi, ansiosa di vederlo rasserenarsi, di udire una parola buona. "Stai zitta, è una cosa che non può andare!" replicò Carlino. "Te l'ho detto sempre, tu ti figuri quello che non è. Tu ti struggi per uno che non si strugge niente affatto per te. O forse aveva in principio certe idee e ha capito che con te non si riesce!" Jeanne arrossì fino al collo, gli turò la bocca. "No, Carlo, non dir queste cose!" "Bene, che ti ha scritto, allora? Perchè piangi? Tu piangi per causa della lettera ch'è venuta oggi, non dire di no!" "Prima, non piango, poi, lo so io perchè piango!" Carlino rise. "Bellina, questa!" Rise anche Jeanne e ne approfittò subito. "Vedi se sono allegra! Dimmi, dimmi che fiori vuoi!" Egli scosse il capo, rassegnato, non persuaso: e rispose negligentemente, dopo un silenzio lungo: "Rose. Niente altro che rose. Rose, ma in copia grande." "In copia? Dove sono? Sono sfiorite tutte." "Che! Queste della terrazza, sono sfiorite. Le spalliere sotto la Foresteria sono cariche di fiori bellissimi. Ma dunque, perchè piangevi?" "Piangevo di tenerezza. Sì sì sì! Sono felice!" Ella gli diede un bacio impetuoso, sonoro, ritrasse un po' il viso a guardarlo sorridendo, sussurrò: "Quando vai a Milano?". "Io? Domani." "Se ti accompagno, mi porti posdomani al Quartetto?" "Cosa c'è posdomani al Quartetto?" Jeanne nominò un grande artista straniero. "Benissimo, non lo sapevo. Felicissimo di accompagnarti. Ma sai che per i miei affari mi occorrono almeno quattro giorni." "Io me ne vengo via il terzo, sabato." "Sola?" "Credo!" "E sia. Ma che capriccio ti è venuto?" "Grazie!" fece Jeanne e corse via. Suo fratello la richiamò. "Scusa" diss'egli. "È per un incontro?" "Anche per un incontro." "Potevi dirlo." "Ma non sono sicura." "Senti, corrergli dietro, no!" "Non gli corro dietro!" Carlino parve poco persuaso e insistette. "Capisci, la tua dignità, anche in faccia al mondo!" Jeanne fu per rispondere: "Che me ne importa?" ma si trattenne, disse solo: "Non temere." "Basta." Ella uscì rapida, palpitante, nella speranza inattesa di questo prossimo incontro. Maironi era partito da otto giorni e proprio per le istanze pressanti di lei. Bassanelli non s'era tenuto dal comunicarle l'opinione del Commendatore che fosse bene di allontanare il giovane, posto che il Consiglio venisse sciolto, durante il periodo elettorale. Aveva soggiunto che il decreto reale di scioglimento era in viaggio, che sarebbe savio di prevenirlo perchè molto probabilmente il Commissario Regio, a fronte di certe questioni cittadine gravi, bandirebbe le elezioni assai presto e l'agitazione comincerebbe subito. Jeanne non s'illuse circa le intime cagioni di questo zelo, ma si compiacque molto che il Commendatore pigliasse interesse a Piero. Ambiva un tale patronato per l'amico suo, una guida tanto autorevole che lo avrebbe trattenuto sulla via dove lo vedeva incamminarsi, verso un partito spiacente a lei per le idee e più ancora per la gente poco pulita. Ambiva di entrare in grazia del Commendatore per poter un giorno congiurare insieme. Comprendeva bene quanto poca speranza vi fosse di riuscire a ciò con quell'uomo rigido e pio. Ma insomma, sentendosi degna della stima, del rispetto di chicchessia, non voleva disperare e intanto aveva promesso a Bassanelli di fare del suo meglio perchè il desiderio del Commendatore venisse soddisfatto, lo aveva pregato di non tacere al Commendatore stesso questa sua buona volontà. Si era indotta più facilmente al sacrificio per veder Piero malcontento di sè, della vita inerte che conduceva, rôso da inquietudini strane, ch'egli le diceva di non sapere spiegare a se stesso. Ella lo amava ora immensamente più di quando aveva dato al vento l'immaginario veleno dall'alto della loggia di Praglia significando in silenzio il proposito di vivere per lui. Lo amava molto più di

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Argomenti: grande artista,    decreto reale,    vita inerte,    curioso anca,    impertinente creatura

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